Intervista a Caterina Adriana Cordiano

Veniamo al Suo libro, I giorni del mare, davvero intenso ed emozionante. In questo romanzo sembrano non vengano definite le linee spazio temporali… è una nostra impressione?

Si può avere questa impressione, ma non è così. In effetti, come spiego nella nota all’inizio del romanzo, la vicenda si muove secondo parametri spazio-temporali abbastanza decifrabili. Per quanto riguarda i luoghi, questi sono abbastanza identificabili seppure nella loro generalità e indeterminatezza. Si tratta di scenari fisico- geografici che vedono, da una parte, un piccolo paese che rimane indefinito e anonimo proprio per dare ad esso un carattere adattabile ad uno dei tanti paesi del sud. Direi che si tratta addirittura di un paese qualsiasi di uno dei tanto sud possibili   visto che le dinamiche sociali e individuali della vita paesana, spesso antropologicamente e   culturalmente sovrapponibili, sono più o meno identiche. Dall’altra, si ha il polo fisico della città, anch’essa rigorosamente anonima per la considerazione che è uguale a quella precedente. E cioè per il fatto che lo scenario cittadino, dal punto di vista urbanistico e umano, per i veloci ritmi di vita, per il traffico e la confusione, si assomiglia dappertutto. Diciamo pure che nella mia scelta, mi ha intrigata la riproposizione della dualità della città– campagna, quasi sempre antitetica e conflittuale. Che è poi l’eterno tema che si porta dietro tutta una complessità storica di tipo antropologico, sociale e culturale. Anche per questo ho preferito farlo adottando luoghi indefiniti seppure simbolicamente esplicitati. Un modo come un altro insomma, per cercare di dare ai luoghi e alle tematiche lo spessore “dell’universalità”. E comunque queste due realtà hanno nel romanzo una valenza particolare, fortemente legata alla vicenda del protagonista.   Andrea infatti si muove problematicamente tra il paese e la città, ricevendo da questi input particolari che lo accompagnano nel percorso angosciato della ricerca di sé. Mi pare utile, da questo punto di vista, riportare quanto scrive Tommaso Scappaticci su “Letteratura & Società: “Una dimensione, quella interiore, che trova riscontro anche nelle coordinate spaziali e temporali e nella strutturazione del romanzo. La vicenda si svolge in luoghi innominati, proiettati in un’indeterminatezza che esclude possibilità di identificazione della città e attribuisce al paese i generici connotati di una località situata ai piedi di montagne …. Una vaghezza che rimanda all’impostazione interiorizzata della vicenda e alla corrispondenza con la prospettiva del personaggio strenuamente impegnato a trovare una soluzione alla sua inquietudine…”  

Il parametro temporale, invece, è inequivocabilmente quello degli anni settanta, con vicende che affondano le loro radici nel decennio precedente, gli anni sessanta. Non c’è la descrizione “storica” del periodo ma   lo si deduce, oltre che dall’atmosfera (coloro che hanno vissuto quegli anni, riescono addirittura a respirarla), da precisi passaggi e riferimenti a fatti che hanno avuto svolgimento proprio in quegli anni: la guerra in Vietnam, il “mattone selvaggio” e la speculazione edilizia dopo il boom degli anni sessanta e via di questo passo. Si tratta di un periodo che ben conosco e che ho vissuto intensamente dal “di dentro”. Sono stati gli anni della mia giovinezza impegnata e” impervia”, vissuta con “rabbia” ma anche con tanta speranza, perché era quello un periodo assai pieno e fecondo di umori nuovi, “rivoluzionari” dal punto di vista del sociale, economico e culturale. E anche in questo caso mi piace riportare alla mente un passaggio di una   recensione a firma di Francesca Neri: “Siamo agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso, quando, citando il film di Rosi, sulle città cominciano ad allungarsi le lunghe “mani” della speculazione edilizia e comincia a diffondersi il pernicioso- e ahimè durevole- fenomeno delle tangenti. Il lettore apprezza il modo in cui l’Autrice ha saputo dipanare la vicenda paradigmatica di Andrea legandola a precisi riferimenti di natura storica e sociale, senza che ciò confligga con l’affermazione preliminare che l’uomo è “sempre uguale e attuale nel tempo, con le sue grandezze e le sue debolezze, le sue verità e le sue ipocrisie, le sue speranze e le sue delusioni”.  Un uomo sempre uguale a sé stesso, ma pur sempre inserito in un contesto specifico, nello spirito del suo tempo che in qualche misura lo influenza.” 

Nel Suo testo viene messo in mostra un uomo con i suoi punti di forza, ma anche con le sue debolezze. Possiamo definirlo un “romanzo interiore”, anche in virtù del senso e del traguardo di liberazione da alcuni aspetti della sua vita che non riconosce più essere propri?

Il romanzo si muove certamente secondo il modello dello scavo interiore e dell’approfondimento della psicologia dei personaggi. Il mio intento è stato quello di descrivere una vicenda soggettiva estremamente complessa e problematica di un uomo, di Andrea, il protagonista, ma non solo, che viene costretto dal “mestiere di vivere”, a rinunciare alle sue idealità originarie, mutuate dall’infanzia e maturate nella cornice umana del suo paese, culla di affetti e della semplicità del vivere.  La città dove si trasferisce per poter lavorare, lo costringe invece ad adattarsi a modelli di vita dove i valori sono completamente rovesciati e il successo, coniugato al benessere economico e sociale, sembra essere l’unico modello praticabile per non soccombere e scadere nel fallimento e nella mediocrità. Il conflitto tra queste due dimensioni esistenziali, scatenato da un amore finito male, spinge il protagonista ad iniziare una tormentosa ricerca di sé stesso, desideroso di costruirsi un’esistenza nuova, lontana dai compromessi, dalle competizioni, dalla febbre dell’affermazione per contare di più nella propria sfera sociale. È uno scavo che coinvolge tutta un’umanità che gli gravita attorno, tratteggiata nei suoi aspetti salienti ma anche attraverso personaggi, Lorenzo e Paola, approfonditi nella loro individualità “scompigliate” dove è presente l’aspetto del delirio, delle ossessioni, dell’assurdo. Certamente in questo tipo di costruzione narrativa, si possono trovare tracce di autori del novecento che ho molto amato. Soprattutto gli scrittori esistenzialisti con il Sartre de “La Nausea”, l Camus di “Lo Straniero”), il Kafka de “Il Castello”, il Joyce di Dubliners e di Ulylisses del quale ricordo bene le tecniche narrative, con “l’epifania” ossia la rivelazione del proprio stato di “crisi” attraverso fatti anche banali, e il monologo interiore usato come strumento per arrivare alla scoperta/ riscoperta del sé. Ma a monte ci sono anche le “Memorie del sottosuolo” di Fedor Dostoevskij, considerato il romanzo esistenzialista ante litteram. E ancora, più vicino a noi, lo stesso nostro Moravia con “Gli indifferenti” … E non è stata neppure ignorata la lezione di Freud con la sua psicanalisi. Questo per dire che anch’io come tutti, sono stata figlia del mio tempo e che, quando scrivo, non posso non ritrovarmi addosso e dentro tracce significative degli studi, delle passioni e dei gusti letterari che hanno dato sostanza alla mia formazione intellettuale e, nello specifico, letteraria.