Intervista a Caterina Adriana Cordiano

La vicenda dell’avventura umana e dei suoi rapporti resta un mistero. Il senso profondo del Suo libro che ho percepito, analizzandone il personaggio, è in fondo un interrogativo… È la vita stessa a portare vendetta all’uomo o il tempo lo porta in un certo senso a “fregarsene “, a non pensare più a quello che succede agli altri, seppur hanno fatto parte della sua esistenza nel bene o nel male? In fondo si dice che la migliore vendetta sia dimenticare… 

Il viaggio interiore di Andrea verso la ricerca di una nuova identità esistenziale, non si conclude perché il motto socratico “conosci te stesso” mai si esaurisce. Se riflettiamo, anche il momento della fine trova gli uomini mentre ancora stanno percorrendo la strada, mentre cercano nuove verità e nuovi orizzonti. Ciò che ci consente di vivere in modo soddisfacente non è che una sorta di compromesso con noi stessi che non ci dà il “fortemente” cercato ossia la verità, ma la sua parvenza, un aggiustamento che appiana ma non risolve i problemi e i conflitti.  Che perdurano e che l’individuo è chiamato a sciogliere combattendo contro di essi battaglie dagli esiti sempre incerti. Da questo punto di vista, è la vita stessa che qualche volta con i suoi paradossi e le sue “assurdità”, riesce a dare una mano. Andrea vuole vendicarsi del torto subito ma alla fine non ne ha più bisogno perché due circostanze “risolvono” per lui l’angosciante questione. Salvo, scoprire, verso la fine, che quei fatti, vissuti come veri, sono stati solo frutto dei suoi vaneggiamenti, dei suoi deliri. La rinuncia alla vendetta diventa automatica perché a un tratto si scopre “cerebralmente appagato” dalle scene viste, anche se illusorie e false. Non solo, ma   si accorge che piuttosto che indifferenza verso i due suoi “nemici”, ora prova solo pietà convinto ormai che, date certe premesse (la follia e la mania suicida dell’uno, il fallimento e la tendenza alla perdizione dell’altra), sarà la vita, davvero questa volta, a punirli definitivamente. Un appagamento fittizio, certo, ma è quanto basta perché il protagonista si proietti verso un futuro anch’esso incerto ma pacificante, con affetti originari ritrovati e, forse, un nuovo amore. In definitiva, l’incertezza e la provvisorietà perdurano e incorniciano la vicenda umana che nel mio romanzo vuole essere emblematica della problematicità della vita e della ricerca vana di certezze definitive. E in proposito non posso che condividere un altro passaggio di una recensione critica di Antonio Roselli il quale scrive: “Il dramma di questo romanzo consiste nella natura deludente dell’amore e l’impossibilità di istituire legami umani sinceri, capaci di spezzare veramente la solitudine. Andrea vive all’insegna di continue complicazioni sentimentali, in cui domina incontrastata la menzogna e l’ipocrisia.” È da queste trappole che il protagonista creca di scappare, tentando di costruirsi attorno un mondo più umano e sincero…

Chiudiamo con un momento di grande poesia. Nel libro si mettono a confronto, con punte di contrapposizione, la tranquillità della vita di mare alla vita confusionaria della città… quale è il suo rapporto con il mare?  Le faccio questa domanda perché ho letto nel libro un pensiero interessante, che davvero faccio mio: “…quando si ha davanti il mare non si può stare male …”

Il mio rapporto con il mare è un rapporto di grande attrazione e fascino. Ne vedo la grandezza placida e accogliente ma anche l’eterno movimento, metafora della vita che mai si ferma. Passano le generazioni, ma quella distesa azzurra è sempre lì ad aspettare le generazioni che verranno e verranno ancora. Ma è anche ventre materno, l’ancestrale liquido amniotico, che sa essere amoroso, come una madre che dà la vita e la tutela.  Una madre che però, se tradita, riesce a trasformarsi in matrigna cattiva, che allontana e rifiuta, diventando ingorda di vite e simbolo di morte e dissoluzione, che trascina inesorabilmente verso gli abissi primordiali. Si tratta di simbologie mutuate dalla psicanalisi che pure, come dicevo, trova il modo di insinuarsi nel mio romanzo. E c’è da pensare, ad esempio, non solo al mare ma anche ai sogni del protagonista. Il mare, dunque, per me è tutto questo ma anche mistero inconoscibile; sia quando riempie di sé l’orizzonte, sia quando le onde placide si adagiano come bava carezzevole sulla spiaggia, sia quando s’infrangono irate e spumeggianti contro gli scogli.  Un unicum compatto ma anche diversità e molteplicità capace di suscitare sensazioni ed emozioni sempre belle, sempre nuove.  Ecco perché è un elemento che si presta ad essere lo scenario perfetto per Andrea che si interroga, consuma i suoi dubbi, i suoi drammi e dove scopre verità. Ma anche il luogo della sua tranquillità, della magia, della pace, perché in fondo e al di là di tutto, è vero che” quando si ha il davanti il mare, non si può stare male”.