La Chat hot è reato se compromette libertà sessuale, specie di un minore
La Suprema Corte (Cassazione sez. III Penale, sentenza 2 luglio – 8 settembre 2020, n. 25266 Presidente Rosi – Relatore Macrì) ha ritenuto legittima la contestazione del reato di la violenza sessuale anche a chi invia foto hard via WhatsApp a un minore.
Così ha deciso la terza sezione penale della Corte di Cassazione respingendo il ricorso dei legali di un indagato (uomo) per avere inviato messaggi e foto esplicite ad una minorenne invitandola a fare altrettanto. La difesa aveva sostenuto che “in assenza di incontri con la persona offesa o di induzione a pratiche sessuali via” di fatto sarebbe difettato “l’atto sessuale”.
Il Tribunale del Riesame però ha sottolineato -osserva la Cassazione- che “la violenza sessuale risultava ben integrata , pur in assenza di contatto fisico, quando gli atti sessuali coinvolgessero la corporeità sessuale della persona offesa e fossero finalizzati a compromettere il bene primario della libertà individuale nella prospettiva di soddisfare il proprio istinto sessuale”.
Inoltre, spiegano i giudici della cassazione, il Riesame “ha ravvisato i gravi indizi di colpevolezza del reato contestato nell’induzione allo scambio di foto erotiche, nella conversazione sulle pregresse esperienze sessuali ed i gusti erotici, nella crescente minaccia a divulgare in pubblico le chat”.
Con ordinanza in data 9 gennaio 2020 il Tribunale del riesame di Milano ha confermato l’ordinanza del 17 dicembre 2019 del Giudice per le indagini preliminari di Pavia che aveva applicato a ……. la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di violenza sessuale.
Il Tribunale del riesame ha ricordato che la violenza sessuale risulta pienamente integrata, pur in assenza di contatto fisico con la vittima, quando gli atti sessuali coinvolgessero la corporeità sessuale della persona offesa e fossero finalizzati e idonei a compromettere il bene primario della libertà individuale nella prospettiva di soddisfare o eccitare il proprio istinto sessuale.
Nello specifico, ha ravvisato i gravi indizi di colpevolezza del reato contestato nell’induzione allo scambio di foto erotiche, nella conversazione sulle pregresse esperienze sessuali ed i gusti erotici, nella crescente minaccia a divulgare in pubblico le chat.
Ed invero, Cass., Sez. 3, n. 8453 del 14/06/1994, Mega, Rv. 198841 – 01 ha qualificato come tentativo di violenza carnale (e non come diffamazione aggravata) il fatto di chi, minacciando – e poi attuando la minaccia – di inviare ai parenti di una donna foto compromettenti scattate in occasione di incontri amorosi con lei precedentemente avuti, tenti di costringerla ad ulteriori rapporti sessuale, non rilevando l’assenza di qualsivoglia approccio fisico, in quanto con l’effettuazione della minaccia, diretta a costringere la persona offesa alla congiunzione, iniziava comunque l’esecuzione materiale del reato; analogamente Cass., Sez. 3, n. 12987 del 03/12/2008 (dep. 2009), Brizio, Rv. 243090 – 01, secondo cui, ai fini della configurabilità del tentativo di atti sessuali con minorenne nel caso in cui il contatto tra il reo ed il minore avvenga mediante comunicazione a distanza, è necessario accertare, da un lato, l’univoca intenzione dell’agente di soddisfare la propria concupiscenza e, dall’altro, l’oggettiva idoneità della condotta a violare la libertà di autodeterminazione sessuale della vittima (fattispecie in cui il reo aveva inviato a mezzo telefono cellulare un SMS ad un minore nel tentativo di indurlo a compiere sulla propria persona atti di autoerotismo).
Più recentemente Cass., Sez. 3, n. 19033 del 26/03/2013, L, Rv. 255295 – 01 ha affermato, con ampi riferimenti alla giurisprudenza già formatasi sul tema, che nella violenza sessuale commessa mediante strumenti telematici di comunicazione a distanza, la mancanza di contatto fisico tra l’autore del reato e la vittima non è determinante ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante del fatto di minore gravità. Ha ravvisato l’integrazione del reato di cui all’art. 609-quater cod. pen. nella condotta di richiesta ad un minorenne, nel corso di una conversazione telefonica, di compiere atti sessuali, di filmarli e di inviarli immediatamente all’interlocutore, non distinguendosi tale fattispecie da quella del minore che compia atti sessuali durante una video-chiamata o una video-conversazione, Cass., Sez. 3, n. 17509 del 30/10/2018, dep. 2019, D., Rv. 275595 – 01.
Nello specifico il Tribunale del riesame ha valorizzato anche gli aspetti di contesto sulla persistente dolosa strumentalizzazione dell’inferiorità della vittima da parte dell’agente (Cass., Sez. 3, n. 15412 del 20/09/2017, dep. 2018, C, Rv. 272549).
Nella fattispecie la circostanza che l’indagato avesse perpetrato le stesse condotte nei confronti di altre minori, dimostrando di non saper controllare le proprie pulsioni, di lavorare all’estero e di non essere rientrato specificamente per consegnarsi alle forze dell’ordine, di poter continuare a minacciare le vittime nonché reiterare le condotte delittuose a mezzo l’uso di strumenti informatici – sono logici e razionali ed hanno ben giustificato la conferma della misura della custodia cautelare in carcere).
E’ necessario vigilare sull’utilizzo della chat, delle messaggerie, dei social e degli strumenti di comunicazione informatiche dei nostri giovani figli specie se piccoli o minori, la gravità delle conseguenze per la loro salute psico fisica è notevole, le conseguenze che ne possono derivare poi nel passaggio dal virtuale al reale incommensurabili.
Occorre attivarsi nel modo adeguato, chiedendo anche aiuto, aprendosi al dialogo, non accettando la recisa volontà di un figlio piccolo che vi nega l’accesso in ogni modo al proprio telefono.
E’ considerato uno dei campanelli di allarme.La posta in gioco è alta, la scuola non è sufficiente e lue istituzioni non sono in grado di dare supporto in questo tipo di vicende.
Spetta a chi è vicino quotidianamente ai figli attivarsi e cercare di intercettare o prevenire certi rischi o certe condotte.