Passeggiando per Bologna
Può una semplice passeggiata per il centro di Bologna, trasformarsi in un complesso dialogo interiore, un po’ conflittuale un po’ metaforico, che possa essere traslato in un articolo per Condivisione Democratica? Sì, il momento che il filo conduttore di questo numero è: pregiudizio, incapacità di riconoscere l’altro, sostegno agli emarginati. Intanto, cosa ci faccio a Bologna? Una partecipazione in qualità di attrice, ad una serie tv. E il dilemma da cosa nasce? Per quanto sia precario ed incerto, quello dell’attore, rimane uno di quei mestieri in cui, per dire delle battute in modo credibile e muoverti con disinvoltura davanti ad una macchina da presa, sei omaggiata, coccolata e riverita. In un giorno guadagni quasi una mensilità di un lavoro normale e in più fai il lavoro più bello del mondo, almeno secondo me. Il primo senso di disagio lo provo già semplicemente nell’affacciarmi alla finestra del mio hotel, con vista sulla piazza della stazione. Fa un freddo cane, ma io sono a maniche corte, che spreco, 22 gradi davvero non sarebbero necessari. Guardo i passanti tutti incappucciati, penso alle persone che non hanno un riparo.
Prima di andare sul set ho qualche ora libera, decido di fare una passeggiata verso il centro. Cammino sotto gli innumerevoli colonnati, affascinanti quanto luogo prezioso e rifugio dalla pioggia per i senzatetto. Vedo un primo povero, sistemato tra i suoi stracci a terra, con il suo piattino per le elemosina. Senza pensarci, raggiungo in fondo alla borsa gli spicci che ho e glieli porgo. Un uomo abbastanza giovane e molto grasso. Procedo poche decine di metri e vedo una donna, non vecchia e non grassa, che chiede anche lei le elemosina. Mi pento di aver dato gli spicci che avevo al signore precedente, solo perché grasso. Che stupido pregiudizio… poi arriva un signore di colore, riesco a trovare ancora qualche moneta, a lui non posso resistere. Sono vittima di un “razzismo al contrario”, ho quindi una tendenza innata a prendere le parti degli Africani. Anche questo un pregiudizio, no? Procedo verso la piazza principale e noto una situazione che mi porta all’argomento “incapacità di riconoscere l’altro”: una ragazza Europea, forse Italiana ma comunque bianca, è accovacciata intenta ad eseguire un’opera pittorica sul pavimento. Ha accanto un piattino per le offerte. Nel mentre mi rammarico di non poter darle un sostegno, noto un giovane credo del Bangladesh che, con un grande sorriso, ripone dei soldi nel piattino. Lo osservo mentre si allontana, magari verso la sua attività, il suo negozio o il suo ufficio, quello che sia.
Normalmente ben vestito, ha un passo deciso e soddisfatto: chissà quante ne ha passate, chissà se anche lui ha dovuto chiedere l’elemosina prima di poter trarre gioia nel farla a chi ora ne ha bisogno. Ecco, mi sono domandata, nel dialogo interiore che ha accompagnato i miei passi tra i vicoli, come questa stessa scena potrebbe essere interpretata in diverso modo a seconda dei nostri pregiudizi, di come riconosciamo l’altro, di come lo vediamo, di come siamo disposti a sostenerlo o ad emarginarlo. Io ho trovato questa scena semplicemente bellissima. Lascio a voi immaginare invece, come gran parte della gente avrebbe commentato, con le solite stupidaggini – gli stranieri ci rubano il lavoro – e simili. Sono giunta proprio in vista del palazzo su cui sono affissi da tanto, troppo tempo, i manifesti di denuncia sul caso Regeni e per la libertà di Zaki. Ora che, la meravigliosa notizia che Patrick è stato scarcerato, che la nostra preghiera collettiva si è trasformata in realtà, ecco che penso agli emarginati criminalizzati, i detenuti senza titolo, i perseguitati per un ideale. Il nostro Patrick Zaki, forse e mi auguro, avrà la forza in futuro, quando sarà davvero emerso dall’inferno in cui lo hanno gettato, di dar voce alle troppe persone che sono ancora private della libertà e combattere contro le ingiustizie di cui lui è stato vittima. Sarebbe una sorta di consacrazione della sua dura esperienza. Scommettiamo che lo farà?