Alberto Fortis: Siamo tutti piccoli Istanti di UN enorme Firmamento .

L’uomo che non ha alcuna musica dentro di sé, che non si sente commuovere dall’armonia di dolci suoni, è nato per il tradimento, per gli inganni, per le rapine. I motivi del suo animo sono foschi come la notte: i suoi appetiti neri come l’erebo.
Non vi fidate di un siffatto uomo. Ascoltate la musica.
William Shakespeare

Azzardando un’ardita ed ingenua utopia sociale vorrei un mondo dove non sia più il denaro o il potere a dare valore alle persone ma bensì la fantasia, la creatività e l’intelligenza. Non può esistere un FUTURO senza CULTURA, senza ARTE.

Condivido questo tuo desiderio. Penso che sia lo stesso di molte persone.
Da sempre vivo l’Arte, nel mio caso la Musica, come una missione vera e propria.
E’ Amore, Passione, Nutrimento dell’Anima, si fonde con la Vita stessa, diventa parte del tuo DNA, del tuo metabolismo, se fatta in maniera autentica.
In una società dove economia e politica continuano a inanellare sistematici e prevedibili fallimenti dovuti a “forma mentis” limitate di settori che troppo spesso favoriscono la “soluzione guerra”, diventa imperativo l’Avvento di Fantasia, Immaginazione, Visione Umanistica, che sono gli elementi genetici e portanti della Pace e dei Settori Artistici: solo la compenetrazione di questi due poli potrà sanare l’aridità endemica del prossimo immediato Futuro.
La Musica, inoltre, raggiunge la sua tridimensionalità attraverso la Fantasia e di conseguenza diventa materica. Dunque la Fantasia porta in sé una componente potenziale, concreta e tangibile, che si manifesta in onde sensoriali emotive ed espressività corporee.
Aveva proprio ragione Albert Einstein quando diceva che “L’immaginazione è più importante della Conoscenza”.

Proprio come affermava Charlie Parker, la tua Musica è fatta della tua esperienza, dei tuoi pensieri, della tua saggezza. E, soprattutto, ti salva nei momenti più difficili.

L’Arte è un faro che ci illumina, ci mostra la via nei momenti più bui.
Per esempio, i mesi di lockdown per la pandemia in atto hanno stimolato moltissimo la mia creatività. Li ho trascorsi nella casa di famiglia a Domodossola, un rifugio dell’anima, un luogo che è stato galeotto per quei momenti difficili e si è trasformato in un vero e proprio laboratorio artistico.
Ogni angolo di quella casa è legato a diversi momenti della mia vita e ha fatto riaffiorare molti ricordi legati all’infanzia, pregni di romanticismo. Questo ha sicuramente influenzato le dirette e i piccoli concerti che facevo sui social, arrivando a toccare persino il teatro dell’assurdo.
In particolare, un angolo del giardino ha avuto rilevante importanza per il mio percorso artistico: è quello che io chiamo il posto delle fragole, frutti che i miei amavano coltivare.
Avevo appena 5 anni e nutrivo una forte attrazione per quel luogo ed é stato proprio lì che ho captato quel segnale, quell’indicazione che si sarebbe poi rivelata fondamentale 20 anni dopo.
Innamorato della musica dei Beatles, mi ritrovai infatti nel tempio della musica internazionale, negli studi di Abbey Road a Londra, per registrare il mio album “Fragole infinite“, grazie alla collaborazione del loro produttore Sir George Martin.
Ho provato la grande gioia di usare lo stesso microfono che Lennon usò per registrare “Strawberry Fields Forever” e di ascoltarne versioni mai pubblicate. Ascoltando l’uso delle chitarre e delle sonorità in queste versioni, mi ha riportato alla musica di quel gruppo che 30 anni dopo avrebbe dato inizio al fenomeno del grunge: i Nirvana.
“Straberry Field Forever“é stata un’icona sociale e generazionale ed è il brano di Lennon che più rappresenta il fenomeno Beatles.

Penso che i Beatles possano essere paragonati ad un Mozart della nostra epoca, anche se questa affermazione potrebbe suscitare reazioni tra i ‘puristi’ della musica classica.

E’ proprio così. La genialità, in qualche modo l’anticipazione che i Beatles con la loro musica hanno realizzato, a livello epocale e generazionale è davvero sorprendente.
C’è stata un’alchimia che ha fatto sì che questi 4 ragazzi di Liverpool anticipassero ciò che la musica negli anni successivi avrebbe continuato ad attingere dalla loro sorgente.

I Fab Four probabilmente hanno fatto una cosa irraggiungibile ad oggi, perché in quel periodo storico c’era un senso della collettività e un senso della musica come unione tra le diverse fasce sociali, tra i diversi Paesi.

I Beatles rimarranno sempre una luce in fondo al tunnel, luce che spero possa risplendere sempre di più in tutti gli artisti.
Quando ho scritto “Fragole infinite” mi sono sentito attirato da questa luce e, come tanti altri, sono entrato nel vortice della loro musica.
Il mio non era un atteggiamento da fan ma quello di una persona che, facendo questa professione, ha il respiro di Musica e di Arte, sente e metabolizza la materia trattata con dei codici che qualcuno è riuscito ad esprimere con altezze somme, come hanno fatto i Beatles, ma che, in qualche modo, hanno la capacità di unire tra loro modi di pensare e modi di agire.
E’ appena uscito un interessante libro di Donato Zoppo, per cui ho scritto l’introduzione, che si intitola Un nastro rosa a Abbey Road – Il 1969 dei Beatles. il 1979 di Lucio Battisti, dove vengono raccontati questi due mondi attraverso due celebri brani: Something e Con il nastro rosa.

Il mondo è cambiato. La musica è cambiata. Le piattaforme digitali hanno consentito una facilissima e immediata fruizione a 360°, con i conseguenti risultati contradditori.

Siamo nell’era della multimedialità e i giovani vivono nell’illusione del web.
E’ vero che da un lato c’è molta visibilità ma al tempo stesso si è imprigionati in una giungla dove spesso vengono azzerate le competenze professionali. E’ triste pensare che il futuro di un artista sia legato al numero di like sui social e che questo condizioni la messa in onda radio/tv.
C’é mancanza di contenuto.
Se mi chiedi cosa penso della maggior parte dell’Arte Musica di questo periodo, rispondo specificando che, a mio avviso, c’è una contraddizione di termini nella domanda stessa. Perché, volendo usare la parola Arte, è più corretto chiedere cosa si pensa della minor parte dell’Arte Musica di questo periodo.
Un Paese come il nostro dovrebbe premiare la Bellezza.
Mi domando dove sia l’afflato poetico di certi ‘artisti’. Dietro si celano interessi di Maison di moda.  Sono esclusivamente frullatori di soldi. 
C’è un dispendio di expertise, tempo  e denaro per premiare chi è portatore di brutti valori. 
E non mi si deve dire che una volta c’era David Bowie! Questo riflette una mentalità che distorce la realtà.
Se penso poi che questi ‘artisti’ vengono invitati nelle trasmissioni televisive e li si accoglie con elogi tipo: “Complimenti perché state facendo letteratura contemporanea“…. ritengo sia più elegante rimanere in un’educata neutralità!
Tutto questo riconduce ad uno stato dell’Arte che non porta certo alla sensibilizzazione nei confronti di determinati valori e tematiche.

La mia famiglia e la dura formazione accademica al prestigioso Collegio Rosmini sono stati fondamentali per acquisire tutti quei valori necessari per abitare con dignità in questo mondo.
Fare Arte è una missione di dignità.
Dobbiamo sempre ricordarci che l’Arte, quella autentica, e la nostra Vita non nascono mai come merce da buttare sul mercato ma sono un fiore che cresce sul ciglio della strada, senza chiedere niente a nessuno, ma sempre pronto a farsi cogliere da chi davvero lo sa riconoscere.

Il tuo è’ un concetto meraviglioso e aggiungo che sarebbe opportuno recuperare il senso autentico della Bellezza. Purtroppo spesso ci troviamo a fare i conti con una cultura nichilista dove, come afferma l’antropologo Corrado Gnerre, ogni gesto è uguale e non vi è differenza tra un’impresa eroica e l’espletamento dei propri bisogni fisiologici.

Mi collego al pensiero di Pessoa che afferma che i valori delle cose non si misurano con la durata nel tempo ma nell’intensità con cui avvengono. Per questo ci sono dei momenti indimenticabili, delle cose inspiegabili e delle persone incomparabili. Facendo riferimento a queste tre precisazioni, vuoi condividere alcuni ricordi?

Indimenticabile per me è l’incontro con Alain Trossat, Presidente della Polygram (Universal) che, dopo tre anni di porte chiuse in faccia da parte delle altre case discografiche, decise di farmi un contratto di 5 anni con un minimo di 3 album.
I brani, ritenuti fino ad allora non idonei a pubblicazione, erano Il Duomo di Notte, Milano e Vincenzo e La sedia di lillà: se non mi fossi imbattuto in questo francese laureato alla Sorbona forse non avrei iniziato la mia carriera.
Sono stati molti i momenti magici nella mia vita. Uno di questi é stato, senza alcun dubbio, l’incontro quasi casuale, ad una jam session con Al Jarreau a New York, con i musicisti che avrebbero poi collaborato a “La Grande Grotta” e sto parlando di Abraham Laboriel, Dean Parks, Mitch Holder, Alex Acuña, John Phillips, Garey Mielke.

Un incontro che mi è rimasto nel cuore è stato quello con Cynthia Lennon, moglie di John. Attraverso il racconto delle sue vicissitudini, della sua sofferenza, del suo fronteggiare situazioni complesse e dolorose, mi ha insegnato la Bellezza e il potere terapeutico della Musica.

Cose inspiegabili? Da ragazzo suonavo la batteria e a 18 anni, dopo due mesi dalla perdita di mia madre, mi avvicinai al pianoforte e all’improvviso cominciai a suonarlo, componendo i brani di quello che sarebbe diventato il mio secondo album “Tra demonio e santità“.
Questo ha dell’inspiegabile! Ma io credo nella Vita dopo la Vita e nell’esistenza di un mondo trascendente che, in qualche modo, ci manda delle indicazioni.

Una persona incomparabile è il Dalai Lama. L’ho incontrato più di una volta e mi ha colpito il suo sguardo. Uno sguardo di uno ‘spirito antico’ che ti mette completamente a nudo.

Tu hai viaggiato molto. E il viaggio è anche una lezione di diversità. Quale luogo ha avuto maggiore impatto su di te?

Sono affascinato dalle culture indiane, sia dell’ovest che dell’est. Per me sono fonte di grande nutrimento spirituale.
Amo i grandi filosofi indiani e, dal punto di vista naturale, amo tutto il sud-ovest degli States, in particolare le terre legate alla cultura dei Nativi d’America: i posti sacri, il Grand Canyon, la Monument Valley… sono luoghi intrisi di “mana“.
Dal 1992 sono Ambasciatore Unicef per i bambini della popolazione nativo-americana Navajo.
Amo profondamente i bambini e sono padre di un piccolo Fortis in India. Lui vive in un istituto nel Kerala, nell’India meridionale e grazie alla mia adozione ha potuto avere tutto ciò per nascita gli era stato negato. Ha il mio amore, una casa e la possibilità di studiare.