Intervista ad Eva Romoli
La ragazza che sapeva trattenere le cose che sparivano. Storia di una principessa un po’ maga e un po’ fotografa.
“In questa guerra che ammutolisce, vedo bambini con piccole borse colorate camminare al freddo accanto a madri, sorelle, nonne, zie.
Tutte donne che hanno il coraggio di ricominciare.
Penso tante cose; quelle che chi capisce più di me, sa comprendere e analizzare meglio di me.
Stasera mi atterrisce una cosa minima.
Se sei madre, sorella, nonna, zia e ti trovi in questa situazione e devi fuggire, lasciare la tua casa, le tue cose, il tuo posto, la tua cucina, le tue lenzuola pulite, cosa fai mettere ai tuoi figli, ai tuoi nipoti in quelle borse?
Un cappello per il freddo, matite colorate, un libro, un pupazzo, un maglione in più, la foto di una vacanza al sole, la cioccolata?
Come si fa a dire a un bambino questo sì, quello no. Come si fa a scegliere?
Come si fa?
Il mio pensiero minimo va a quelle donne, tutte, e a quei bambini”.
Eva Romoli
Somiglia in tutto ad una bambina antica, il suo aspetto fisico, i suoi lunghi capelli che ti viene voglia di sistemare con un enorme fiocco dal colore sgargiante, il tono della sua voce, la sua lentezza quasi avesse a disposizione l’eternità, la sua ingenuità, le sue lettere, i suoi pensieri e le sue parole scritte come in un diario segreto, quello di un tempo che aveva lucchetto e chiave. Il suo desiderio di fermare il tempo traspare in ogni cosa che fa, che pensa, che dice, appare come un volersi rapportare ad uno dei momenti più felici e sereni della sua vita. Eppure è una donna, una professionista, forte, coraggiosa, profonda. Ma quell’odore di biscotto appena sfornato che racconta una storia come fosse una favola, se lo porta addosso come un secondo abito.
Eva Romoli nel 2016 inizia un’attività molto curiosa, fotografa insegne antiche di ogni tipo di attività commerciale. Ovviamente inizia da Roma, sua città d’origine, ma poi la sua iniziativa interessa ogni parte del mondo e coinvolge sempre più persone grazie alla pubblicazione su Facebook. La storia coinvolge e raggruppa sempre più persone, amici reali e virtuali, che la sostengono, le inviano materiale, condividono e commentano. Eva diventa popolare, La Repubblica le dedica un ampio spazio sul quotidiano, la curiosità cresce e questo suo piccolo mondo antico inizia a diventare sempre più grande e popolato.
L’abbiamo incontrata per i lettori di Condivisione Democratica.
Più che una passione la sua appare come una esigenza, un bisogno, una chiara volontà di fermare il passato, i ricordi, le emozioni di un tempo in cui la semplicità e la felicità erano più a portata di mano, come se non si dovesse poi faticare molto per ottenerle. Quando si è resa conto di quanto fosse necessario e fondamentale utilizzare
la fotografia per ristabilire un legame così forte ed irrinunciabile?
“Era febbraio 2016. La mia idea originaria, quel pomeriggio, era di fotografare tutti i posti dove ero stata felice con l’uomo di cui ero innamorata. Volevo regalargli una foto per ogni posto in cui eravamo stati insieme. Poi, guardando portoni e vetrine, mentre aspettavo per entrare al cinema, in quei momenti che sembrano momenti persi camminando sul marciapiede, mi sono caduti gli occhi sull’ìnsegna rossa della tavola calda. Era quell’ora del pomeriggio, che ancora non è buio e che basta già per rendere le insegne ancora più luminose.
Ho usato la fotografia che conoscevo, quella col cellulare, perché era l’unico strumento per creare la mia scatola dei ricordi; per fermare i ricordi nel tempo; per dare a quei posti, a quei profumi, a quei mestieri e storie, una vita senza fine”.
Cosa accade ogni volta che fotografa una vecchia insegna?
“Provo la grande soddisfazione di esserci riuscita, di aver fatto in tempo, di essermi spinta per caso fino a lì. In realtà non sono mai andata apposta a cercare insegne per le strade. Sono le insegne che si sono lasciate trovare durante le mie passeggiate e i miei spostamenti a piedi e poi tantissime le devo ai miei amici, di vita e dei social. Alcuni conosciuti virtualmente solo grazie a questa avventura e che non smettono ancora di farmi costantemente bellissime sorprese”.
Una raccolta di oltre mille insegne in sei anni, la prima risale al 2016. Sono raccolte in tutto il mondo?
“Sono arrivata a 1094 e sì, vengono da tutto il mondo. Ho iniziato dal mio quartiere e mi sono allargata a tutto il mondo, alle piccole isole greche, a quasi tutti i posti di vacanza di amici e di mio fratello. Le insegne sono diventate quello che erano in passato, le cartoline (anche di queste ne ho una bella collezione, una scatola di tutte quelle ricevute): ogni insegna diventa un pensiero e un saluto per me”.
Qual è stata l’insegna più significativa e per quale motivo?
“Quasi impossibile sceglierne una…. Le mie preferite sono foderami, passamanerie, negozi di bottoni, cartolerie, vecchie salumerie; se proprio devo scegliere, d’istinto il pensiero va al vini e olii vicino casa, che poi ha chiuso dopo poco tempo e sono stata felice di aver fermato quel ricordo, prima che venisse cancellato dalla strada.
Le insegne vanno di pari passo con mestieri ormai quasi del tutto scomparsi o con definizioni di mestieri che sembrano non appartenere più al vocabolario comune e quotidiano. Salsamenteria, coloreria, foderami, mesticheria. Parole che per molti rappresentano un vissuto sano e pieno. Il linguaggio dei giovani oggi è più aggressivo e diretto. Secondo lei il mestiere del “narratore” di vita passata può aiutare i ragazzi ad un confronto più maturo anche con se stessi?
Sarebbe un aspetto sul quale riflettere, ma che non nasce con la mia collezione. La mia raccolta ha una lettura molto più personale e non voglio veicolare nessun insegnamento. Mi basterebbe che la foto di un’insegna di foderami sollevasse la curiosità di chi ora o fra qualche anno non sa e non saprà nemmeno che anni fa si compravano le fodere e i bottoni, per fare e per riparare i vestiti. Mi piacerebbe non andassero perse quelle attività e quelle atmosfere, quel modo di vendere e comprare senza fretta. Per esempio il piccolo mondo che ruota intorno alle pizzicherie, ai commessi con le cravatte dai nodi grossi, alle persone che entrano, si riconoscono e si salutano”.
Quanto è importante la volontà di condivisione in lei e come pensa di attivarla nel modo più ampio possibile?
“La condivisione è l’anima di questo percorso. Per questo ho scelto di pubblicare tutte le foto in un album pubblico su fb: per renderlo visibile e fruibile da tutti quelli che ne abbiano curiosità e per fa partecipare più persone possibili. Fossi stata da sola, questa raccolta non sarebbe diventata quella che è.
Ah, importante: anima del progetto è che le foto devono essere scattate sul posto, bisogna passarci davanti fisicamente e poi ogni foto deve essere localizzata topograficamente (sempre la città, meglio se con la via). Unica eccezione l’ho fatta io fotografando, all’interno di due ristoranti e di un negozio di sanitaria, le loro foto delle vecchie insegne, conservate in quadri appesi al muro, dopo la ristrutturazione dei locali”.
I suoi studi di archeologia ed il suo lavoro all’Istituto austriaco sono una parte importante della sua vita. Qual è il suo sogno per il futuro?
“I miei studi sono il mio passato e quello che mi ha formata e resa quello che sono, regalandomi lo sguardo che ho sulle cose, sulla storia e sulle parole; il lavoro che faccio da 20 anni mi permette il contatto con le persone e lo amo per questo. Di sogni ne ho sempre tanti. Se devo dirne uno legato a questa esperienza è pubblicare un libro con una scelta di insegne, raccontando la storia vera di quell’attività e scriverne accanto una io, una immaginata da me”.
Come immaginava il mondo da adulta quando la mattina prima di andare a scuola comprava mille lire di pizza bianca per la merenda?
“Per me, il mio mondo futuro di bambina era tutto il mio presente e contava solo che le persone che amavo fossero con me e che non mi mancasse mai il mare d’estate, la lista dei regali di Natale da scrivere con mio fratello, la pizza bianca sotto al banco. Mi immaginavo ballerina e mamma. L’immaginazione non mi è mai mancata”.
La sua iniziativa ha destato molta curiosità ed interesse, tanto da coinvolgere il quotidiano La Repubblica che le ha dedicato ampio spazio. Quando ha iniziato a fotografare le vecchie insegne immaginava ci potesse essere uno sviluppo “produttivo” e costruttivo?
“No, non l’ho mai pensato e non lo penso neanche ora. Per me iniziare è stato come mettere ricordi in un cassetto e mai avrei immaginato tutto questo interesse e le proposte che mi sono state fatte”.
Sulla sua pagina Facebook ha creato l’album “Lettere antiche” dove pubblica non solo il materiale fotografico ma pensieri, riflessioni, spunti e brani di altri autori.
“L’album #lettereantiche su fb è dedicato solo alle insegne. L’album per le parole è #parolemie dove scrivo delle mie cose, senza un vero filo logico, se non il mio istinto, per fissare i miei momenti di gioia e quelli tristi. È nato per non lasciare perse nel flusso di fb le mie parole. Come vede, l’istinto alla conservazione e alla raccolta sono sempre prioritari per me!
Tra tanto materiale ho molto apprezzato il suo scritto sui bambini, le donne e la guerra.
Cosa metterebbe lei in quelle borse preparate frettolosamente per fuggire all’orrore della vita?
Me lo sono chiesto e quella lista mi spaventa: mi sembra ridicola e priva di rispetto per chi si trova senza niente ad elencare le mie cose.
Gli occhiali, un libro di mio fratello, l’astuccio, la mia agenda, il telefono e il carica batterie, le tre forcine per capelli di mia nonna, un sasso del mare di Santorini, una foto di mio padre che dorme sotto l’albero, le chiavi di casa, un fiocco di raso di mia madre, un rossetto e la mia acqua di colonia”.
La rubrica “cose belle”, sempre su Facebook, è come un vademecum della vita semplice e facile. Ognuno credo voglia raggiungere questo obiettivo. Cosa fa lei per costruire un percorso più o meno lineare al di là di ciò che accade soprattutto in una città di sicuro difficile e caotica come Roma?
“Innanzitutto cerco di capire e di non scordare le cose belle che mi capitano; cerco di spronare il mio ottimismo. Anche nei giorni peggiori, sempre capita una cosa bella. Per esempio, durante il lockdown, uno dei primi giorni più tristi in assoluto, mi sono sorpresa contenta di una camelia che stava sbocciando. Così ho iniziato a scrivere ogni giorno una #cosabella nella mia agenda. A volte mi va di condividere queste cose su fb con una foto e allora può essere la gioia di mia madre per una torta inaspettata, mio fratello che torna per Natale, ritornare a parlare passeggiando per Roma con un’amica, che temevo di aver perso, il caffè con le amiche la domenica pomeriggio, prima del cinema, un mazzo di fiori il sabato mattina al mercato, una posizione a yoga che mi rende felice, un cibo speciale cucinato, una telefonata inaspettata. Ogni giorno capita una cosa bella, quello che serve è il tempo per accorgersene e quello di fermarsi per scriverla. Quando la scrivi, è ancora più bella, perché resta e non passa più. Non c’è nulla di lineare nella costruzione di questo percorso, che rimane ad ostacoli e di sicuro non porta alla felicità. Non esistono vite semplici e facili (nemmeno la mia lo è) e raccogliere cose belle mi aiuta a tollerare tutto il resto. Come passeggiare lungo gli argini del Tevere, guardando le cupole delle chiese e i terrazzi meravigliosi da sotto, scordandosi il traffico delle macchine che passano di sopra.
È come guardi le cose, che fa la differenza”.
Molti di noi si sono trovati a dover “camminare con una stampella” a volte anche solo metaforicamente, reggersi spostando il peso tutto da una parte, affrontare scalini, marciapiedi, strisce pedonali e porte dure da aprirsi con la spinta di una sola mano.
Eva è una donna forte, coraggiosa e “allenata”?
“Sono una donna: forza e coraggio me li sono dovuti prendere da sola”.
Quali sono le sue passioni oltre alla fotografia di insegne antiche?
“Amo leggere e scrivere, il mare e la cartoleria, con tutto il mondo di penne, stilografiche, inchiostri, adesivi, nastri colorati e carte dai vari spessori. E mangiare”.
Anche il suo aspetto rimanda un po’ al passato, a quelle donne di un tempo, dal viso importante, i lunghi capelli morbidi e gli occhi un po’ abbassati quasi per pudore, timidezza e riservatezza, dalla bellezza particolare e un po’ mistica. Cosa vuol dire essere donna oggi, cosa vede di diverso nel confronto con sua madre?
“Essere donna so quello che vuol dire per me, non so se sia “essere donna oggi”: per me è non smettere mai di credere di poter essere felice, di avere sempre un nuovo mare da scoprire. Questa illusione di avere davanti a me tutte le possibilità, è il regalo del cuore di mia madre. Il suo insegnamento più bello è in fondo la mia ricchezza vera”.
Continuerà a fotografare insegne antiche o ha già pensato ad un altro modo per rapportarsi al suo essere bambina, fanciulla, adolescente, creatura di un piccolo mondo antico?
“Tutta la mia vita è un rapportarmi alla bambina che metteva da parte i cataloghi dei giocattoli per Natale, da settembre. La vedo e la porto in ogni cosa che faccio. Le insegne, continuerò per sempre a raccoglierle. Insieme a lei”.