‘MASTERS of WAR’

“PEOPLE HAVE THE POWER”.

di Alessandro da Soller,
scrittore e musicologo

Francois Lapierre @francois_lapierre_bd
https://www.facebook.com/francois.lapierre.946

Credo che tutto ciò che sogniamo possa realizzarsi, attraverso la nostra unione possiamo trasformare il mondo, possiamo trasformare la rivoluzione della terra”.
Patti Smith

La guerra è il proseguimento della politica con altri mezzi.
Ho sempre odiato le strade battute e ribattute. Quelle dove anche gli incapaci hanno il coraggio di correre. Ho sempre preferito sentieri impervi e pericolosi dove azzardare, per il piacere di confrontarmi con la paura.
Poi sono cresciuto e la saggezza mi ha chiesto di frenare, proponendomi una tregua.
Guardare avanti senza sfidare la sorte.
Il primo step con la mia personale guerra l’ebbi a trentadue anni.
Nudo su un lettino operatorio, aspettavo di essere operato di cancro al colon. Quella volta non riuscii nemmeno a piangere.
Incapace di progettare anche solo le poche ore che mi restavano da vivere cantavo sottovoce, fino a quando la pietà dell’anestesista mi regalò un sonno profondo.
Oggi sono ancora qui e quella battaglia sofferta metro dopo metro in silenzio, mi ha reso ancora più consapevole che l’unica guerra accettabile è quella contro il male.
Quella che aiuta il popolo sofferente senza farlo ulteriormente soffrire.

La famosa canzone di Patti Smith mi ritornò quasi subito al risveglio, assurgendo a colonna sonora delle settimane di degenza.
La sua voce un mantra da ripetere mentre il dolore si affievoliva giorno dopo giorno. Scritta a quattro mani con il marito nell’ottantotto e inserita nell’album Dream of Life, è una classica ballad rock a tempo medio che gira quasi sempre su due accordi. Re e sol maggiore. La ritmica la impone la chitarra con una pennata costante in down, che conferisce al brano uno stile selvaggio e senza compromessi, un po’ come la sua autrice.
Patti preferisce parlare più che cantare e sbracciandosi composta, sembra più l’eroina di un comizio politico rivoluzionario che una cantante.
Parla di un sogno fatto di valli splendenti e aria pura, ma soprattutto di forza popolare. Sotto la voce, la batteria ad azzannare il tempo.
Lei è calma ma l’incedere sembra tutt’altro, fino ad arrivare a qualche battuta prima del ritornello. A quel punto il ritmo rallenta, si fa tenue, per poi scoppiare.

People have the power.

La Smith, un po’ diafana, molto anticonformista, non ha mai nascosto il suo stile austero, eppure ci ha fatto innamorare lo stesso. Nata a Chicago, città del blues, si è data al punk e alla new wave, fregandosene della quarta aumentata. Ha combattuto una lotta mai silente per l’umanità e oggi le rubo questo meraviglioso brano per ricordare a chi ha la memoria corta, che aveva ragione Oriana Fallaci, la mia autrice preferita, quando diceva che la storia non ha storia. Anche lei anticonformista e profondamente affascinante.

Di questo pezzo storico, ce ne sono diverse versioni. Da quella ufficiale in studio, all’esplosione popolare in concerto con gli irlandesi U2.
Lei, che ci addita con lo stesso monito, mentre i quattro ormai assurti all’olimpo delle leggende sembra si rompino le scatole.
Nessuno ride o forse per la prima volta sono preoccupati di suonare qualcosa che non fa parte di un repertorio trito e ritrito.
Ma è la paladina che ci trascina con il vigore della sua presenza.
Batte il piede e arringa gli spettatori.

Siamo noi che possiamo cambiare. È il popolo che fa la differenza. È il popolo che può far ragionare i sordi dittatori dimentichi che la terra è solo una.

E che sopra di essa conta solo l’opinione popolare.
Sono le donne che arrancano ogni giorno, le eroine di una guerra silente che non interessa nessuno.
Sono le donne Ucraine che abbracciano i loro figli, le paladine di una resistenza che ha una coda lunghissima.
Sono le madri russe che attendono figli e mariti di ritorno dal fronte.
Sono le madri di tutto il mondo che aspettano che il cielo si rifaccia terso. Eppure, avremmo dovuto dissetarci con l’esperienza passata.
L’assedio di Stalingrado sarebbe dovuto rimanere per sempre nella memoria di un popolo che ha ceduto milioni di vite per salvarne altrettante.
Nessuna razza o credo politico giustifica una baionettata.
Nessun interesse economico giustifica un’invasione.

Siamo sempre noi sotto questo cielo.