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Lo ammetto. Sono stata anche io e lo sono di tanto in tanto tuttora, attirata in quel vortice di vanità ed esibizionismo che impera attualmente nella nostra società: fotografarsi nelle più svariate situazioni, dando in fondo anche sfogo alla propria creatività, ma indubbiamente in un moto incontenibile di vanità.

(Instagram @loretta-rossi-stuart)

Quando sono arrivata, nel leggere la favola di Apuleio “Eros e Psiche”, alla quarta prova iniziatica della bella Psiche, è stato come ricevere una carezza di assoluzione rispetto al mio peccato di vanità e, conseguentemente, una sorta di generalizzata assoluzione nei riguardi delle numerose donne che cedono alla tentazione dei selfie.
La favola di Psiche, esoterica e illuminante per ciò che concerne in particolare l’evoluzione spirituale femminile, ci racconta come la bellissima e coraggiosa moglie mortale di Eros, osteggiata e messa duramente alla prova da Afrodite, riesce a superare le prime tre difficilissime prove pur di riuscire a ricongiungersi al suo amato Eros e a venir elevata ed infine accolta nell’Olimpo. Soffermiamoci su ciò che simboleggia la quarta prova, dove la vanità femminile trova una sua sublimazione.
Narra Apuleio: “Ma per quanto frettolosa di portare a termine il servizio, le vinse l’animo una temeraria curiosità e si disse – Sciocca che sono! Io che porto la bellezza degli Dei non me ne prenderò neppure un pochino per piacere al mio bellissimo amante? – e detto così dischiuse il vasetto. No, dentro non v’era nulla di tutto questo, niente bellezza ma un sonno infernale”.

Come ci indica Erich Newman nel suo saggio “Amore e Psiche” Il tentativo di Afrodite di annientare Psiche raggiunge il suo culmine nella quarta prova: l’unguento di bellezza che Psiche deve andare a prendere è proprietà di Persefone, dea degli inferi. Mettere nelle mani di Psiche l’unguento di bellezza è un’astuzia degna proprio di Afrodite e della sua conoscenza della natura femminile.
Quale donna potrebbe resistere a questa tentazione, e come potrebbe resistere proprio una Psiche?
Lei che ha tra le mani l’unguento di bellezza della dea e decide di aprire il vasetto e di usare per sé l’unguento, dovrebbe essere perfettamente consapevole del pericolo che questo comporta. Tuttavia decide di non dare ad Afrodite quello che ha così faticosamente acquisito e lo ruba. Psiche è una mortale in lotta con una dea. Ma questo fallimento di Psiche spinge lo stesso Eros a entrare in azione, trasforma il fanciullo in uomo e l’amante fuggitivo in salvatore. 

Quindi ci sarà un epico lieto fine a questa favola di tribolazione dell’animo femminile in cui trova il suo senso ed il suo sposto, financo la vanità, diventando un fattore di crescita iniziatica, in quanto diretta e motivata, dalla ricerca e la conquista dell’amato. Insomma, ragazze, giovani e meno giovani…se la sappiamo gestire con eleganza, la vanità può essere poetica e creativa.
Ovvio…non esageriamo!

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…marzo, e già cagna l’aria…

con le tue infinite apparenze, i tuoi infiniti volti…

con il profumo della primavera che accarezza il vento, con le dune che iniziano a colorarsi, accompagnate dalle giornate che si allungano, e che invitano le rondini a tornare e le lucertole a sguizzare, in allegria…

marzo ti adoro, non lasciarmi

Il mio T9 appena scrivo “masc” mi suggerisce “mascherina”, tanto per sottolineare quanto questo momento storico sia pieno del sistema di protezione individuale che copre bocca e naso, ma per un lungo periodo la “mascherina” era usata per coprire gli occhi e parte del volto, come sistema di protezione individuale sì, ma non dalle malattie, ma dalle rappresaglie dei gendarmi.

Certo non parlo di rapinatori o di assassini che cercano di non essere riconosciuti dai poliziotti, ma di quelli che sbeffeggiavano i potenti e, al pari di rapinatori e assassini, potevano essere perseguiti dalla giustizia.
Il Carnevale ha avuto questo ruolo sociale per molti anni, per secoli. Tanto da poter avere proprio un momento preciso dell’anno dedicato.
Sembra che il nome derivi da “Cernem Levare“, cioè “eliminare la carne” che è quello che si faceva durante la cena dell’ultimo giorno del periodo quando si approssimava il Mercoledì delle Ceneri ed iniziava la Quaresima della Pasqua. Ma le origini sono ancora più lontane e senza andare a pensare ai babilonesi o agli antichi greci, pensiamo agli antichi romani che avevano il Calendario che terminava proprio alla fine di febbraio (il giorno in più, quel 29 Febbraio, infatti prima era un giorno aggiuntivo messo proprio alla fine dell’anno) e in quei giorni potevano festeggiare con il sovvertimento dell’ordine normale delle cose, delle convenzioni sociali. Un pò a ricreare il caos primordiale da quale il nuovo anno può nascere.
Il Servo diventa padrone e il Padrone serve i propri schiavi.

Il caos vissuto forse anche come segno apotropaico in una società così strutturata come quella romana e completato da una rigenerazione che può essere il processo, con una condanna e con un funerale.

Una distruzione prima della ricostruzione.

Mi sembra effettivamente di buon auspicio, soprattutto per questo 2022 che è iniziato “in salita”.

Il Carnevale ora è una sfilata di travestimenti e di costumi che possano far ridere o che facciano in qualche modo far sentire di “appartenere” ad una comunità che ha una passione in comune. Basta vedere i costumi che indossano i ragazzi per capire: tantissimi supereroi (da Spiderman a Ironman, passando per Hulk e Thor), qualche anime (vado per supposizione, perché non ne conosco nessuno) e qualche personaggio di Film “cult” o delle serie TV Netflix (le maschere di Dalì diventate famose per La Casa di Carta, tanti personaggi StarWars ad esempio), tanti animaletti simpatici (essenzialmente cani e gatti, ma ho visto anche una mucca) e poi personaggi esotici (ballerine di flamenco, odalische che indossavano la mascherina chirurgica prima che fosse su tutti i nostri volti, agghindatissime Frida Kahlo, Antichi romani,…).

(Immagine dal Web)

Una volta però il Carnevale era la sfilata delle maschere del teatro popolare e che, per un periodo dell’anno, diventavano quasi personaggi “normali”, accolti nella società e ancora più ascoltati. Rappresentazioni macchiettistiche e caricaturali dei vizi e dei costumi, ma anche dei “potenti”. Nello “sberleffo” verso il signorotto locale o verso la “classe dirigente”, il Carnevale svolgeva la propria funzione sociale. Da questo nascono le nostre “maschere nazionali”. Ne abbiamo tante, ne cito solo qualcuna, andando sù e giù per lo stivale. C’è Arlecchino che nasce a Bergamo ed era il servo svogliato ma furbo che si ingegnava in mille truffe e imbrogli per diventare ricco e c’è Pulcinella, nato tra i vicoli di Napoli che col primo condivide l’indole furba e truffaldina, ma con un tratto distintivo: non riesce proprio a tenere un segreto e dice sempre la verità anche se in modo strambo. Uno che indossa un vestito completamente colorato mentre l’altro uno completamente bianco, con la caratteristica mascherina nera. A Roma Meo Patacca e Rugantino erano sempre pronti ad attaccar briga, uno scontroso bullo trasteverino il primo, un gendarme il secondo, anche se comunque di estrazione popolare.
I veneziani prendevano in giro i ricchi facendoli rappresentare da Pantalone che è vestito in modo superbo, ma è di una avarizia esagerata, Bologna faceva il verso ai suoi dotti facendoli diventare dei Dottor Balanzone pedanti, vestiti con la toga e sempre pronti a metter giù citazioni dotte, anche se senza né capo né coda.
A Milano è Meneghino, a Firenze è Stenterello, a Perugia è Bartoccio, a Genova Capitan Spaventa il personaggio che in modo a volte sbruffone ed esageratamente vanaglorioso tira fuori le sue doti cercando di impressionare.
Tutti uomini?
E no, abbiamo anche Colombina e Corallina, Giacometta e Rosaura che spesso in tutto questo “carnevale” delle commedie dell’arte hanno un ruolo di primo piano come tessitrici di intrecci complicati ed esilaranti.

Tante maschere, tante storie che si intrecciano, ma un unico scopo, quello di prendersi un pò meno sul serio e capire che anche i potenti, quelli che sembrano infallibili, sono in realtà fallibili e hanno tanti e tanti vizi, oltre alle proprie virtù e – almeno per una volta all’anno – se ne può parlare tranquillamente. Con o senza maschera sul volto.

Siamo nel pieno del Carnevale, una festa popolare che affonda le sue radici in un antico passato.

I dolci, gli scherzi, i travestimenti rendono il Carnevale uno dei periodi più allegri e divertenti dell’anno.

Le “maschere” sono protagoniste indiscusse: insieme a quelle tradizionali quali Arlecchino, Colombina e Pulcinella, legate alle tradizioni locali del teatro popolare, ritroviamo molti personaggi protagonisti di favole classiche e moderne avventure: fate e maghi, principesse e principi, supereroi della Marvel, fantasmi, strane creature e personaggi fantastici. 

È una festa molto amata dai bambini ed anche molto apprezzata dagli adulti.

Basti pensare ad alcune delle più classiche manifestazioni della tradizione popolare come il Carnevale di Venezia, di Viareggio, di Putignano, per citarne alcuni tra i più conosciuti, caratterizzati da sfilate di carri allegorici i cui protagonisti non solo sono maschere della Commedia dell’Arte ma rappresentano goliardicamente anche personaggi della cultura e della politica del nostro tempo. 

(Autore: Yoshi Nakanishi – Licenze Creative Commons)

Molto particolare è anche il Carnevale di Tufara, in provincia di Campobasso: l’ultimo giorno di Carnevale si assiste alla sfilata del diavolo, tra corse, danze, salti e acrobazie.

Una manifestazione che origina dalle tradizioni contadine e che riecheggia riti propiziatori legati alla natura e alla fertilità, nel periodo di passaggio tra l’inverno e la primavera, i un connubio tra sacralità religiosa e profano.

Il tema delle maschere e dei travestimenti riecheggia nelle culture di tutti i tempi che, con il Carnevale, prende forma dalla tradizione e dal teatro popolare.

Un tema affrontato in letteratura e approfondito dalle scienze sociali. 

Utilizzando la metafora del teatro drammaturgico, il sociologo Erving Goffman ha evidenziato come ciascun individuo metta in atto una rappresentazione di sé stesso nel corso delle proprie relazioni sociali quotidiane, dove l’identità individuale coincide, di volta in volta, con la maschera che egli indossa nelle differenti messe in scena sociali. 

Non possiamo fare a meno di volgere l’attenzione anche al pensiero di Luigi Pirandello, da cui emerge il contrasto tra maschera e volto, tra apparire ed essere, tra esteriorità e interiorità. Un precursore dei nostri tempi, dove tale contrasto emerge ancor più potentemente per il tramite delle tecnologie e per l’uso ormai quotidiano dei social media. La realtà – ma di quale realtà stiamo poi parlando? – diviene una realtà virtuale, in cui è facile immergersi fino a perdere la propria identità. 

Ed ecco che la maschera, da ciascuno indossata nel quotidiano, si tramuta in una moltitudine di maschere da mostrare, in una società sempre più caratterizzata da istanze narcisistiche, per apparire, per simulare ciò che viene richiesto dai ruoli e dalle circostanze, per conquistare uno spazio nella realtà virtuale…o forse anche nella realtà di tutti i giorni!

Oggi, forse in misura maggiore rispetto al passato – chissà poi se questo dipende dalla percezione di ogni donna o uomo che vive nel proprio tempo – viviamo un periodo storico in cui il contesto sociale e culturale è caratterizzato da profonde incertezze, accentuate trasversalmente dalla pandemia e, in questi ultimi giorni, da conflitti geopolitici che si tramutano in guerre. 

Siamo in un’epoca fortemente connotata da spinte narcisistiche e individualistiche, in cui è attribuita una grande importanza al successo, al denaro, e all’apparenza, che spesso sconfina nell’ostentazione. 

Spesso sono le generazioni di giovani ad essere viste come quelle che maggiormente popolano i social, cercando di conquistare il proprio spazio e la propria identità, anche nel tentativo di costruirsi un’immagine che possa portarli al successo (il web pullula di influencer, di beniamini da imitare). Ad una attenta osservazione non sfuggirà, tuttavia, che si tratta di un fenomeno trasversale, in cui narcisismo ed esibizionismo contagiano copiosamente tutte le fasce d’età. 

Forte è la spinta a condividere la propria immagine di sé, spesso indossando una maschera, per apparire, per fare bella figura, per celare le proprie incertezze e insicurezze.

La maschera rappresenta l’aspetto esteriore con cui ciascun individuo si presenta all’altro, ciò che gli altri vedono e giudicano. Ciò che appare è visibile, ma può anche non corrispondere alla realtà.

Come è possibile distinguere il vero e dal falso? 

«In ogni falso si nasconde sempre qualcosa di autentico» è la frase cardine del film “La migliore offerta” di Giuseppe Tornatore. Il protagonista, Virgil Oldman, esperto di arte, sottolinea che spesso, nel ricreare un’opera d’arte, «il falsario non resiste alla fatale tentazione di metterci del suo», ciò che in qualche modo rende l’opera comunque autentica. Allora forse possiamo ipotizzare che non sempre celarsi dietro ad una maschera equivalga a fingere. Sono sempre presenti elementi di autenticità. Ciascuno vede la realtà attraverso il proprio modo di essere, le proprie idee e rappresentazioni del mondo, che mutano nel corso della vita. 

Dunque, indossare maschere è un’abitudine quotidiana. 

Che non significa soltanto apparire, talvolta significa anche proteggere le proprie fragilità o semplicemente scegliere a chi e come, dal proprio punto di vista, secondo la complessità del proprio mondo, regalare all’altro quel che si ritiene la parte più autentica e più preziosa di sé stessi.

A ognuno la propria maschera! 

Aristotele diceva che l’apparenza è il punto di partenza per la ricerca della verità e in fisica è proprio così.

Sentito mai parlare di forze  apparenti? Le forze apparenti entrano in gioco in fisica per spiegare il cambiamento dei principi della dimamica in sistemi non inerziali. Un sistema non inerziale è un sistema che si muove in modo accelerato. Tutto, forse anche nelle relazioni sociali, è molto più semplice se i sistemi di riferimento degli osservatori si muovono in moto rettilineo e senza accelerare o decelerare, in questo modo si  osservano le stesse identiche cose pur stando in sistemi di riferimento differenti, ma questi purtroppo sono solo modelli fisici, nati per semplicaficare il problema e tirare fuori una teoria che spesso si rivela molto più complessa. 

Quando i due osservatori si trovano su sistemi di riferimento che non viaggiano più a velocità costante non riescono più a percepire le stesse sensazioni, in questo caso le forze. L’osservatore sul sistema non inerziale avverte le cosidette forze apparenti, dovute alla sua accelerazione, mentre l’altro nel suo sitema inerziale no. Un bel gran casino, non  si capisce più nulla…ma non è quello che ci accade sempre confrontandoci quotidianamente con le persone? Non sempre riusciamo ad essere lineari e costanti ed è così che creiamo un’apparenza di noi stessi che non sempre corrisponde a realtà, ma “don’t panic”, fermiamoci un secondo e osserviamo meglio…immaginiamo un osservatore seduto in una macchina che viaggia a velocità costante ed uno fermo alla fermata dell’autobus. In macchina il conducente ha una palla sul sedile, che succede se improvvisamente frena (decelera)? Sappiamo tutti che la palla cade a terra, ma in fisica il movimento è associato alle forze e quale forza spinge la palla a terra? La forza apparente creata dalla decellerazione dell’auto, forza che per l’osservatore che aspetta l’autobus non esiste, lui potrebbe dire che è l’auto che scivola sotto la palla perché decelera. 

Benché  apparente, la forza che l’automobilista avverte é presente e viva così come l’apparenza che creiamo, se pur involantariamente, di noi stessi. 

Perchè nascondiamo spesso la nostra vera natura dietro una data immagine? Per convenzione sociale? Per compiacere gli altri? Io non lo so eppure spesso ci ritroviamo ad essere vittime delle apparenze, che come le forze anche se apparenti hanno delle conseguenze a volte positive a volte negative. Forse in fisica, capito il meccanismo, lo schema diventa più chiaro ma nelle relazioni sociali, a mio parere, esistono troppe variabili per arrivare alla vera realtà e non sempre siamo disposti a spendere il nostro tempo per scoprirla. Anche se “il tempo è relativo” all’atto pratico c’è che nella vita non ne abbiamo poi così tanto e sprecarlo sarebbe un gran peccato, non ci resta che valutare quando vale la pena di indagare se effettivamente dietro all’apparenze c’è una bella realtà, cosa che non sempre è così facile.  Anche il Sole  ha fatto scherzi, dal nostro punto di osservazione, fino a che qualcuno non ha indagato, sembrava che si muovesse per apparire di giorno e scomparire di sera, in realtà poi si è capito che era il nostro sistema di riferimento Terra a muoversi, questo è quello che si dice moto apparente, lo si può osservare nel Sole e in molti altri astri. 

Valutiamo quale sia il Sole o l’astro per cui  valga la pena scoprire realtà che va oltre l’apparenza, il nostro tempo su questo Mondo è limitato e per stare bene non ci estra altro che consumarlo nei migliori dei modi, cercando di fare sempre quello che ci si fa stare bene per vivere serenamente e se per noi vale la pena studiare quello che va oltre l’apparenza facciamolo, potremmo trovare una bella realtà o aver fatto solo una nuova esperienza.