Archive for 2024

Home / 2024

Giorgia Bellini in prima persona ha sofferto di DCA e per questo ha deciso di voler dedicare la sua vita nell’aiutare tutte le persone che ne soffrono.
Nasce così CORABEA: una startup innovativa che ha realizzato un percorso online personalizzato in base ai bisogni delle persone che soffrono di DCA con un’equipe di più di 30 esperti tra Psicologi e Nutrizionisti specializzati nel trattamento dei Disturbi Alimentari.
I professionisti di CORABEA lavorano con un approccio multidisciplinare lavorando in sinergia tra di loro.
Ogni esperto è tenuto regolarmente a fare formazione con i responsabili per garantire un servizio d’eccellenza. Gli esperti vengono selezionati dall’ equipe al fine di cercare di offrire la migliore qualità ed esperienza a tutti i clienti.
Il servizio sarà dunque una applicazione innovativa, la prima in Italia, che offrirà supporto a chi soffre di DCA e verrà lanciata durante l’evento di sensibilizzazione del 15 marzo organizzato dal team alla Sala dei Notari a Perugia (Palazzo dei Priori), grazie al supporto del Comune, della Regione, della USLUmbria1 e dell’AFAS Perugia.

Vi è mai capitato di avere l’impressione che sia la vostra vita a vivere voi? Di sentirvi scorrere tra le dita infiniti attimi tutti uguali a se stessi? Di sentirvi come su un treno in corsa con destinazione sconosciuta, talmente veloce da impedirvi di godere del paesaggio e nella totale impossibilità di scendere? Sul volto l’espressione dell’urlo di Munch: la disperazione di chi non riesce a ricordare da dove viene e dove sia diretto.  L’eterno inconsolabile perché la causa del suo dolore è sconosciuta. Nausea e vertigine. Trappola mortale dell’anima. Un’ombra tra le mille sfumature della fragilità umana.

L’epoca delle passioni tristi” è un libro complesso scritto da due psichiatri, Miguel Benasayag e Gerard Schmit, che ha l’obiettivo di portare alla luce un malessere diffuso, un senso di impotenza e di incertezza, segno di una cultura occidentale malata. La sua  complessità sta proprio in un’analisi della crisi storica, che non si ferma quindi solo al mero aspetto psicologico o sociologico e che secondo loro risiede nel non ascolto del disagio giovanile. La tristezza è dunque l’emozione predominante e una condizione sociale. A causarla sarebbero fattori esterni, come la perdita di fiducia nelle istituzioni, problemi globali come la disuguaglianza,  l’ingiustizia sociale e l’alienazione. Invitano a riflettere su come questo possa diventare uno strumento per mantenere lo status quo e impedire un cambiamento sociale,  ma contemporaneamente suggeriscono di aprirsi alla possibilità di trasformare queste emozioni in una forza trasformativa sociale ed individuale. 

Umberto Galimberti ci aiuta nell’analisi, sostenendo che l’ottimismo dell’occidente è finito e che il Dio di Nietzsche è veramente morto. La nostra cultura ha due antiche radici: quella greca, unica cultura, secondo Galimberti, che avesse davvero il coraggio di guardare i faccia il dolore, senza ricorrere a speranze ultraterrene, ma che rappresentava un ottimo incentivo per godere del momento, e quella giudaico-cristiana, costruita interamente sulla promessa di salvezza eterna, nella concezione che il passato è il male, il presente è possibilità di redenzione e il futuro è salvezza. Per quanto possa suonare paradossale, lo stesso pensiero lo ritroviamo in Marx, con la differenza che il futuro salvifico è, in questo caso, rappresentato dalla nobile azione umana della rivoluzione, come condizione di riscatto e miglioramento. Il Dio di Nietzsche a questo punto è già tecnicamente morto, nel senso che non è più la chiave di volta, ma in questo contesto storico, i concetti portanti come la scienza, la rivoluzione e l’utopia rappresentano ancora il lume dell’ottimismo.

Oggi la scienza non è più in grado di mantenere le sue promesse e c’è una presa di consapevolezza che il suo sviluppo non coincide con quello della felicità. La rivoluzione, che per Marx era una contrapposizione di volontà, sembra non essere più una possibilità, in quanto è venuta meno la contrapposizione stessa: ora tutto è sottoposto alle regole del mercato.

Il futuro, dunque, da promessa è diventato minaccia e la nostra psiche accoglie le ricadute e la disperazione di un’epoca. I vincoli sociali e affettivi sono al collasso nel nome di un individualismo sfrenato. Per quanto riguarda i giovani e il rapporto con i genitori, possiamo leggerlo nella chiave di un contrattualismo, in cui una mentalità mercantile diventa una modalità educativa.

Alessandro D’Avenia ha definito quest’epoca delle passioni tristi come “questo nostro tempo ebbro di emozioni di superficie, ma assetato di amori profondi, esangue e spento per mancanza di destini tesi a diventare destinazioni…” Questo splendido giovane autore, nel suo libro “L’arte di essere fragili”, ci parla del rifiuto della vita, di “una generazione ora in ansia, ora in fuga dall’esistenza che le è toccata” e si chiede “ma dove sono finite le passioni felici, profonde e durevoli?

D’Avenia ci confessa che il segreto della felicità gli è stato svelato da qualcuno a cui mai avrebbe pensato: Giacomo Leopardi.
Parlando di Leopardi pensiamo subito a due cose: la gobba e il pessimismo.
Anni e anni di letteratura tra i banchi di scuola, con la complicità di docenti forse poco sensibili, non sono stati clementi con l’immagine di questo poeta del XIX secolo , segnata nell’immaginario comune da sofferenza e isolamento.  Ma Leopardi è lontano dall’essere solo un “poeta malato”. È stato un osservatore acuto  del mondo che lo circondava,  della bellezza e della grandezza della natura. 
Leopardi, anche nei suoi momenti più bui, ci trasporta in un viaggio attraverso il sublime,  rivelando la sua capacità di cogliere l’infinito nel finito e di vedere l’eterno nel transitorio. Il suo superpotere è stato quello di accettare le sue difficoltà e trasformarle in poesia. 
Attraverso la sua sensibilità e il suo coraggio,  si erge come un modello e come un maestro,  soprattutto per i giovanissimi. In un’epoca in cui la società ci fornisce solo istruzioni tecniche,  Leopardi ci ricorda l’importanza di vivere appieno, di abbracciare le passioni e i sentimenti che ci rendono umani.

D’Avenia scrive: “Leopardi ebbe presa sulla realtà come pochi altri, perché i suoi erano sensi finissimi, da predatore di felicità. A guidarlo era una passione assoluta. La custodiva dentro di sé e la alimentò con la sua fragilissima esistenza nei quasi trentanove anni in cui soggiornò sulla terra; per questo ebbe un destino scelto e non subito,  pur avendo tutti gli alibi per subirlo o per ritirarsi da qualsiasi passione.  Fu invece un cacciatore di bellezza,  intesa come pienezza che si mostra nelle cose di tutti I giorni a chi sa coglierne gli indizi,  e cercò di darle spazio con le sue parole,  per rendere feconda e felice una vita costellata di imperfezioni.

Riguardo alla passione di Leopardi per i cieli stellati:

Nessuno di noi si sottrae al rito delle stelle cadenti, perché almeno una notte ogni trecentosessantacinque tutti vogliono sentirsi parte di una storia infinita, nella quale al cadere di una stella si leva un desiderio, come se i nostri sogni fossero collegati con i movimenti dell’universo secondo una logica perfetta. Gli antichi, infatti, dicevano che se le stelle non determinano i fatti della vita almeno li influenzano. In quell’istante, immersi nel buio che copre il brutto vizio di non sentirci all’altezza della vita, siamo finalmente titolati a esprimere nel silenzio del nostro cuore ciò che per noi più conta, ciò per cui desideriamo vivere. Quella scia silenziosa di fuoco penetra attraverso i nostri occhi e con il suo ultimo sussulto di fiamma innesca le polveri inerti del nostro cuore, provocando un’esplosione ed espansione inedita. In quel momento sentiamo di meritare la bellezza, proprio per la sua gratuità, e si fa strada in noi la fiducia che la vita quotidiana possa diventare il terreno fertile per coltivare i nostri desideri, perché fioriscano. Sono attimi che mi piace definire di “rapimento”, improvvise manifestazioni della parte più autentica di noi, quel che sappiamo di essere a prescindere da tutto: risultati scolastici, successi lavorativi, giudizi altrui e l’esercito minaccioso di fatti che vorrebbero costringerci entro i confini della triste regione dei senza sogni. In una notte di stelle la parte più vera di noi cerca di farsi spazio.

Nasciamo tutti con un fuoco che ci brucia dentro, questo fuoco può essere speranza o disperazione, ma forse possiamo attingere alla bellezza delle stelle, dell’arte e della poesia per trasformare questo fuoco in luce viva per il nostro cammino e per aiutarci a vedere ciò che veramente siamo e ciò che siamo in grado di realizzare.

Ho conosciuto Giacinta De Simone, qualche anno fa, in uno dei primi Festival della Sociologia di Narni, adesso arrivato alla sua VIII edizione, dove ci siamo ancora ritrovati. Ci ha subito unito l’interesse per questa materia affascinante e complessa (che è stata anche il suo oggetto di insegnamento nelle scuole), per le sue mille sfaccettature ed implicazioni sociali e politiche ma anche per i suoi riflessi individuali. 

Un microcosmo è sempre in rapporto con il macrocosmo che vi viene in qualche modo riflesso. E, forse partendo proprio da questa sua interiorità, che Giacinta De Simone ha sviluppato la sua passione per la poesia, prima ancora che per la sociologia.

Interno ed esterno, interiorità ed esteriorità, individuale e sociale, tutto si lega in questo suo sviluppo intellettuale. Sì, perché solo successivamente ho scoperto che dietro la sociologa, la docente di scienze umane e sociali, la counselor, c’era una poetessa. Scoperta stupefacente perché è raro trovare dei poeti, sarà che è rimasta scolpita nella mia mente l’orazione di Alberto Moravia, pronunciata nell’ormai lontano 5 novembre del 1975 alle esequie di Pasolini, dove affermava in modo accorato  “…E poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto in un secolo…”.

Certo, non si vogliono fare qui paragoni  inopportuni o impropri,  ma è pur certo che ci sono valide poetesse e poeti seppur nascosti e rari da trovare e ciascuno di loro è un microcosmo che rappresenta un mondo intero affascinante ed insolito.

Per Giacinta De Simone la poesia è una carezza per l’anima e un sogno di vita da parte di una persona molto sensibile, che si rivolgerà poi al sociale, non solo come studio e professione ma anche come impegno e partecipazione. E’ anche una persona estremamente riservata e avvezza alla modestia ma ha partecipato a importanti concorsi nazionali di Poesia e ha pubblicato le sue poesie con diversi editori.

Di seguito, in tema con il riconoscimento dell’altro che abbiamo deciso per questo numero di Condi-Visioni, una delle sue ultime pubblicata da Aletti Editore nel dicembre 2023, recita così:

La mia dedica a te

Tu.

Divini occhi azzurri,

     nei quali si legge e “tocca”

     l’avvolgente consistenza

d’umanità e d’anima

del tuo infinito.

Ne ho scelte tre dalla sua raccolta personale Poesie Chiare, che sono molto rappresentative del leit-motiv di questo numero.  

Poesia blu

Vorrei riversare su di te
non solo poche onde
ma tutto intero il mare del mio amore.
Non un mare scuro che ti sommergesse
senza più lasciarti vedere l’azzurro del tuo cielo.
Un mare chiaro, leggero, trasparente…
che miriadi di piccole gocce
bianche, celesti, azzurrine
ti danzassero libere intorno…
Fra tutte, vorrei che tu
ne lasciassi una posarsi sul tuo cuore
e, amandola, ti accorgessi che essa è blu.

Poesia blu” in AZ Arte Cultura 1995 Anno XX n.82.

In risposta a una tua fotografia

Nei tuoi occhi io mi vedo,
nel tuo sorriso c’è il mio,
io ci sono,
nei tuoi silenzi che mi abbracciano
io non mi perdo.

In risposta a una tua fotografia” in Figli oggi e domani Notiziario CAF 1997 Anno VII n.13.

Il colore dei neri

Il loro colore i neri
non ce l’hanno sulla pelle.
Come tutti quelli che hanno sofferto
ce l’hanno dentro, nell’anima.
E’ il colore della fatica e del sudore
nei campi di cotone,
il colore della sofferenza e del dolore,
della discriminazione e dell’apartheid,
del razzismo e della schiavitù.
E’ il colore intenso della loro musica
quando i loro corpi si muovono danzando
come solo loro sanno fare,
quando suonano jazz, swing e rhythm and blues,
quando cantano nei cori gospel.
E’ il colore del discorso di Martin Luther King
quando legge “I have a dream”,
delle troppe volte in cui qualcuno con disprezzo
li ha chiamati “negri”
e ha negato loro i diritti umani.
E’ un colore nero che brilla di luce, d’anima e di libertà.
E’ il colore dell’umanità alla quale tutti da sempre apparteniamo:
la nostra intera umanità, l’unica umanità.

Il colore dei neri” Newsletter Associazione Nazionale Sociologi (ANS) n. 4/2020

Nota biografica: Giacinta De Simone, nata a Gallipoli (Lecce) il 18 aprile 1955. Laurea in Sociologia, Diploma in Counseling, già Docente di Scienze umane e sociali, Counselor.

Le poesie e le foto sono state gentilmente concesse dall’autrice