Incontro con Maurizio Gregorini – “Il Simbolo”

NASCE A ROMA “IL SIMBOLO” CASA EDITRICE DEL POETA MAURIZIO GREGORINI, FONDATORE E PROPRIETARIO. POESIA, NARRATIVA, SAGGISTICA DI TEMATICA SPIRITUALE IN UNA DIFFERENTE IDEA PER EVOCARE IL SENSO DI UN FASCINO POETICO.

Intervista a Maurizio Gregorini in libreria con la nuova opera “Ki. Segni dallo spirito” e la riedizione del romanzo “Neve e Sangue”.

“Inizia così il viaggio di nuove pagine dense di parole belle, contenuti intensi e sogni inafferrabili che, dalle pagine dei bei libri voleranno verso nuovi lettori. Voglio anche dire che i volumi sono curatissimi, le copertine affascinanti, la qualità della carta e dei caratteri di stampa di grande valore estetico. Perché la Bellezza inizia dallo sguardo e dal tatto per poi arrampicarsi lassù, in alto, dove si può. Anche se non si sa”  (Carla Vistarini, pagina Facebook commento sulla presentazione della casa editrice “Il Simbolo” Libreria Feltrinelli – Roma 10 aprile 2024)

Il poeta, giornalista e scrittore Maurizio Gregorini (Roma, 1962), torna nelle librerie con due nuove opere: “Ki. Segni dallo spirito” e “Neve e sangue” (il primo 167 pagine, 15,00 euro, è il suo nuovo libro di poesia, di cui è stata stampata una edizione privata fuori commercio, pagine 202; il secondo, un romanzo, 120 pagine, 15,00 euro, con prefazione del poeta Giorgio Ghiotti, è la riedizione – con aggiunta di racconti introvabili da anni – di un libro edito nel 2007), pubblicati dalla neonata editrice “Il Simbolo”, di cui è unico fondatore e proprietario. Gregorini è autore di poesie, racconti, romanzi, saggi. Ha pubblicato diversi volumi di poesia, alcuni con la prefazione di Dario Bellezza, Luca Canali, Livia De Stefani, Elio Pecora, Riccardo Reim. E’ stato responsabile della Terza Pagina di un quotidiano per oltre quindici anni, e per oltre trent’anni ha pubblicato articoli, interviste, saggi su periodici vari.

Tra il 1997 e il 1999 sui quotidiani “Giornale d’Italia” e “Italia sera” ha curato le rubriche “Inediti d’autore” e “Prova d’autore”, intere pagine monografiche di grande eco e successo in cui dava spazio e voce anche a giovani poeti (parecchie di queste voci sono confluite nel volume “La musica dell’inquietudine. 25 autori si raccontano”, Ianua 2002). Parte della sua produzione poetica è in “Vortici. Poesie per l’altro amore” (2002) che gli ha valso il “Premio Personalità Europea” (trentaduesima edizione), consegnatogli presso la Sala della Protomoteca del Campidoglio durante la “Giornata d’Europa”. E’ il curatore di “Poesie in diesis” (2002), opera poetica – postuma – di Livia De Stefani. Nel 1997 ha pubblicato “Morte di Bellezza” (Castelvecchi), riedito nel 2006 da Stampa Alternativa col titolo “Il male di Dario Bellezza”, vincitore del Premio Mangialibri nella categoria “Miglior rapporto qualità/prezzo del 2006”; nel 2016, sempre l’editrice Castelvecchi ne ha stampato una nuova edizione aggiornata. Nel 2009 Menico Caroli e Guido Harari hanno inserito una sua lunga intervista inedita nel volume “Mia Martini. L’ultima occasione per vivere”, mentre Gianluca Polastri ne ha inserita un’altra sulla poesia in “Festinalente. Il sogno di Ganimedia”, antologia di poesia Gay. Insieme all’attore poeta e regista Giangiacomo Ladisa ha pubblicato “Con gli occhi celesti. 20 anni di lavoro indipendente”. Luca Baldoni ha inserito un fascio di sue poesie nell’antologia “Le parole tra gli uomini” (2012), definendolo l’erede dell’asse poetica Penna-Pasolini-Bellezza. Nel 2012 viene pubblicato in America un’opera sul pittore Simon Dinnerstein, “The suspension of time. Reflections on Simon Dinnerstein and ‘The Fulbright Triptych’”, Milkweed Editions, dove è stato inserito un suo saggio, unico autore italiano invitato a parteciparvi. E’ stato autore e conduttore radiotevisivo (“Outing”, piattaforma 877 di Sky e Teleroma 56; “Un disco e un libro da comprare”, Teleradiostereo). Nel 2012 Radio Vaticana, nella proposta radiofonica “Pagine e foglie”, gli ha dedicato il programma “Storie”, condotto da Arianna De Gasperi. In occasione del trentennale della sua attività poetica, nell’ottobre 2017 Castelvecchi, nella collana ‘Cahiers’, ha mandato in libreria “Sigillo di spine. Le poesie” (opera omnia nonché edizione completa di tutti i libri di poesia editi, con aggiunta di inediti), che ha ottenuto il “Premio speciale della giuria” della III Edizione del Premio Letterario Internazionale “Antica Pyrgos”. Nel 2019 è stato inserito nel volume “Roman Poetry Festival. Quarant’anni dopo il Festival Internazionale dei Poeti” (Ponte Sisto Edizioni). 

Ki: Segni dallo spirito

– Gregorini, ci conosciamo da oltre trent’anni. L’idea di una casa editrice l’aveva in testa già anni or sono. Una attesa, la sua, che alla fine è divenuta una realtà: “Il Simbolo”. Mi parli di questa nuova attesa avventura…

“Cosa vuole sapere esattamente?” 

– Veda lei: per quale motivo l’ha fondata, cosa vuol dire essere un poeta e adesso altresì un editore, che tipo di pubblicazioni avrà la casa editrice, a che pubblico intende rivolgersi…

“Partiamo dall’ultimo interrogativo: penso che un autore non abbia mai in mente il tipo di pubblico da cui vorrebbe essere seguito, ossia letto; perlomeno io non ci ho mai pensato: lascio libero chicchessia di scegliere cosa leggere e cosa evitare non prestandogli interesse. Forse, in qualità di editore, ora il quesito dovrei pormelo, e invece no, non mi sfiora nemmeno l’idea di cercare un pubblico distinto per ciò che si editerà. Per il momento ho pubblicato il nuovo bel libro di poesia di Raffaella Belli e quello di Giorgio Ghiotti, anch’esso notevole. E’ appena stata editata l’opera omnia della Elsa de’ Giorgi, con cura e prefazione di Pecora, più la riedizione dei libri di poesia di Agostino Raff; infine, sta per uscire ‘Tutto il teatro’ di Elio Pecora, con prefazione e cura del bravo Marco Beltrame. Poi, si vedrà. Il motivo che mi ha spinto a realizzarla? Forse la stanchezza di avere relazioni con editori che se ne fregano poco di quel che vorresti fosse mandato alle stampe, e che non ti ascoltano quando auspicheresti evitare situazioni imbarazzanti, come ad esempio la scelta grafica di un libro, sia del corpo del carattere quanto della copertina, senza escludere che quasi mai nessuno di questi rimunera agli autori le royalties maturate, dunque, se debbo far guadagnare inutilmente e a scapito mio editori che a volte nemmeno apprezzano il tuo lavoro, è meglio mettersi in proprio, come del resto stanno facendo vari autori tramite autoproduzioni. Ma quel che davvero mi ha convinto a realizzarla, sebbene io goda della mia esperienza quasi quarantennale nel mondo dell’editoria, è l’aspirazione a rendere pubblici testi di autori che meritano e mi piacciono. Ovviamente, in alcuni casi e con degli autori, ci sono stati, ci saranno, anche i ‘no’, seppur dolenti: non posso pubblicare tutti, certo che decisioni simili non mi porteranno simpatie, ma che farci? Se un libro non mi piace e non ci credo, al di là delle possibili vendite, non lo edito. Insomma, una piccola casa editrice, di nicchia, che proponga testi di qualità. E’ un buon proposito, non crede? Debbo però qui ringraziare Fabio Capocci delle Edizioni Ponte Sisto e tutto il suo magnifico team, in particolare la grafica Daniela, che mi hanno permesso, sposandolo appieno, la totale realizzazione di questo sogno che rincorrevo da anni. Senza la complicità di Fabio Capocci, per il momento, non avrei mai potuto attuare un progetto – penso di buona caratteristica – come quello de ‘Il Simbolo’; è a tutti loro che va il mio grazie sincero e soprattutto affettuoso per avermi accolto nella loro famiglia editoriale”. E poi, l’attesa: conosciamo come ‘attendere’ significhi conservare uno stato d’animo nella sospensione di un tempo ampio in cui si realizzi qualcosa conforme alle proprie speranze. Ecco, come lei ben sa, ho atteso parecchi anni; ora però questo vecchio desiderio è divenuto realtà, e tuttora continuo a stupirmi di essere riuscito a concretizzarne il senso ma, lo ripeto, se non ci fosse stata la disponibilità e l’affetto di Fabio Capocci – che presto diverrà mio socio – tutto questo non sarebbe stato possibile”.  

– Ha presentato il suo progetto alla Feltrinelli di Roma. Ci saranno altre iniziative? 

“La presentazione della casa editrice ha avuto un ottimo riscontro. Con me c’erano Raffaella Belli, Elio Pecora e Giorgio Ghiotti, tutti entusiasti di queste edizioni. Per l’occasione si è spiegato come ‘Il simbolo’ non includerà soltanto libri di poesia o narrativa, ma soprattutto saggistica di tematica spirituale. Ci saranno anche occasioni di edizioni particolari, vedi la pubblicazione dell’opera omnia teatrale di Pecora, che trovavo andasse fatta, sia per rispetto dell’autore, sia per l’importanza che tali testi hanno avuto nel panorama teatrale italiano. A settembre pubblicherò il nuovo libro di Antonio Veneziani; nel frattempo sto valutando delle opere che mi sono state inviate da autori vari”.

– Lei non dava alle stampe opere dal 2017, ora esce contemporaneamente con due volumi. 

“Si riferisce a ‘Sigillo di spine’, l’opera omnia lirica licenziata da Castelvecchi. Quella è stata una occasione per unire ogni libro di poesia edita negli anni; inoltre festeggiava il trentennale dell’attività poetica. C’è da dire che, con lo scorrere degli anni, presumibilmente, anche la musa ispiratrice pretende i suoi tempi di riflessione. Inoltre quel lavoro specifico creava uno spartiacque tra una produzione poetica verso cui ho rispetto, ma che è – e resta – decisamente lontana dal mio ‘sentire’ odierno. La mia scrittura nel tempo è andata a variare di netto, non lo stile, ma gli argomenti che mi preme trattare in questo momento della mia vita. Non si può produrre un libro di poesia ogni due o tre anni, perlomeno non nel mio caso. Tanto più che gli argomenti trattati al presente volgono l’interesse verso l’incorporeo, la transitorietà dell’anima, la realtà dei mondi invisibili e, soprattutto, la morte fisica. Credo siano argomenti non facilmente commerciabili in poesia, che non possono essere editi come si trattasse di un banale libro d’amore. Prenda come esempio il ‘KI. Segni dallo spirito”: per arrivare al risultato ultimo, quello appunto di dominio pubblico, ci sono state ben tre edizioni private che mi hanno permesso di dedicarmi ad esso con maggiore attenzione e consapevolezza, proprio perché l’argomento proposto necessita – a parere mio – di una particolare decantazione intima”. 

– Crede dunque si tratti di un’opera portata a termine, conclusa?

“Chi può dirlo? Non sono mai certo di nulla. Ma come molti oramai sanno, è un libro dedicato alla morte di un amico, Monsignor Angelo Cordelli, deceduto a soli cinquantasette anni a causa di un cancro. E’ stata una esperienza sì dolorosa, ma poeticamente liberatoria, poiché mi ha permesso di rintracciare la via specifica di quel che ero intenzionato a trattare nei versi: l’immaterialità dell’anima. Non a caso per l’edizione pubblica ho scelto di inserire nella seconda e quarta di copertina, ossia le bandelle, la lettera che gli avevo scritto poco prima che morisse e che accompagna la prima edizione privata, datagli in dono affinché la vedesse e ne potesse fare omaggio ai suoi amici. Ho lavorato molto su questo testo, infatti nelle tre edizioni private – composte solo da due atti e non da tre – parecchie sono state le riflessioni e i ripensamenti su termini, vocaboli e impressioni. Considero le edizioni private il ‘lavoro in corso’ di un testo che, per il momento, m’appare risolto; per la ragione che l’evento della sua morte, per naturalità d’evento, si sta distanziando, e le emotività provate in quei mesi precedenti la sua fine, si stanno smarrendo nella memoria del tempo. Infine, era giunto il momento di dare un taglio al dolore, passando ad occuparmi di altro in fatto di scrittura. Capisco e mi rendo conto che si tratta di un volume curioso, di non semplice lettura; ma credo ciò sia dovuto al fatto che questa nuova poesia da me prodotta non abbia alcuna discendenza poetica. Come ha osservato acutamente Antonio Veneziani, è spiazzante, originale, con un uso di termini e parole anomali che ne struttura uno stile bizzarro, però entusiasmante (sono parole di Veneziani, non mie)”. 

– Come appendice al “KI” ha inserito “Serifos. Diario minimo”, anch’esso un testo edito privatamente in tiratura di cento copie.

“Nell’avvertenza al libriccino spiegavo in che modo, ritrovatomi ad esprimere nel linguaggio della prosa impulsi della mia quotidianità come mai accaduto in precedenza (di solito avviamenti del genere prendono parola in forma di versi; inoltre alla prosa dedico il mio impegno di giornalista e recensore di libri e dischi, ma ora che sono divenuto un editore, non più), mi sono azzardato a pubblicare sentimenti e annotazioni corsive nel mio profilo Facebook. E’ capitato che, leggendole, molte persone abbiano dimostrato di apprezzare queste brevi note e mi abbiano indotto a pensare che la sottilità di quei pensieri si dilatasse nell’animo dei lettori, imprevedibilmente, in larghezza di emozioni. E siccome in privato giungevano sollecitazioni a fare di queste note un libro, mi sono risolto ad editarlo in tiratura minima e fuori commercio sia per gli amici, sia per coloro che lo hanno apprezzato. Si tratta di un diario minimo scritto nell’isola di Serifos, Grecia, in giornate dove la scrittura del ‘KI’ ancora premeva dentro di me in cerca di un chiarimento decisivo. Ammetto come ogni scritto, per me, è sempre stato l’opportunità di attingere ad una verità agognata; cosicché il resoconto di quest’avventura in prosa costituisce il racconto di un ‘me’ recente, e rivela, anche senza la collaborazione della volontà, frammenti di poesia che la realtà ha nascosto in pieghe insospettabili della mia anima. Parimenti, credevo di aver terminato questo episodio, e invece l’anno seguente mi sono ritrovato di nuovo ad annotare frammenti di un sentire che probabilmente mi si presenta nella mente solo in quel luogo specifico, ossia una piccola casa in una frazione di Serifos, che si affaccia su una splendida chiesa bizantina del Mille. Lavorando a questi ultimi appunti, ho capito che la vicenda del ‘Diario minimo’ era il compimento del ‘KI’: non poteva essercene un altro, soprattutto perché in queste riflessioni quotidiane rimaneggiavo l’esperienza della morte di Angelo Cordelli. Per di più era un libriccino che amici e lettori continuavano a chiedere (la tiratura di cento esemplari si è esaurita nell’arco di due mesi). Così ho ritenuto opportuno – magari errando, chi può dirlo? – di inserire il testo come appendice al libro di versi: sia per compiacere tutti quelli che se ne sono mostrati entusiasti, sia perché si tratta di brevi note giornaliere quasi a chiusura dei tre atti che sono la struttura portante del libro. Vi ho anche infilato, sotto la dicitura ‘Arte poetica. Appunti per eventuali rime’, alcuni versi stralciati dal ‘KI’, quale umile esempio e sfida per giovani poeti di come può essere organizzata una singola poesia”. 

– Ma del ‘KI’ ne ha fatto però una ennesima edizione privata.

“Sì, settanta esemplari fuori commercio di oltre duecento pagine che sono testimonianza di come avrei voluto il libro fosse realizzato. E’ una edizione in cui è confluito l’intero materiale che ha articolato le tre edizioni private uscite tra il novembre del 2020 e il luglio del 2022, esemplari in cui mi è piaciuto inserire le frasi di apprezzamento dei lettori, varie fotografie, due appunti di Vincenza Fava, più una sua intervista, cara Giovanna, del gennaio 2022. Anche in ‘Serifos’ vi erano fotografie che scattai dell’isola. Ecco, nell’edizione pubblica, quella presente nelle librerie, sono stati omessi tutti questi materiali e alcune pagine intime del ‘Diario’, magari non di reale coinvolgimento per il lettore. Come dire che – a mio avviso – l’autore deve avere una distanza da quel che ha scritto e da ciò che poi intende divulgare nella correttezza ufficiale, tant’è che, come afferma il cantautore Faust’O, ciò va fatto ‘per non ritrovarsi indifesi davanti alla propria stessa penna’, anche se quel che è scritto è scritto, e nulla può mutarlo nella sua vera genesi’”. 

Neve e Sangue

– “Neve e sangue”: come mai si è deciso per una ristampa del romanzo? So che per anni se ne è disinteressato. In più vi ha aggiunto i racconti di “Lamento o tormento che sia” che nel 2001 Antonio Veneziani volle editare in una sua collana edita da Antonio Porta.

“Il romanzo uscì per le Edizioni del Cardo nel 2007. Di lì a qualche anno, anche questa bella piccola casa editrice, che aveva in catalogo titoli ‘ai margini’, fondata e diretta da Jean-Marie Pouget, terminò le pubblicazioni. Il romanzo breve non fu mai più ripubblicato, nemmeno presso altri editori, ed è vero come lei sostiene: ciò fu dovuto anche alla mia indifferenza. Negli anni numerosi lettori che mi seguono hanno mostrato interesse per il libro e mi hanno sollecitato a darne una ristampa; questa nuova edizione viene incontro innanzitutto al loro desiderio. Devo all’amico poeta Antonio Veneziani la mia produzione in prosa: fu lui a richiedermi brevi prose per una collana, ‘Scritture’, di cui Veneziani era direttore, pubblicata da Antonio Porta. I racconti, introvabili da tempo, uniti sotto il titolo ‘Lamento o tormento che sia’, uscirono per l’Editrice Ianua nel 2001; furono poi accolti in varie antologie e su alcuni quotidiani. Li ho aggiunti in questa nuova edizione come ‘hidden tracks’ per tutti coloro che vorrebbero avere la possibilità di leggerli”.  

– Perché ha atteso diciassette anni per una riedizione?

“Sebbene in sostanza coerenti sia col ‘romanzo breve’ sia coi ‘racconti’ aggiuntovi, la ristampa di questo libro è espressione di una parte di me che io ora avverto distante, remota negli anni della mia gioventù. Pur riconoscendo che forse la scrittura di ‘Neve e sangue’ andasse ‘aggiornata’, alla fine non me la sono sentita: mi sembrava di snaturarne la genuinità, di adulterare uno stato emotivo che di essa si era sostanziato e non poteva perciò essere modificabile. Lo stesso si dica dei racconti, riproposti qui nella loro redazione originale e non in quella edita nel 2001. E’ un testo scritto più di venticinque anni fa, quando prestare fede a certi meccanismi e situazioni, soprattutto omoerotici, era per me un credo e un entusiasmo vitale. Ahimè, non la penso più nello stesso modo di allora, e le confesso che alcune pagine sia del romanzo quanto dei racconti, mi disturbano. Chiederà allora la motivazione della riedizione: un vecchio amico mio, Sandro Brisotto, era già da qualche anno che mi tormentava amorevolmente nel confidarmi che, a parere suo, il romanzo andasse ristampato, soprattutto per la ragione – parole sue – che i tempi adesso erano maturi. A dire il vero non ho mai compreso del tutto cosa intendesse, in virtù del fatto che, ripeto, non assimilo cosa voglia significare ‘tempi maturi’. Forse si riferiva alla narrazione di un uomo maturo che intrattiene un rapporto sentimentale con un giovane ragazzo, tra l’altro sposato? O si riferiva al linguaggio da me utilizzato, spesso crudo, ma anche poeticamente suggestivo? Non mi sono ancora dato una risposta chiara, fatta sta che però debbo dargli ragione: dai primi commenti dei lettori e dalle vendite sembra sia un romanzo che coinvolge maggiormente il pubblico adesso e non quando apparve la prima volta. Nel recensirlo, quando uscì, Alessandro Dezi, sul mensile ‘Blu’, scrisse che si trattava di un ‘romanzo breve ai margini fra prosa e liricità, che racconta senza falsi pudori la catartica discesa nell’intimo di un’affettività fra diversi, destinata alla rovina, dimostrando che i sentimenti di casta non esistono’; Delia Vaccarello sull’Unità ebbe a commentare che parlavo d’amore come un poeta invaghito dalla predestinazione, tant’è che amore e morte, amore e dono estremo, divengono in questa storia, la celebrazione di una potenza di cui solo la natura può essere vestale; Gianfranco Franchi scrisse, ‘diviso in due episodi, questo romanzo è lirico, triste e sentimentale al pari di un disco di Antony & The Johnsons’, proseguendo che si tratta di uno scrigno di emozioni e di passioni vive; mentre Vincenza Fava sul quotidiano Italia Sera ammetteva che sì, ‘si tratta di un racconto sublimemente erotico, forse di natura autobiografica, che scuote le coscienze e i falsi perbenismi degli assennati benpensanti, certi, a torto loro, di non poter mai esperire l’amore diverso’, aggiungendovi che con questo testo ‘sono tornato alla romantica antinomia tra apollineo e dionisiaco, tra la vita dello spirito e la vita della carne, riuscendo però a superare la dialettica hegeliana degli opposti attraverso la perfetta sintesi di amore e morte’. Che dire di altro? Inutile negare che a me tutto questo faccia piacere, anche se tuttora non mi capacito di come io l’abbia elaborato: se dovessi scriverne un altro simile, non ne sarei capace. E come accaduto di recente col ‘KI’, sono certo che anche in quella occasione a venirmi in aiuto sono state anime incorporee. Lo so, lei mi prenderà per cretino, per imbecille, ma è ciò che penso e in cui credo fermamente”. 

– Dopo anni può dichiararlo: è un romanzo autobiografico? E poi il riferimento di Franchi ad Anthony… nelle sue opere c’è sempre spazio per la musica…

“Autobiografico: è così indispensabile saperlo? Giorgio Ghiotti nella prefazione ha annotato un particolare che mi piace: ‘Gregorini è un poeta e un narratore, non un poeta prestato alla prosa’, come sovente può accadere; e da prosatore faccio mie storie riferitemi da conoscenti, amici, immaginandomi come mi sarei comportato io in certe situazioni se queste fossero accadute a me. Sono uno che scruta, guarda, presta attenzione alle cose minime degli animi, ai sentimenti che il prossimo vive, sia con dolore, sia con gioia. Che la vicenda descritta sia di natura personale, poco importa; ma consento che quel che di autobiografico vi ho inserito è la descrizione della casa che abitavo in quegli anni, più nomi di amici intimi, reali, e poche situazioni accadutemi: la morte del mio cane, quella di mio padre, quella di Dodi Moscati e quella di un poeta amico. La musica? Sì, è uno spaccato significativo della vita mia, ne ascolto tantissima, anche per ventiquattrore al giorno. E al di là della motivazione che ne ascolto parecchia anche per scriverne, dato che, come sa, è pure il mio lavoro, la musica è per me fonte inesauribile di ispirazione. Se si presta attenzione e si legge accuratamente tra le righe, si avvertirà che in ‘Neve e sangue’ non c’è solo Anthony o i compositori moderni da me citati nella storia: c’è molto di Mia Martini, di Mina – della Mina di ‘Kyrie’, tanto per intenderci -, di Patty Pravo (ah! la splendida ‘Questo amore sbagliato’ scritta dalla mia amica Carla Vistarini), di Lou Reed, Schulze, Gabriel, Buffy Sainte-Marie, Mitchell, Nico e, perché no?, anche di Riccardo Fogli, il Fogli di ‘Mondo’, ‘Si alza grande nel cielo la mia voglia di te’, ‘Mondo fantastico’, della “The power of love” di Jennifer Rush ma nella versione di Nana Mouskouri; ma c’è anche il senso della tragedia datomi dai due bellissimi dischi di Irene Papas realizzati con Vangelis. Visto quanta abbondanza eterogenea? E sì, è proprio un libro scritto sulla musica che ascolto ripetutamente, ed è il potere della musica a scuotere in me emozioni, anche affettive”. 

– Di recente, dopo essere stato programmato in parecchie sale italiane, è andato su Sky Arte il docufilm “Bellezza Addio” a cui lei ha partecipato. 

“Si, un’ottima iniziativa per un docufilm realizzato davvero bene. Palmese e Giardina, i registi, sono stati capaci di catturare l’essenziale sia della poesia che della natura umana di Dario Bellezza”. 

– Il suo libro su Bellezza dovrà essere stato per questi due registi un testo fondamentale per capirne la personalità.

“E’ vero. Lo è stato. Di lì sono partiti per poi indagare a 360 gradi chi sia stato Bellezza, cosa ha prodotto e significato per una certa Italia colle sue opere, che tipo di lotta ha intrapreso per una certa rivendicazione di una identità omosessuale a cui però lo stesso Bellezza poco credeva, e soprattutto cosa sia stato l’avvento dell’AIDS negli anni Ottanta. Non a caso, sebbene conoscessi Dario dagli anni Ottanta, essendosi lui occupato anche della mia poetica, la mia partecipazione al docufilm è incentrata sulla malattia e sulla morte del poeta, avvenuta nel marzo del 1996. Alle loro ricerche ha contribuito lo studioso Marco Beltrame, che si è appena laureato con una tesi sul teatro di Bellezza. Ci auguriamo che, a ottant’anni dalla sua nascita (tra l’altro manco celebrata, ennesimo scandalo di una Italia che dei poeti non sa che farsene), il docufilm possa essere uno strumento per avvicinare i giovani ad un poeta celebrato ma forse poco compreso, soprattutto nel mondo editoriale nostrano”.