L’identità come viaggio interiore: dialogo su “Inside Out 2”
Non pensavo di vedere il seguito di Inside Out, ma in un pomeriggio piovoso mi sono trovato sul divano a guardarlo e ne sono rimasto piacevolmente spiazzato. Come nel primo film la narrazione è lasciata alle emozioni, i pupazzetti curiosi che hanno sembianze umane hanno slanci caratteristici di quello che rappresentano e così abbiamo Gioia che è sempre allegra e Tristezza che invece non lo è mai, Disgusto e Rabbia, Paura che tremante è sempre in un angolo.
Ma in questo secondo film, che è uscito a quasi 10 anni dal primo (ma quanto tempo è passato!) in questo viaggio attraverso il prisma delle emozioni, si esplora profondamente il concetto di identità proprio nel momento della transizione dall’infanzia all’adolescenza. E così ad un certo punto, una notte, mentre Riley (la ragazzina protagonista) dorme, irrompono altre emozioni e cambiano tutto.
L’identità e la sua crisi
L’identità, come ben osservava Zygmunt Bauman nella sua “Intervista sull’identità”, è in continua evoluzione, specialmente nel contesto della “modernità liquida”, dove i confini del Sé si dissolvono e si ricostruiscono costantemente.
Così come dice Bauman l’identità di Riley è messa a dura prova perché non ha più una identità, una immagine di sè unica “cristallizzata”, ma è fluidità, un processo in movimento, con una negoziazione tra le varie emozioni.
Sono entrate anche Ansia, Invidia, Noia e Imbarazzo.
Se vogliamo possiamo “disturbare” anche Jacques Lacan, con la sua teoria della fase dello specchio, che ci ricorda che la percezione del Sé è mediata dallo sguardo dell’altro. Riley, come molti adolescenti, si trova di fronte a uno specchio simbolico: quello delle aspettative degli altri, della società e dei suoi pari. In questa fase della sua vita, le emozioni interne entrano in conflitto con l’immagine riflessa, portandola a un’esplorazione più complessa e dolorosa di ciò che significa essere se stessi.
La socialità e l’autodefinizione del Sé
Se Lacan sottolinea il ruolo dello sguardo dell’altro, George Herbert Mead offre una prospettiva complementare, concentrandosi su come il Sé si sviluppa attraverso l’interazione sociale. In Inside Out 2, il ruolo della famiglia, degli amici e dei compagni di scuola diventa cruciale nella definizione dell’identità di Riley. Riley si trova a gestire le sue emozioni in relazione a queste nuove interazioni sociali, cercando di definire chi è nel mondo esterno, mentre tenta di mantenere una coerenza interna.
Perché un cartone animato su un tema così importante e “pesante”?
Viene naturale chiederselo. E’ un prodotto per bambini, per ragazzi…e perché caricare di una valenza così importante un prodotto di intrattenimento?
Per parte mia direi che questo sia uno dei pochi spazi rimasti in quel focolare che vedeva riunirsi i componenti di una famiglia in un percorso che sia inter-generazionale, con un linguaggio visivo e simbolico dell’animazione che si presta ad una doppia lettura: da una parte, i più piccoli possono divertirsi con i colori e le avventure delle emozioni, dall’altra, gli adulti possono riflettere sulle profonde implicazioni del Sé e dell’identità della nuova generazione.
L’importanza del dialogo intergenerazionale
La bellezza di Inside Out 2, secondo me, è proprio in questo, nel suo approccio leggero e simpatico alla complessità dell’identità, rendendolo in qualche modo accessibile ma non banale.
Alla fine, Inside Out 2 è molto più di un semplice sequel: è un’opera che, attraverso la metafora delle emozioni, riesce a raccontare la storia di ognuno di noi. Utilizzando l’animazione come linguaggio universale, il film ci ricorda che il viaggio alla scoperta di chi siamo non finisce mai, e che ogni tappa di questo viaggio merita di essere esplorata con la stessa profondità emotiva e intellettuale con cui i grandi filosofi e pensatori hanno affrontato la questione dell’identità. E poi è l’occasione per non dimenticare completamente che siamo stati anche noi adolescenti e abbiamo dovuto affrontare lo stesso impatto delle “nuove emozioni”.
Ve lo consiglio.