Antropizzazione della memoria

Io lo scrivo quì, ma penso che abbiamo tutti in mente un pensiero negativo ogni qualvolta sentiamo dire o leggiamo dei progressi degli impianti di chip all’interno del cervello umano. “Studi scientifici”, “Progressi Tecnologici”, “Grandi Possibilità” si affrettano ad aggiungere gli esperti interpellati dai giornalisti, eppure dentro di noi si fa largo il ribrezzo al pensiero che un essere umano possa desiderare di farsi impiantare un elemento estraneo nel proprio corpo, per di più nel cervello. Abbiamo tutti in mente la scena di Terminator quando da sotto la pelle di Arnold Swarzenegger emerge il metallo e i circuiti elettrici e abbiamo lo stesso senso di repulsione. Tutti, compresi quei ragazzi che per ragioni anagrafiche il film certamente non l’hanno visto al cinema o forse nemmeno in TV.

Siamo spaventati di un oggetto che, comandato da qualcun altro oppure in ragione della propria programmazione algoritmica, possa prendere il sopravvento sulla nostra volontà.


Scrivendo gli altri articoli per questo numero (“Stop con i beatles stop..?” e “L’annullamento della Memoria come strumento di controllo“) mi sono reso conto che l’Antropocene – ossia l’idea che l’impatto che l’uomo ha sull’ambiente possa configurarsi come una nuova “era geologica” – ha implicazioni anche sulla nostra stessa struttura mentale e non dal 1945 – da quando si fa risalire l’inizio dell’Antropocene appunto.
Da quando l’uomo è diventato un essere “civile”, e quindi da tanto tanto tempo fa, ha cercato di modificare l’ambiente circostante per adattarlo in qualche modo alle proprie esigenze. Ha “addomesticato” razze animali e ha “selezionato” razze vegetali, per i propri bisogni primari e anche per il proprio diletto: il selvaggio Uro è diventata la mansueta mucca, il famelico lupo è diventato il delicato Chihuahua, la Rosa canina la profumosa e delicata Tea. Ha costruito habitat artificiali che si sono distaccati moltissimo dai prati verdi e dalle foreste, senza pensare al Bosco Verticale, possiamo immaginare alle palafitte costruite negli stagni o agli arredi nelle caverne vicino alle coste (e ne abbiamo di esempi anche sulle coste laziali ad Circeo, senza dover andare troppo lontano da Roma ad esempio).

Ma molto prima di poter pensare alle estensioni della mente con i chip e prima di pensare all’Intelligenza Artificiale o anche prima di pensare agli automi (e mi viene in mente il servitore di Filone di Bisanzio costruito più di 200 anni prima della nascita di Cristo), prima di tutto questo l’uomo aveva capito che era possibile estendere la propria mente con la scrittura.
Lasciando un segno, un disegno in uno dei suoi rifugi poteva ricordare con esattezza come cacciare gli animali. Aveva esteso il concetto del “quì e adesso” nel quale sostanzialmente era relegato per la propria natura umana, portando la sua mente a ricordare cose che il trascorrere del tempo avrebbe lasciato andare nel “panta-rei” fisiologico.
Ha creato, per se stesso, un nuovo modo di vivere il tempo e lo spazio.
Questo – per gli storici – ha determinato il passaggio dalla Preistoria alla Storia, ma a pensarci è stato il primo passaggio dell’uomo all’antropizzazione della propria natura animale.