Intervista a Manuele Guarnacci
Apparenza, finzione, difficoltà di riconoscere la sostanza dalla forma, il falso dal vero, l’autenticità della parola dal pensiero autentico. Tutto questo è quello che ci circonda, oggi più che mai, nella quotidianità, nella vita privata e in quella lavorativa.
Chi di natura è sé stesso sempre, in ogni occasione, con chiunque, si trova in grande difficoltà, è come se vivesse senza pelle, esposto, privo di protezione, incerto su come muoversi.
E’ proprio da queste riflessioni e dal pensiero utopico di un mondo dove si recita solo sul palco che ho pensato di intervistare Manuele Guarnacci, regista, attore ed insegnante di laboratorio teatrale, per dar voce a chi ci può davvero spiegare il ruolo della maschera teatrale, l’importanza del teatro amatoriale, i benefici e le difficoltà di chi intraprende un percorso di questo tipo, raccontarci insomma di quel mondo che sarebbe fantastico fosse l’unico dove si finge…
Vi presento Manuele Guarnacci….
Nato nel 1984, contemporaneamente agli studi accademici di Arte Drammatica e ai successivi esordi nel professionismo teatrale si è laureato in Relazioni Internazionali con voto 110/110, con una tesi triennale riguardante i laboratori teatrali come forma di cooperazione ed una tesi specialistica sui pericoli della comunicazione virtuale.
Ha accumulato esperienze come attore, regista e assistente, lavorando con alcuni dei più importanti artisti del panorama italiano (Giorgio Albertazzi, Gabriele Lavia, Michele Placido, Valerio Binasco, Alessandro Haber, Alessio Boni, Luca Barbareschi…), debuttando nei più importanti teatri di tutta Italia e anche all’estero ( da citare: il Fringe Festival di Edimburgo con Maurizio Lombardi).
Già all’età di 19 anni muoveva i primi passi come regista e da allora, pur crescendo le esperienze, non ha mai smesso di operare nel territorio, appassionandosi alle potenzialità del teatro come strumento di formazione umana anche per i non professionisti. Ha seguito corsi di dramma terapia, lavorando in contesti di teatro integrato (dedicato a persone disabili), si è specializzato nel teatro per stranieri, teatro nelle aziende, ha fatto esperienza nelle carceri e in contesti cosiddetti “a rischio”.
Attualmente guida il progetto Teatro Quindi, con cui porta avanti 9 laboratori per un totale di quasi 100 adulti iscritti. Questi corsi hanno come principale obiettivo l’arricchimento del bagaglio umano attraverso il teatro.
Manuele intanto ti ringrazio per la disponibilità…ci puoi spiegare il ruolo della maschera dall’antichità
Nell’antichità la maschera teatrale aveva una valenza funzionale: rendere evidente, visibile e amplificato il personaggio che si interpretava, lì dove non esistevano strumenti acustici, scenografici e di luce evoluti come oggi. Ma aveva anche un valore di altro tipo: permetteva di distinguere subito l’attore dal personaggio. Quest’ultimo poteva quindi essere interpretato con massima potenza, audacia, provocazione, senza rischiare di essere confuso con l’interprete.
Le forme stesse delle maschere, grandi e dai tratti esasperati risaltavano il gioco metaforico e simbolico. Il travestimento spettacolare, in grado di attirare subito l’attenzione del pubblico e farlo entrare in un esercizio collettivo di fantasia, è presente in tutte le culture del mondo di ogni epoca.
Nell’epoca della Settima Arte il Teatro ha ancora senso? E per il pubblico che impatto ha?
E’ una domanda affatto scontata, che anzi è importante porsi costantemente. Negli ultimi decenni il teatro ha inseguito troppo spesso altre forme artistiche e culturali (cinema, musica, arti figurative, danza, conferenze) che sembrano più al passo con i tempi e riescono ad avere un rapporto vivo e d’interesse con il pubblico. Giustamente l’arte si contamina ma il senso profondo e caratteristico del teatro è la sua stessa forza e specialità: un luogo specifico in cui tante persone si danno appuntamento in un tempo specifico per condividere dal vivo uno scambio di energie e rituali fortissimi che trovano forma e vibrazioni a partire dai corpi veri e vivi degli attori. E’ l’unica arte che si basa su persone che davanti ad altre persone vivono storie e vicende che, per quanto arricchite di poesia e dinamiche metaforiche, rimangono sempre concrete, leggibili, identificabili nella quotidianità dello spettatore. Al contrario del cinema tutto avviene dal vivo, nel qui ed ora che rende potente il rituale collettivo e personale; al contrario della musica, fotografia e pittura gli strumenti principali sono attori in carne, ossa, voce e lo spazio fisico in cui si muovono.
Che ruolo ed importanza può avere il teatro amatoriale?
Il teatro amatoriale, soprattutto in una città come Roma, è ancora troppo sottovalutato, schifato e forse temuto dal mondo professionale. Credo si debba imparare dallo sport, dove anche il dilettantismo è vissuto con molta importanza. L’esperienza teatrale fa bene a tutti, è un grande esercizio per la mente, lo spirito e le relazioni con noi stessi e gli altri. Al tempo stesso il mondo amatoriale dovrebbe essere considerato il punto di partenza per nuovi circuiti di appassionati che possono tornare a riempire le platee dei più grandi teatri. Per questo mi dedico col massimo livello di impegno e di ricerca costante per lavorare al meglio con gli amatori. So che la nostra arte oggi più che mai può essere arricchente, quasi terapeutica, rispetto alla vita atomizzata che viviamo. Al contempo è preziosissimo anche per me godere di tanti rapporti umani che mi riportano vite, mestieri, pensieri, condizioni così diverse tra di loro. Il professionismo teatrale sa essere molto noioso e lontano dalla realtà sociale, è fondamentale per me e per la mia sensibilità artistica trovare modo di immergermi e fare esperienza delle “vite degli altri”.
In questo momento storico particolare, con la pandemia che ci ha allontanato dalle sale e dai luoghi di ritrovo, cosa si respira dietro le quinte?
Sono venuti al pettine tanti nodi decennali su un sistema che non funziona. In Italia abbiamo degli esempi (la musica, lo sport) di circuiti che riescono ad evolversi e ad avere basi importanti su cui poggiarsi anche in momenti di difficoltà. Il pubblico li segue con passione ma questo è dovuto anche ai meccanismi con cui si muovono. Il teatro purtroppo ha molti problemi decennali e sta perdendo fiducia in se stesso. Io sono convinto che il suo valore è più alto che mai, proprio oggi, in cui siamo costretti alle distanze e abbiamo paura degli altri, dei corpi. Stiamo disimparando l’empatia, l’ascolto, lo scambio, il valore del racconto e dello stare insieme. Il teatro ha una funzione enorme se riesce a trovare il modo di farsi valere. Dopo il panico iniziale, lo svuotamento delle sale, la disoccupazione di molti ed molti esperimenti inconcludenti, in questo ultimo periodo, l’inverno 2021-2022, alcuni teatri stanno tornando ad avere numeri importanti di spettatori. Sono proprio quei teatri che non hanno smesso di investire, rischiando molto, ma hanno saputo farlo con una sensibilità particolare verso il pubblico e la comunità che li circondava. E’ importante chiederci non cosa vogliamo portare in scena ma di cosa ha bisogno la società. Chi lo ha fatto ha trovato molte risposte nel teatro da poter portare avanti.Nei miei corsi il primo anno di pandemia è stato caratterizzato da una marea di problemi pratici, gestionali (distanze, mascherine, coprifuoco, greenpass…). Chi ha potuto e ha scelto di continuare, fortunatamente la maggior parte, aveva però un bisogno enorme di quell’appuntamento, insieme al proprio gruppo di compagni, per giocare insieme con la fantasia condividendo dolori ma anche energie. Quest’anno, con la ripresa di tutte le attività, anche i corsi sono tornati a riempirsi ma la frenesia è ancora piena di paure, frustrazioni, stanchezze emotive e ogni giorno entrano in sala prove persone spente o piene di negatività che vanno “rigenerate”. Il miglior antidoto per fortuna è il teatro, concentrarsi su quello, la nostra passione, che ripaga tutti i sacrifici con la bellezza, il divertimento, energie e fantasie nuove. E si esce dal palco tutti più freschi.
Nel programma di laboratorio teatrale ritieni opportuno inserire il lavoro di improvvisazione con uso della maschera della commedia dell’arte? Se sì, che difficoltà riscontri nei partecipanti alle attività?
Si, inseriamo anche dei percorsi con le maschere fisiche ma in questo periodo di mascherine ne abbiamo già molte… L’obiettivo principale è riuscire a lavorare con le maschere psicologiche. Capire che ne indossiamo sempre alcune e che questa arte permette di sperimentarne altre, diverse, accettare l’idea che siamo liberi di cambiarle, imparare a gestire noi stessi e il nostro rapporto con gli altri vivendo ruoli diversi da quelli in cui rischiamo di rimanere chiusi nella vita quotidiana.
Secondo la tua esperienza, quale ritieni siano le peculiarità principali che hai riscontrato negli allievi che intraprendono un percorso di questo tipo? Le difficoltà, i benefici, le emozioni…
Troppo spesso incontro allievi e allieve che vogliono essere non solo guidati ma costretti a fare cose. E’ indice di una profonda insicurezza ma anche della voglia di rompere i propri schemi. Il problema è che finché sarà qualcun altro, l’insegnante, il regista, a trascinarti oltre i tuoi limiti non acquisirai mai la vera consapevolezza e gestione di te, dei processi e percorsi interiori che ti hanno portato a quei risultati. Allora solitamente preferisco strade più lunghe ma che portano l’attore e l’attrice ad una autonomia sui passi che stanno facendo, sia tecnici che umani.
Si pensa che la formazione culturale sia da relegare alla gioventù e alla scuola, invece anche da adulti abbiamo bisogno di “cibo per la mente”. I nostri corsi sono aperti a tutti, principianti, esperti, timidi, mattatori, giovani e vecchi. Nel momento in cui una nuova persona si presenta cerchiamo di capire, tra i 9 gruppi diversi, quale può essere quello che fa al caso suo, sia umanamente, sia per il percorso che si prevede di fare. Gli stimoli che può dare il teatro sono molteplici: lavoro sul corpo, sulla voce, sui testi, sul rapporto con noi stessi, con gli altri. Ci sono allievi che dopo 8 ore in ufficio vogliono principalmente divertirsi, stare in allegria giocando sul palco, altri invece hanno voglia di approfondire tecniche drammatiche complesse, perdersi e riscoprirsi profondamente dentro i personaggi e le loro emozioni, altri ancora vogliono esplorare l’espressività fisica e vocale per imparare a relazionarsi meglio… L’importante in questi casi non è il livello di partenza ma gli stimoli e i percorsi che si vogliono fare insieme agli altri. E noi insegnanti mettiamo con piacere le nostre esperienze e tecniche sempre in discussione per ricercare costantemente nuovi percorsi artistici e pedagogici.
Ringrazio Manuele e gli faccio i complimenti, e sono complimenti speciali perché il suo non è solo un ruolo di insegnante di un’attività ludica ma anche, e forse soprattutto, sociale.
E’ chiaro dalle sue risposte che chi decide di mettersi in gioco in un percorso di questo tipo è alla ricerca non solo di divertimento ed evasione ma anche di introspettività, bisogno di mettersi in gioco e di provare a vincere le proprie rigidità, paure, insicurezze e magari di scoprire lati di sé sconosciuti.
Il Teatro…mettere maschere per poterne togliere altre.