Il riconoscimento dell’altro
Quante volte possiamo dire di aver ascoltato pensieri liberi, parole schiette, lettere circolanti nelle vene, che di sangue si nutrono e che il sangue nutrono?
Quante volte i nostri battiti hanno bussato sul petto riconoscenti di un’emozione inattesa, di uno scorcio poetico, di un frammento sottratto alla menzogna, dipinto di purezza, di autentica genuinità?
I giorni, questi giorni che trasciniamo come file di valigie pesanti, cercano angoli di pace dove rifugiarsi, dove scoprire che non tutto è il frutto di un inganno, di un artificio, di una costruzione occasionale.
La verità, questa sconosciuta. Siamo sicuri che tale vocabolo esita ancora all’interno di un dizionario? Forse in quello dei nostri nonni.
Cosa possiamo saperne degli altri? Quale diritto, quale potere, quale privilegio ci è concesso per esprimere un giudizio su qualcuno?
Cosa possiamo saperne noi di quanta profondità c’è in una superficie?
Il vestito che prende la nostra forma racconta forse di noi?
E noi stessi… cosa possiamo saperne noi di noi stessi? Siamo così certi della nostra identità? Sono sufficienti la nostra patente di guida, il nostro passaporto, o un documento rilasciato dal comune di residenza per raccontare chi siamo?
Quante volte possiamo scoprire il racconto di una vita?
Si nasce una volta sola. Si può morire molte volte. Si può rinascere.
Si può decidere di sopravvivere.
Si può decidere di vivere.
Chi ha il coraggio di raccontarlo? Chi si spoglia di ogni indumento? Chi ti mostra la sua nudità? Chi si getta tra le fiamme di un mare sconosciuto?
Quante volte abbiamo la fortuna di incontrare due occhi limpidi?
Bene. Una volta incontrati si ringrazia perché ciò sia accaduto.
Si può restare in silenzio. Si può decidere di urlarlo al mondo intero. Si può decidere di suonare al campanello del vicino di casa, che fino a qualche ora prima ignoravi o facevi finta di ignorare. Svegliarlo dal suo e dal nostro sonno.
Ma, soprattutto, bisogna ricordarsi che esistono. E che ti hanno guardato. Senza chiederti niente. Illuminandoti. Senza nulla in cambio.
Dovremmo aver cura degli occhi limpidi che incontriamo e che incontreremo nel nostro percorso. E dovremmo aver cura delle parole che questi occhi hanno scritto.
Dovremmo averne rispetto. Perché questi occhi e loro parole hanno il sapore forte e fragile del coraggio, l’odore acre e tenero della paura. Succhiano il nettare dell’inesprimibile. Combattono il duello di ogni consapevolezza, sfidano il rischio di ogni certezza.
Respiriamo, annusiamo, stropicciamo, nutriamoci…
Facciamo diventare ogni sguardo calcio per le nostre ossa, muscoli per la nostra carne, cristallino per i nostri occhi.
Già, i nostri occhi.
Se sapremo leggere, non saranno più gli stessi.