Incontro con Alessandra Macrì
LIBERAZIONE, VIBRAZIONE, ESISTENZA PURA E NOBILE: Alessandra Macrì ci accoglie nella sua narrativa e Greta ritorna più bambina che mai
Ironica, intelligente, solare, ma anche misteriosa, profonda, lontana quasi lunare. Così appare Alessandra Macrì durante l’intervista, instaura da subito una grande apertura, ha voglia di parlare, una esigenza, una necessità, una urgenza, tutto in Alessandra è urgenza ed emergenza proprio come il comportamento di una bambina, di quella sua donna-bambina che ha fatto conoscere così intimamente e apertamente nel suo romanzo Greta tace. Con disinvoltura e senza alcun freno, senza nessun filtro, Greta è entrata nelle nostre vite in maniera convulsiva e compulsiva, è diventata ossessione, dannazione, un bisogno irrinunciabile. Greta entra e non esce mai, chiunque l’abbia letta, conosciuta, incontrata non ne riesce più a fare a meno, non se ne libera, perché non se ne vuole liberare, perché Greta è un pezzetto di ognuno di noi, non importa se uomo o donna, ed è proprio quella parte essenziale per comprendere dinamiche, evoluzioni, passaggi esistenziali, emotività, debolezza e forza. Greta è quella parte di noi immortale, esiste al di là del tempo, oltre il tempo e le sue battaglie, è nel tempo e si sposta nel tempo, passato, presente, futuro, a volte confondendoli ma in ogni caso rendendo sempre tutto unico ed irripetibile. Straordinario romanzo di cui abbiamo deciso di parlare con l’autrice pur essendo stato pubblicato nel 2021, perchè il bello non ha mai un tempo predefinito e predestinato, esattamente come Greta.
Condi-Visioni vuole uscire fuori da schemi prestabiliti e formali, volendo recuperare libri di valore, raccontandoli insieme all’autore, senza essere pressata dalle uscite del momento e senza legarsi a vicende necessariamente promozionali.
Ringraziamo Alessandra Macrì che, in questo spirito e con questa visione, ci ha concesso l’intervista e ci ha fatto conoscere Greta.
Lo ha definito “Il testo di una lanciatrice di coltelli”, immagine che coglie nel segno e ben rappresenta il suo ultimo romanzo “Greta tace”, perché tanta rabbia, un linguaggio feroce, frasi da cui si vorrebbe scappare via per paura che ci riguardino troppo da vicino e che raccontino anche la nostra storia?
“Ho pensato a come rispondere nel modo più sincero che posso. E quindi ammetto: non lo so. Questo libro è nato dall’amnesia di cosa si andava auto generando, come fossero altrettante parti di testo che emettevo come un’altra si libererebbe di spine, aculei e, appunto, coltelli. Disposti secondo geometrie caotiche, conficcati nelle carni. Armi di cui magari tuttora dispongo oppure l’esito di quel tipo di cadute da cui apparentemente esci illesa e invece il crepaccio era rivestito di rovi, lame, denti di fiere e qualche porcospino.
Greta tace è nato tra amnesie e ritorni. Ogni volta dovevo darmi a una ricerca abbastanza complicata dei file che ne occultavano le parti. Era una sola trama fatta a pezzi e protetta in nascondigli, ogni volta dovevo dimostrarmi la necessità di ripiombarci dentro innanzitutto recuperandola nel marasma del mio Mac.
Capitava che avvertissi l’urgenza di tornare alle vicende che io stessa avevo inventato così come torno ai libri di autori che poi finisco per amare. Sono disordinata nell’approcciare tutto quello che coincide con la parola amore.
Rispetto agli altri esempi che so, per averli vissuti, di questa parola, Greta tace si contrappone con la forza di un enigma. Fa diventare ideogramma, fonema, replica teatrale quello che di me vorrei non andasse perduto, e insieme impone la fuga”.
La “bimba” è la figura ricorrente nel romanzo, la bimba sotto diverse forme, “la bimba casa”, la “bimba bambola”, “la bambina eterna”, questa figlia rifiutata dal padre, non voluta, “era restata bambina per farsi volere”, la “prostituta bambina”. Quasi fosse una continua ossessione da cui non vuole liberarsi, o non può, cosa rappresenta questa bambina?
“Una forma perfetta. Non è immediatamente intuibile forse proprio alle lettrici, alle donne mosse dall’impulso di confrontarsi contrapponendo la propria alla forma di ogni altra femmina, un fatto che invece sospettavo mentre scrivevo imponendomi di non avere filtri. Il dolore ha la meglio su ogni altra percezione. Puoi piacere a tutti, e a tutti essere estranea.
Greta ha il dono/dannazione di una sensualità potente. Seduce al netto di malizia, incapace di premeditazione. Scatena desiderio mentre è impegnata a cercare tutt’altro.
Proprio come i bambini, non condivide intenzioni e obiettivi degli ambienti che abita.
Il suo è un destino da sequestrata dalla stessa materia che la compone.
Questa contraddizione fra cosa sente e cosa di lei vede l’intorno, è un presupposto letterario che m’è sembrato irrinunciabile. Gregor Samsa si trasforma in orrido insetto manifestando il destino che ha rimuginato nell’assenza di ogni sentimento che vorremmo ascrivere all’umano. Viene aggredito a colpi di bastone persino dal padre. Greta è la figlia capitata al modo di un’immagine di cui non ti puoi disfare. Espone a suo padre l’irreversibile quando acerba e tenera come non potrebbe essere la Lolita di Nabokov, se ne va a farsi scomparire gli arti in una piscina d’acqua salsobromoiodica in cui scompaiono le deformità di individui con handicap gravi, e gravi malattie dermatologiche. Quando Greta inizia a percepirsi identica ai mal nati, la forma ibrida che ha assunto, da non ancora adolescente, qualcosa di anteriore pure alla ninfa, vieta al padre di abbandonarla. Dopo aver trascorso l’intera infanzia della ragazzina dandosi a tutte le fughe ipotizzabili, mal digerendo ogni ritorno a casa, quando attorno agli undici anni Greta inizia a cercare i modi per levarsi dal mondo, lui inizia a regalarle i peluche che si regalerebbero a una bimba di due. Indietro di tutte le puntate della vita della figlia, per la prima volta la vede.
Greta non fa altro che adottare quel primo sguardo della prima volta che il padre l’ha guardata”.
Altre tematiche ricorrenti sono il teatro, il rapporto con il cibo, la chirurgia estetica, il corpo, canoni estetici non necessariamente di bellezza ma che rappresentano una gabbia, una prigione, un’altra ossessione. Quindi la finzione, l’apparenza, la rappresentazione. Sembra quasi ci sia un bisogno di fuga da un mondo reale oppure un rifiuto.
“È arduo scrivere d’amore se lo si vuole riferire a cosa sta nelle possibilità dei maschi. Sono fra quelli che annuiscono quando con i suoi personaggi più credibili Michel Houellebecq sostiene che per gli uomini l’amore per una donna non è altro che desiderio. Mi interessava scrivere di una giovane donna che ne è consapevole. Una che si riconosce solo nel preciso istante in cui un maschio inizia a perdere lucidità potendola toccare. Mi interessava Greta fosse una lente del maschile. Quando mi chiedono se Greta mi somigli, qualcuno l’ha persino sovrapposta alle immagini di me che ci sono in rete, realizzo che sono riuscita a farla scomparire, così come lei voleva, nella bramosia dei maschi. “Non c’era da attirare il desiderio. Il desiderio era in colei che lo provocava o non esisteva. C’era fin dal primo sguardo o non era mai esistito”, chiarisce ne L’amante Marguerite Duras. Non m’è particolarmente simpatica, eppure l’ho accontentata. E mi sono messa a indagare la forma di nutrimento che sostituisce ogni altro cibo: l’ossessione. La liberazione sessuale ha indotto diversi gradi di confusione riguardo il concetto di emancipazione. Trovo interessante partecipare delle fantasie dei desideranti solo se il desiderio è scoppiato in mania. Essere la sola che può appagare. Il corpo perennemente evocato. Il titolo che avevo scelto è La favorita. Avrebbe chiarito in modo già abbastanza plateale la vocazione teatrale di Greta (è puro istinto a una drammaturgia insostenibile ciò che anima codesto io narrante), e con la sua, chissà, anche la mia”.
Anche il rapporto con la madre e con il padre appare un altro ambito in cui Greta si addentra per farsi ulteriormente del male, sembra impossibile che una protagonista così piccola fisicamente possa reggere tutto questo mondo e questa storia che quasi è impossibile da far entrare dentro, Greta è così esile perché rifiuta tutto e tutti?
“Il dolore ha la meglio su ogni altra percezione. Una madre dovrebbe forse addirittura farsi nutrimento senza interruzioni. Dovrebbe mantenere i connotati della prole, nella forma che dà l’appagamento perfetto. Certe bocche che affiorano come un miracolo sul volto delle bambole meravigliose. Greta non ha alternative al digiuno. Percorre estatica territori che le resteranno estranei, si dà a figuri che si comportano con l’estraneità di Meursault – lei è la nausea che nella canicola, a riva, fa di Meursault un assassino – sa che non è passibile di evoluzione la sua storia”.
La struttura del romanzo è davvero singolare, si può cadere in confusione nel momento in cui lo si legge quasi fossero dei racconti e non un romanzo. Come nasce questo tipo di impostazione?
“La struttura di un romanzo dipende dalla quantità di oggetti che avverti reali, come tu li potessi toccare, sul corpo della pagina. Ho fatto a pezzi la trama disseminandola di manufatti. Scrivere è fabbricare sedie, tavoli. Compongono uno spazio che ha una sola combinazione possibile. Così come c’è una sola parola fra le molte a cui potrebbe accedere lo scrittore per dire con l’efficacia del punteruolo cui accennavamo, cosa sente e quello di cui si fa tramite, così esiste una sola struttura capace di trasmettere il marasma che lo sequestra.
Mania marasma ossessione. Parrebbe che la scrittura coincida col desiderio nelle uniche accezioni in cui lo so concepire.
Gli oggetti che mi reclamavano alla narrazione sono simboli.
Disegnano la ragnatela dentro cui mi auguro si perdano i miei lettori”.
Sembra voler mettere alla prova l’attenzione del lettore, come a volerlo a tutti i costi e tutto per sé, non sono concesse distrazioni nella lettura di Greta tace, né pause, né esitazioni. Lei è uno scrittore esigente non solo verso sé stessa ma nei confronti dei lettori.
“Ho bisogno di emozionarmi leggendo. A maggior ragione se si tratta di pagine che vengono da me. Il libro deve diventare tutto il mondo che c’è. La ragnatela di Aracne”.
“Non è poi così male restare senza prospettive ad 11 anni” è una frase terribile ma che può essere pronunciata solo da una donna forte, cresciuta sotto i bombardamenti, i comportamenti degli esseri umani malati, perversi, patologici, crudeli e maledetti.
“O da una persona che non ha potuto permettersi l’incoscienza dell’infanzia.
Avessi tutti lettori come lei!
In effetti questo l’ho detto io, e non il mio io narrante”.
Roberto, Giulio, Stefano, tutte figure maschili deviate ed in qualche modo pericolose, Greta porta in sé il concetto di morte qualunque cosa faccia e sceglie quasi chirurgicamente i suoi uomini, però a me non dà l’impressione che Greta sia una vittima, credo che lei voglia tutto quello che le capita perché le dà potere e dannazione e lei non può vivere senza.
“Questo accesso alla mania altrui, ciò da cui si fa percorrere come un malanno terminale. Dispone di due strumenti che sono l’inganno sublime del femminino: il corpo e il silenzio”.
Greta si concede completamente agli uomini, tutti i suoi bisogni sono “un uomo”, uomini che le danno tutto tranne la possibilità di essere sé stessa, Greta ipnotizza, così come la scrittura con cui viene rappresentata. Come nasce questo personaggio così complesso, irrisolto ed interrotto?
“C’è in tutti i romanzi che amo, anche di autori contemporanei, violenza che trascende le proprie intenzioni. Ciò che accade fregandosene di chi ne farà le spese leggendo, ma soprattutto di chi ha permesso si manifestasse. Energia magmatica, insiste a pretendere sé stessa. Il corpo di Greta è alimentato da forze del tutto simili”.
“Ogni volta che fingi di non avere fame ti stai consegnando alla fame di un altro”, ancora una frase molto forte che fa riferimento al cibo ma il cui significato è ben più profondo e drammatico. Perché correre il pericolo di consegnarsi “alla fame di un altro”.
“Per avere accesso al suo segreto. La fame predispone al delirio. Riorganizza le parti che ci compongono attorno all’istinto di sopravvivenza. Ci fa bestie. Arcaiche e smisurate”.
Perché “restare bambina per farsi volere”?
“Sono faccende interrelate. Restare digiuni per consegnarsi non al nemico, non al carnefice, ma esanimi e feroci alla fame di un altro. Come i bambini, che non opponendosi per mancanza di prove a sfavore dell’altro, si affidano. Ciechi.
La diffidenza è pelame scomposto, fa ruvidi e respingenti i lineamenti di esseri altrimenti puri. Avrei voluto arrivare alla fine dei miei giorni ignorando la necessità di difendermi. Anche su questo punto ho accontentato Greta. Lei se lo è potuta permettere”.
Oggi le adolescenti, ma anche in parte le donne, si sentono come qualcuno di perfettamente sostituibile, vivono tutto senza dramma ma anche senza intensità, esattamente l’opposto di ciò che fa Greta. Come hanno accolto Greta tace le donne, soprattutto quelle più giovani?
“Alcune sono corse ai ripari. E come capita spesso, sono partite dalla cura del corpo. Qualcuna si è rivolta al chirurgo plastico, al personal trainer. Altre hanno fatto pulizia in armadi zeppi di vesti scelte per caso, di contatti inutili in chat. Le giovanissime hanno preso questo libro come talismano, viatico a rapimenti sensuali, a stravolgimenti di meccaniche e incastri che oramai si assumono su Google come si trattasse di un medicinale da ingollare ai pasti, scorrendone distrattamente il libretto delle istruzioni. Greta tace suggerisce che morire una sola volta consegnandosi alla passione, non basta. Per fortuna non ho mai creduto di voler insegnare qualcosa”.
Nel romanzo vengono raccontate immagini molto forti, a volte tali da farvenire crampi allo stomaco, vertigini, stordimento, la narrazione a sfondo sessuale passa in secondo piano perché ciò che predomina è questo senso claustrofobico di eccesso o privazione, manca sempre la sensazione di equilibrio e questo crea terrore. Era questo che voleva Alessandra Macrì?
“Alessandra compare al centro del romanzo facendo strame di Greta. Dice la morte che potrebbe lei qualora fosse un filo esagerato morire per amore. Altro equilibrio non so immaginare. Eccedo allenandomi, a 11 anni ho intravisto la pista di “La lunga marcia” al posto di tutte le strade. Non mi sembra di essermi fermata. Se contassi i chilometri percorsi finora, crampi un po’ ovunque e mancamenti verrebbero a me. Eccedo nella lettura. Negli incubi. Nel tempo destinato a cause perse. Mi auguro di averne davanti moltissimo”.
In questo romanzo sembra non ci siano sentimenti, tutto accade, tutto avviene, tutto si srotola continuamente sotto i piedi e questi piedi sembrano non poggiare mai a terra. Però Greta di sentimento ne ha tantissimo sin da piccola ma questo sentimento l’ha sempre spezzata e l’ha sempre consegnata a qualcuno o a qualcosa. Cosa mi dice in proposito?
“Ha a che fare con la questione della predisposizione agli eccessi. Se uno fa cose smisurate, sente in modo smisurato. Però credo che parlare d’amore sia attività da terapeuti o uomini di fede. Una qualsiasi. Mi limito a constatare l’amore che tiene in piedi la mia ricerca. Di Greta so solo che non avrebbe potuto fare altrimenti”.
Sappiamo che sta scrivendo già il suo prossimo romanzo “Attraverso i miei passi”, può anticipare qualcosa per i nostri lettori?
“Stavolta do voce a una che tendo a proteggere. Si chiama Lara. Mi mette a fare i conti con un sentimento di impotenza atroce. Mi induce picchi di malinconia che mi stanno rovinando i giorni. Non è un buon nascondiglio questo nuovo romanzo. Espone ferite, soffitti scrostati. Mi chiedo cosa ne sarà della realtà che calpesto, quando smetterò di farlo”.
Greta tornerà?
“È già tornata in un romanzo di fantascienza esistenzialista, l’ho interrotto per dedicarmi a Lara. In realtà Greta non è mai andata via come ha correttamente notato lei nella introduzione a questa intervista, per cui vorrei ringraziare Condi-Visioni perché tornando a parlare del romanzo Greta tace edito nel 2021, ha saputo cogliere il significato che dovrebbe essere dato ad un testo indipendentemente dalla data di nascita, dalla sua diffusione, dalla sua presentazione, soprattutto in questa nostra epoca, unico momento storico in cui lo spirito, in nessuna forma, ha più alcuna importanza. Un buon testo esiste se continua a far esplodere la sua energia, oltre il materialismo ed oltre un eccesso di concretezza e di contingenza. Questo dovrebbe essere il giusto orientamento della critica letteraria, per il riconoscimento, la valutazione e la scelta dei testi da far conoscere e da diffondere, ripeto, indipendentemente dalla data di pubblicazione”.