Chi ha colpito Willy voleva uccidere
Questa è la conclusione a cui è giunta la Procura di Velletri all’esito dell’autopsia sul corpo di Willy, da cui è emerso che i colpi non sono stati inferti a caso, ma con l’intento di provocare lesioni mortali.
Pertanto, l’iniziale accusa a carico dei quattro indagati, si è tramutata da omicidio preterintenzionale in volontario, aggravato dai futili motivi: contestazione questa dalle notevoli ripercussioni in termini di gravità della pena che, in caso di condanna, verrebbe irrogata ai colpevoli.
Ma da cosa nasce la scelta del magistrato di mutare il tipo di delitto e che significa che l’omicidio che si contesta non è più preterintenzionale ma volontario?
Nella relazione medico legale il dr. Saverio Potenza parla di «colpi assestati e non casuali». Calci e pugni mirati su organi vitali: al torace, sulla pancia, sul collo. Dunque, la morte è stata un evento voluto.
L’omicidio preterintenzionale si ha, contrariamente, quando chi cagiona la morte vuole solo, ma intenzionalmente, percuotere o ledere, e da tali condotte ne è derivato, causalmente, l’evento letale.
In tal senso il codice penale parla di delitto “oltre l’intenzione”, in quanto dalla propria azione (in questo caso dalle percosse o dalle lesioni) è derivato un evento dannoso più grave di quello voluto.
Per essere ancora più chiari – inizialmente – l’Accusa contestava agli indagati di aver ucciso il povero Willy senza volerlo, ovvero che costoro volessero solo picchiarlo e percuoterlo e che la sua morte sarebbe derivata, causalmente, in conseguenza dei numerosi colpi inferti. Ma l’autopsia ha invece ribaltato i fatti, essendo emerso che il ragazzo è stato vittima di una aggressione prolungata e che i colpi sono stati inferti – anche con armi contundenti – in precise aree del corpo e dunque con l’unico intento di uccidere.
Dati scientifici che per gli investigatori sarebbero stati rafforzati anche dalle dichiarazioni rese dai vari testimoni e dai precedenti penali di alcuni degli indagati.
Dunque, se la versione dell’Accusa dovesse essere confermata e provata anche nel corso del processo, la pena che si prospetta per i responsabili potrebbe essere l’ergastolo.
Ma al di là dei tecnicismi giuridici, che sicuramente incideranno notevolmente (in termini sanzionatori) qualora gli imputati dovessero essere ritenuti colpevoli al termine del giudizio, resta il fatto che, purtroppo, ancora una volta, la cronaca ci pone davanti a episodi di inaudita violenza, ad esplosioni di aggressività assolutamente ingiustificate e ingiustificabili da parte di giovani contro altri giovani, dove la vita sembra aver perso qualsiasi valore, dove è tutto un gioco portato all’estremo di cui non si comprendono o non si vogliono vedere le conseguenze, dove ciò che conta è solo la “caccia” al diverso, al debole, a chi non si piega alle ingiustizie, a chi lotta per la propria libertà.
E allora ben venga la pena dura, la pena esemplare che ristabilisca gli equilibri rotti dalla violenza futile e priva di logica, che restituisca alle famiglie delle vittime giustizia e non vendetta, ma senza mai dimenticare che il vero impegno sta nella prevenzione, nella cultura della legalità e del rispetto, nella comprensione e nell’accettazione, nell’accoglienza delle differenze e nell’integrazione, perché, se l’unico rimedio a cui appigliarsi è il carcere e la pena, significa che ogni tentativo precedente ha fallito.
Significa che tutti noi abbiamo fallito perché non siamo stati capaci di comprendere, diffondere e mettere in atto quella “cultura del rispetto verso l’altro” che potrebbe impedire tanti inutili atti di violenza e trasformarci in uomini e donne più consapevoli, in genitori/insegnanti ed educatori attenti, in cittadini migliori e più responsabili.E’ importante che la pena torni ad essere un deterrente e una extrema ratio, come dicevano i primi legislatori, e che si investa in prevenzione e formazione, altrimenti le cronache continueranno a rimandarci l’infinito film di violenze gratuite, fini a se stesse, rivolte ai più fragili e , forse, evitabili.