Nicoletta Latteri, scrittrice ed archeologa, nasce in Germania da padre italiano e madre tedesca. Laureata in Archeologia all’università di Bonn, si trasferisce a Roma per questioni di studio, dove resta per amore della città. Dopo un brutto male, decide di scendere in politica per poter incidere maggiormente sulla difesa dei Beni Culturali e la Cultura del territorio. Ex Presidente della Commissione Cultura dell’VIII Municipio di Roma, oggi si batte in difesa della creatività e del patrimonio storico-artistico italiano.
L’abbiamo incontrata in occasione del suo nuovo romanzo, Rosso Romano.
Gentile Nicoletta, ci può descrivere, innanzitutto, il Suo stato d’animo, le Sue sensazioni personali? Come sta vivendo questi giorni così unici della nostra storia?
Difficile da dire, pensavo di essere forte e superare il tutto abbastanza indenne, però non è proprio così, la realtà è sempre diversa da quanto si crede. Mi è sempre stato chiaro che il mondo in cui viviamo non fosse così sicuro e consolidato come ci piace credere, ma vederlo crollare in così breve tempo è tutt’altra cosa. Inoltre penso che il peggio debba ancora venire, perché andiamo incontro a una crisi economica senza precedenti. Alla fine ce la faremo perché siamo maestri nell’arte di arrangiarci, però sarà dura.
Veniamo subito al Suo bel libro, “Rosso Romano”. Che tipo di viaggio personale ha compiuto per scrivere questo libro, che viaggia tra le mura della città eterna ed apre a ragguardevoli combinazioni di spazi e visioni?
Diciamo che avevo cominciato a scriverlo già prima della quarantena, però era solo sbozzato. Rosso Romano è stato scritto durante il lockdown e quindi in qualche modo ne risente, vi è questa sensazione di muoversi ai bordi di un baratro. Più che un viaggio personale, ho voluto descrivere una Roma fatta di mille voci diverse e corali allo stesso tempo, che per quanto brutale ha il dono unico di riuscire a rimanere umana. Per questo come protagonisti ho scelto dei ragazzi dei nostri giorni che cercano di guadagnare qualcosa per mantenersi agli studi, l’unica particolarità è che lo fanno compiendo furti d’alto livello, e a un certo punto, loro malgrado, sono costretti a confrontarsi con la pressione passato e con la violenza delle lobby di potere odierne.
In qualche modo la stessa città di Roma in Rosso Romano assume la dimensione di un personaggio ingombrante, un Giano bifronte, che può essere sia benevola che sanguinaria.
Una prima impressione che abbiamo avuto di questo Suo testo riguarda la sensazione che l’autrice voglia farci “annusare” il mondo della Chiesa, molto legato agli affari materiali piuttosto che alle grandi questioni spirituali… ci sbagliamo?
No, ho voluto seguire un certo realismo, il romanzo mostra una Chiesa divisa tra affaristi e chi si impegna sul territorio e cerca realmente di aiutare chi è in difficoltà. Un’antica lotta intestina della Chiesa, in fondo niente di nuovo.
Anche da un punto di vista squisitamente metafisico, nel libro si percepisce l’attenzione di un certo mondo ecclesiastico nei confronti dell’immaginario esoterico, che distorce il senso del messaggio cristiano…
Se si va a visitare l’Appartamento Borgia nei Musei Vaticani, si può ammirare una bellissima collezione di simboli e messaggi esoterici. Fa parte della storia della Chiesa che ha combattuto l’esoterismo e in parte ne ha subito il fascino, non dobbiamo dimenticare che la Chiesa, soprattutto quella antica, è stata molto eclettica e ha sempre assorbito molto dal mondo circostante. Nel romanzo si parla anche di alchimia, che, prima di essere condannata, era ampiamente praticata dagli ecclesiastici, S.Tommaso d’Aquino e S.Alberto Magno ad esempio erano grandi alchimisti. Con questo voglio solo dire che le cose, anche metafisiche, non sono sempre tutte nere o tutte bianche e che un po’ di esoterismo non incide sul messaggio evangelico che ha tutt’altre basi.
Molto accattivante è comunque la figura della volpe, alias Marco, che dopo aver viaggiato tra operazioni di riciclaggio di denaro sporco attraverso le opere d’arte, sembra giungere ad una volontà di redimersi. Si è ispirata a qualcuno o a qualche situazione particolare nel tratteggiare questo personaggio?
Ammetto di essermi ispirata ad Arsenio Lupin di Maurice Leblanc e alla sua versione moderna di Lupin III. Il mio romanzo ha forti influssi manga nella concezione delle scene e dei personaggi, questo perché mi ha sempre affascinato la capacità creativa dei manga e l’originalità delle storie narrate o meglio disegnate che non trova eguali in altri ambiti artistici. Nel mio romanzo c’è molta fantasia, ma non credo di arrivare ai manga o anime.
Comunque ha colto nel segno, c’è una forte volontà di cambiare vita nel personaggio principale, ma anche in altri secondari, cosa che continuerà negli episodi successivi, dove, senza spoilerare, la banda della Volpe diventerà qualcosa di simile ai “Monuments men”.Chiudiamo con una curiosità personale. Quale attore immaginerebbe nell’interpretazione della volpe se dal Suo libro un giorno venisse ispirato un film? Domanda difficile, La Volpe è un tipetto particolare né bello né brutto, il bello di Rosso Romano è Raffaele il killer e volendo anche il frate che fa l’hacker è più bello del protagonista, forse pensando ad un attore italiano… Fabio Rovazzi.
con le tue infinite apparenze, i tuoi infiniti volti…
con il profumo della primavera che accarezza il vento, con le dune che iniziano a colorarsi, accompagnate dalle giornate che si allungano, e che invitano le rondini a tornare e le lucertole a sguizzare, in allegria…
Caterina Adriana Cordiano è nata a Giffone, borgo montano nella provincia di Reggio Calabria. Ha conseguito gli studi regolari in parte nella sua terra d’origine, in parte in Campania dove ha vissuto ed assorbito gli umori del sessantotto e dove è ritornata, a distanza di tempo, per il lavoro d’insegnamento (Napoli). Da qui l’affezione a quella città che considera la sua seconda patria. Nei rientri in Calabria oltre che dedicarsi alla sua professione d’insegnante, si è impegnata nella vita pubblica dove ha rivestito incarichi di responsabilità e rilievo. Conclusa tale esperienza, ha indirizzato i suoi interessi verso attività squisitamente culturali rivestendo, per circa vent’anni, l’incarico di presidente di una fondazione culturale La sua formazione culturale passa attraverso l’esperienza storica del ’68 che la porta a conoscere i grandi della letteratura e della filosofia europea: Marcuse, Sartre, Russell ed anche i nouveax philosophes : Bernard Henry Levy; Andrè Glucksman, Michel Foucault ( A. Piromalli di lei ha scritto che“ Nella sua formazione culturale entrano il marxismo classico ed il pensiero laico e pacifista europeo” – “ Maropati, storia di un feudo ed un’usurpazione”-Pellegrini, Cosenza–sec. edizione). Ha conosciuto ed avuto amici molte personalità della cultura: Fortunato Seminara, Giorgio Barberi Squarotti, Raffaele Sirri, Pasquino Crupi, L.M. Lombardi Satriani e, particolarmente, Antonio Piromalli. Ha molto viaggiato in Italia e nei paesi europei per soddisfare la sua sete di confronto con le altre culture, anche quelle extraeuropee, con soggiorni in Tunisia ed in Turchia, Istanbul in particolare. L’esperienza del viaggio, come essere altrove per ritrovare, nelle diversità, le profonde identità che accomunano l’uomo, continua a segnare il suo pensiero, orientato, convintamente ed intimamente, verso una cittadinanza che riguarda il mondo intero. Da innamorata della narrativa, della poesia e dell’arte in tutte le sue forme, ha voluto mettersi alla prova producendo degli scritti che solo ora, in una condizione di otium operoso, inizia a pubblicare. Questo suo primo romanzo, “I giorni del mare”, arriva alla pubblicazione anche grazie ai pareri critici positivi espressi da autorevoli studiosi della letteratura alla cui attenzione era stato sottoposto.
Gentile Caterina, desideriamo innanzitutto conoscere il Suo stato d’animo davanti a questa tragedia che ha sconvolto e che sta continuando a tenere le nostre anime in sospeso. Come ha vissuto e come sta vivendo questi giorni?
I miei stati d’animo di fronte a un evento impensabile, inimmaginabile e terribile quale è stata, ed è, questa pandemia, sono stati diversi. All’inizio, di fronte ad una malattia sconosciuta che ci era sembrata lontana ma che poi abbiamo visto diffondersi con la velocità della luce e dilagare in tutti i paesi del mondo, facendo precipitare in un’oscura spirale di morte migliaia e migliaia di vite, è stato di profondo sgomento, di vuoto, d’impotenza, di estrema fragilità. I ritmi di vita sconvolti insieme alla cancellazione della gioia della socialità, della vicinanza, degli abbracci, era disagio assoluto, terribile solitudine, estrema ansia perché insieme alle certezze svaniva la visione chiara del domani, i cui contorni diventavano sempre più indefinibili e comunque oscuri. Poi, in qualche modo, è intervenuta la fase della razionalità. Ho cominciato, come tutti, a interrogarmi e darmi risposte, quelle possibili, anche se rimaneva lo smarrimento per le indecisioni della scienza che si dibatteva anch’essa in supposizioni e congetture, su un virus che sembrava guidato da un’intelligenza selettiva e diabolica, colpendo maggiormente le persone anziane, il sesso maschile, alcune zone geografiche piuttosto che altre e persino beffarda con uomini di potere scettici e dubbiosi come nel caso del premier inglese. Infine la bellezza della creatività e la voglia di fare, nate dalla resilienza dei popoli e di ognuno di noi, si sono trasformate in momenti di grande energia che ci hanno aiutati a risorgere. Ora che l’emergenza, almeno nella sua forma di più acuta gravità, sembra essere stata superata ed è iniziata la fase della speranza, della ricostruzione e della voglia di normalità, ciò che mi auguro è che la normalità di oggi sia diversa da quella di ieri e che ognuno di noi abbia imparato qualcosa da questa terribile esperienza. Non credo davvero nell’avvento dell’uomo nuovo, ma dell’uomo migliore sì.