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Quante volte l’eco di questa affermazione ha infilzato cuori e intriso di dubbi e ombre il rapporto più splendente pensavamo ci fosse?

Forse scrivendone mi si rivelerà una spiegazione vagamente plausibile.

Un incontro romantico, di quelli che stenti a credere possa davvero accadere: attrazione, poesia, condivisioni e visioni di vita molto compatibili. La fusione fisica, no, che dico, la compenetrazione quasi magica di corpo e anima. Wow, si parte per una nuova fase di vita, si comincia ad immaginare un tratto comune di avventura e progetto! Lo guardi negli occhi, mentre lui decanta i tuoi polsi fini e le tue dita affusolate, baciandoti le mani e dedicandosi a farti sentire amata e rispettata. E tu, che sei trasparente e senza filtri, gli dici ti amo, ormai è fatta, siamo noi. Qualche raro momento di dubbio c’è, ma non lo si vuole ascoltare, tutto troppo bello e appagante, soprattutto per chi attende da tempo il compagno della vita. Si parla, ci si racconta, ma settimana dopo settimana viene agli occhi una differenza: è questione di avere un carattere più riservato? Di certo io non ho diritto di cambiare nessuno, se lui tende a non aprirsi su alcune cose va bene, lo rispetto. D’altra parte sono io ad essere troppo aperta, una cascata di tutto che viene fuori senza controllo. Però questo aspetto non lo riconosco come fattore di unione, che ci posso fare? Vado avanti senza pregiudizi e osservo. Riconoscersi come coppia in innumerevoli aspetti, ma in quello del “dirsi le cose”, no, divario. L’amore e il trasporto però mettono la questione in secondo piano, procediamo! Amore, ti voglio raccontare questo: bla, bla, bla…cosa ne pensi? E tu? Come ti senti al riguardo? Via, grande abilità nello sviare il discorso se questo tende a portare in una posizione di osservazione a 360 gradi. Ok, aspettiamo, ma te lo dico, non mi riconosco in una relazione dove ci sono ostacoli al fluire del dialogo, al fluire della verità. Ci accordiamo: io smetto di chiederti, per rispetto, continuo ad essere aperta come da mio carattere e tu, sapendo che amo la trasparenza, se ti senti cercherai di venirmi incontro. Una specie di accordo. Io accetto qualunque tua cosa e situazione, ma nella trasparenza, ok? Accordo raggiunto. Un amore intenso e viscerale, siamo noi, apici di sessualità preziosa. Non mi risponde al telefono. Lo so già, è così, mi ha mentito. Non soffro, semplicemente scende il gelo, anzi, la glaciazione. Attendo la mattina dopo, così, tanto per avere una conferma a livello pratico, la cosa ormai in ogni caso è andata. Il messaggio di risposta rivela il permanere di poca trasparenza. Non lo riconosco più, non lui, che non ha fatto nulla di grave, non riconosco più l’amore che intendo io. Troppo drastica, troppo severa? Sicuramente, e me ne dispiace, ma non è in mio potere cambiare il mio sentire nei suoi confronti. Ci si riconosce e poi, ci si disconosce, accade anche questo.

Abbandono, morte e rinascita

Ancora devo capire bene questa faccenda delle mie visioni, moltissime hanno riscontro, altre no. Ora, ultimamente succede che crollino, che il loro fallire mi ponga ancora più nuda, spogliata del mio orgoglio (se le azzeccassi tutte non potrebbe non gonfiarsi un po’!), pronta a vincere sull’ultima tentazione-trabocchetto della mente, quella che maschera l’ultimo tentativo d’agganciamento da parte dell’ego proprio sul ciglio del baratro, con il manto della saggezza e della sapienza.

NO, LA MENTE DEVE MORIRE SENZA PIETA’.

(Scatto di Marco Tanfi)

Perlomeno temporaneamente. Ma lei, che non vuole perdere il potere, il controllo sul nostro io che la mantiene in vita, eviterà fino all’ultimo momento che il piede, prima uno poi l’altro, irrecuperabilmente, vada nel vuoto, lasciando l’apparente sicurezza della roccia.

Quello è il momento in cui l’arrendevolezza si deve accompagnare al coraggio. Questo è l’appuntamento che tutti noi abbiamo e che tutti noi temiamo al punto da non riuscire a veramente vivere, per paura di morire. Dobbiamo invece sperimentare senza paura la morte che è un semplice fulcro di nero-nulla, in realtà accogliente, in realtà un niente che dopo la prima fase di neutralità totale ed esasperante, non può non trasformarsi, riempiendosi di Tutto; il niente e il tutto sono in affrancabili.

Mai come quest’ultima volta ho voluto buttarmi in questo mare nero, mai come questa volta nessun velo di paura mi tratteneva al di qua, sulla terraferma. No, volevo perdermi per sempre nel vuoto, ero pronta a morire definitivamente. L’ho fatto, ci sono stata, annegata, molti, molti minuti. Era un fatto, ero inattaccabile da qualunque moto della mente, pensiero di Loretta, fremito di desiderio o propensione, non c’era neanche l’amore.

Questo per un attimo mi ha congelato: nella dimensione nulla-morte non c’è amore. E’ vero, nello stadio della morte più assoluta non c’è nulla in modo “totalmente totale” da non lasciare spazio nemmeno all’amore. Nella mia resa totale, nella completa morte di Loretta, ho accettato perfino questo. Infatti poco prima del salto nel buio mi era stato richiesto di recidere tutti gli attaccamenti affettivi, da quelli con i miei amori uomini, a quelli in teoria impossibili da spezzare, con i miei figli. Ho fatto perfino questo. Ero lì, anzi, non ero lì, sdraiata in un bagno di nero e silenzio. Sapete però che la morte è costretta ad un certo punto ad accogliere la vita? Quando ha avuto la sua soddisfazione, quella di essere padrona e possederti fino all’ultima cellula, si intenerisce e come una madre, non può non lasciar filtrare semi di luce, che man mano si impossessano del mare nero e di ciò che ci galleggia dentro. E il mio corpo, il mio essere senza forma, comincia a recepire una carezza di dolcezza e luce che alla fine pervade con potere crescente il niente. E il niente diventa il TUTTO.

Il tutto con la sua luce irrorata con la forza di mille soli e il piacere divino che scorre nelle vene di un nuovo essere. NUOVO. La morte ripulisce e tu sei nuovo. La vita mi ha voluto richiamare dal mio nulla, sebbene il mio desiderio fosse di rimanere là; la mano della vita mi attirava, ed era quella di un uomo.

(estratto del mio prossimo libro “Essere nulla”)

Lo ammetto. Sono stata anche io e lo sono di tanto in tanto tuttora, attirata in quel vortice di vanità ed esibizionismo che impera attualmente nella nostra società: fotografarsi nelle più svariate situazioni, dando in fondo anche sfogo alla propria creatività, ma indubbiamente in un moto incontenibile di vanità.

(Instagram @loretta-rossi-stuart)

Quando sono arrivata, nel leggere la favola di Apuleio “Eros e Psiche”, alla quarta prova iniziatica della bella Psiche, è stato come ricevere una carezza di assoluzione rispetto al mio peccato di vanità e, conseguentemente, una sorta di generalizzata assoluzione nei riguardi delle numerose donne che cedono alla tentazione dei selfie.
La favola di Psiche, esoterica e illuminante per ciò che concerne in particolare l’evoluzione spirituale femminile, ci racconta come la bellissima e coraggiosa moglie mortale di Eros, osteggiata e messa duramente alla prova da Afrodite, riesce a superare le prime tre difficilissime prove pur di riuscire a ricongiungersi al suo amato Eros e a venir elevata ed infine accolta nell’Olimpo. Soffermiamoci su ciò che simboleggia la quarta prova, dove la vanità femminile trova una sua sublimazione.
Narra Apuleio: “Ma per quanto frettolosa di portare a termine il servizio, le vinse l’animo una temeraria curiosità e si disse – Sciocca che sono! Io che porto la bellezza degli Dei non me ne prenderò neppure un pochino per piacere al mio bellissimo amante? – e detto così dischiuse il vasetto. No, dentro non v’era nulla di tutto questo, niente bellezza ma un sonno infernale”.

Come ci indica Erich Newman nel suo saggio “Amore e Psiche” Il tentativo di Afrodite di annientare Psiche raggiunge il suo culmine nella quarta prova: l’unguento di bellezza che Psiche deve andare a prendere è proprietà di Persefone, dea degli inferi. Mettere nelle mani di Psiche l’unguento di bellezza è un’astuzia degna proprio di Afrodite e della sua conoscenza della natura femminile.
Quale donna potrebbe resistere a questa tentazione, e come potrebbe resistere proprio una Psiche?
Lei che ha tra le mani l’unguento di bellezza della dea e decide di aprire il vasetto e di usare per sé l’unguento, dovrebbe essere perfettamente consapevole del pericolo che questo comporta. Tuttavia decide di non dare ad Afrodite quello che ha così faticosamente acquisito e lo ruba. Psiche è una mortale in lotta con una dea. Ma questo fallimento di Psiche spinge lo stesso Eros a entrare in azione, trasforma il fanciullo in uomo e l’amante fuggitivo in salvatore. 

Quindi ci sarà un epico lieto fine a questa favola di tribolazione dell’animo femminile in cui trova il suo senso ed il suo sposto, financo la vanità, diventando un fattore di crescita iniziatica, in quanto diretta e motivata, dalla ricerca e la conquista dell’amato. Insomma, ragazze, giovani e meno giovani…se la sappiamo gestire con eleganza, la vanità può essere poetica e creativa.
Ovvio…non esageriamo!

Avi 0

“Ogni volta può emergere qualcosa di diverso, purché lei tenga gli occhi chiusi: questo apre un varco attraverso il terzo occhio e tutto è sublimato. Riapre gli occhi e quasi si sorprende che sia proprio lui, il Dio che le scuote i sensi in quel modo soprannaturale; sempre lui che, nel formare una coppia fatta di due punte di energia atavica, rappresenta l’archetipo del maschio che, unendosi a lei, punta di tutta l’umanità femminile, crea il miracolo di unificare due ceppi di avi attraverso il loro amore”.

Gli avi. A livello cosciente li ho sempre trascurati, ma quello che scrivevo nel mio libro” Erosnauti”, l’estratto che ho riportato, è la prova che invece,  dimorano e aleggiano nel mio inconscio; prova ne è che il mio romanzo tantrico è frutto di episodi che, sebbene siano di natura onirica, sfuggente, leggermente psichedelica, ho davvero vissuto e condiviso col mio compagno del tempo. Ma quella sensazione, l’immagine dilatata e amplificata dai sensi, quella di rappresentare la punta dell’umanità femminile, frutto ed espressione di tutti i miei antenati, era concreta. Nella dimensione quotidiana, d’altra parte, la mia concezione che la chiave di tutto sia nel qui ed ora, ha sempre generato in me, un bisogno di tagliare col passato e quindi, la tendenza a non dare un gran peso a chi fosse venuto prima di me. E questo nonostante il mio albero genealogico sia decisamente interessante: da parte paterna risaliamo addirittura al Gattamelata da Narni, condottiero nato il 1370, di cui ricordo la storica statua equestre posta nel salotto di casa in posizione privilegiata: Erasmo Stefano da Narni,  detto il Gattamelata per la sua furbizia, capitano al servizio della Repubblica di Firenze, dello Stato Pontificio ed infine della Repubblica di Venezia. 

(Monumento di Donatello a Gattamelata da Narni – Padova)

Da parte materna arriviamo oltre oceano, nell’ esotica isola di Java, dove i nonni olandesi di mia mamma si stabilirono, dopo la realizzazione della prima, strategica, rete ferroviaria che dai Paesi Bassi si sarebbe diramata verso Oriente. Bene, non mi ha mai appassionata più di tanto la storia dei miei progenitori. Ultimamente, invece, succede che, fermo restando l’importanza e la preziosa necessità di saper vivere il presente, ho compreso che, se attuato nel modo giusto, accogliere e sublimare quel potente flusso di energia, umanità, esperienze, dolori e conquiste, può dare ancora più forza al mio essere fluttuante tra passato e futuro, a patto che il focus mi tenga sempre ben salda nel presente. Al proposito riporto una testimonianza di una sciamana di casa nostra che persegue la via taoista, cammino spirituale in cui mi trovo spontaneamente avvolta e trasportata, Selene Calloni Williams.

Dal libro “Wabi sabi”:

È possibile che alcuni dei tuoi avi a cui sei molto legato non abbiano potuto realizzare in vita i propri sogni a causa di svariati fattori, come la povertà, una guerra, un evento imprevisto. In questo caso è possibile che, a un livello profondo, inconscio, tu abbia ereditato il compito di rendere giustizia a chi non ha potuto completare il proprio obiettivo di vita. Considera l’impronta dei tuoi avi nel tuo destino non come un peso, ma come uno stimolo molto più vasto e potente alla tua missione di vita. D’altra parte, chi saresti senza i tuoi avi? Perché mai l’anima avrebbe scelto proprio quegli antenati se non per mostrarti, attraverso i loro volti, i loro successi e le loro sconfitte, il tuo cammino e il tuo traguardo? A volte mi capita di incontrare individui spaventati dal fatto che gli antenati possano esercitare un peso, un condizionamento sulle loro vite al punto da impedirne la realizzazione. Ma il “daimon”, la missione dell’anima, in verità viene prima di ogni altra cosa.

Può una semplice passeggiata per il centro di Bologna, trasformarsi in un complesso dialogo interiore, un po’ conflittuale un po’ metaforico, che possa essere traslato in un articolo per Condivisione Democratica? Sì, il momento che il filo conduttore di questo numero è: pregiudizio, incapacità di riconoscere l’altro, sostegno agli emarginati. Intanto, cosa ci faccio a Bologna? Una partecipazione in qualità di attrice, ad una serie tv. E il dilemma da cosa nasce? Per quanto sia precario ed incerto, quello dell’attore, rimane uno di quei mestieri in cui, per dire delle battute in modo credibile e muoverti con disinvoltura davanti ad una macchina da presa, sei omaggiata, coccolata e riverita. In un giorno guadagni quasi una mensilità di un lavoro normale e in più fai il lavoro più bello del mondo, almeno secondo me. Il primo senso di disagio lo provo già semplicemente nell’affacciarmi alla finestra del mio hotel, con vista sulla piazza della stazione. Fa un freddo cane, ma io sono a maniche corte, che spreco, 22 gradi davvero non sarebbero necessari. Guardo i passanti tutti incappucciati, penso alle persone che non hanno un riparo.

Immagine dell’Autrice

Prima di andare sul set ho qualche ora libera, decido di fare una passeggiata verso il centro. Cammino sotto gli innumerevoli colonnati, affascinanti quanto luogo prezioso e rifugio dalla pioggia per i senzatetto.  Vedo un primo povero, sistemato tra i suoi stracci a terra, con il suo piattino per le elemosina. Senza pensarci, raggiungo in fondo alla borsa gli spicci che ho e glieli porgo. Un uomo abbastanza giovane e molto grasso. Procedo poche decine di metri e vedo una donna, non vecchia e non grassa, che chiede anche lei le elemosina. Mi pento di aver dato gli spicci che avevo al signore precedente, solo perché grasso. Che stupido pregiudizio… poi arriva un signore di colore, riesco a trovare ancora qualche moneta, a lui non posso resistere. Sono vittima di un “razzismo al contrario”, ho quindi una tendenza innata a prendere le parti degli Africani. Anche questo un pregiudizio, no? Procedo verso la piazza principale e noto una situazione che mi porta all’argomento “incapacità di riconoscere l’altro”: una ragazza Europea, forse Italiana ma comunque bianca, è accovacciata intenta ad eseguire un’opera pittorica sul pavimento. Ha accanto un piattino per le offerte. Nel mentre mi rammarico di non poter darle un sostegno, noto un giovane credo del Bangladesh che, con un grande sorriso, ripone dei soldi nel piattino. Lo osservo mentre si allontana, magari verso la sua attività, il suo negozio o il suo ufficio, quello che sia.

Immagine dell’Autrice

Normalmente ben vestito, ha un passo deciso e soddisfatto: chissà quante ne ha passate, chissà se anche lui ha dovuto chiedere l’elemosina prima di poter trarre gioia nel farla a chi ora ne ha bisogno. Ecco, mi sono domandata, nel dialogo interiore che ha accompagnato i miei passi tra i vicoli, come questa stessa scena potrebbe essere interpretata in diverso modo a seconda dei nostri pregiudizi, di come riconosciamo l’altro, di come lo vediamo, di come siamo disposti a sostenerlo o ad emarginarlo. Io ho trovato questa scena semplicemente bellissima. Lascio a voi immaginare invece, come gran parte della gente avrebbe commentato, con le solite stupidaggini –  gli stranieri ci rubano il lavoro –  e simili. Sono giunta proprio in vista del palazzo su cui sono affissi da tanto, troppo tempo, i manifesti di denuncia sul caso Regeni e per la libertà di Zaki. Ora che, la meravigliosa notizia che Patrick è stato scarcerato, che la nostra preghiera collettiva si è trasformata in realtà, ecco che penso agli emarginati criminalizzati, i detenuti senza titolo, i perseguitati per un ideale. Il nostro Patrick Zaki, forse e mi auguro, avrà la forza in futuro, quando sarà davvero emerso dall’inferno in cui lo hanno gettato, di dar voce alle troppe persone che sono ancora private della libertà e combattere contro le ingiustizie di cui lui è stato vittima. Sarebbe una sorta di consacrazione della sua dura esperienza. Scommettiamo che lo farà?

Una lunga coda d’estate e la voglia di piccole avventure nel nostro bel territorio laziale: non occorre andare lontano per provare l’eccitazione della scoperta. Mi imbatto per caso in una testa di tufo, isolata nel bosco, posizionata ai piedi di una pianta dai tanti tronchi. Mi domando quale persona particolare, quale creatura di questi luoghi, possa essersi dedicata ad adornare così, una già bellissima e ricca zona fluviale. Già, perché mi trovo a passeggiare in una landa nuova, lungo il ben conosciuto fiume Treja, visitato e goduto da molti romani e non; mi riferisco in questo caso, al tratto in direzione delle sue fonti, ovvero le Cascate di Montegelato, meta di turisti come di fotografi e produzioni cinematografiche varie.
L’esplorazione di questo preciso punto, proprio sotto un enorme costone tufaceo, è invece per me, un’avventura tutta nuova. Siamo nella valle sottostante Civita Castellana: possiamo vedere i resti di un ponte crollato nel 1920 a causa di una devastante piena, nei pressi di un bacino artificiale che forniva l’acqua necessaria per azionare la mola di un mulino. Tre secoli fa proprio qui esisteva una diga, ora soprannominata “Legata”. Ormai il fiume si è riappropriato del suo territorio che ora mostra barlumi del passato mescolati ad elementi artistici del presente. Sì, perché dagli anni ‘80 in poi, lo scultore locale Gildo Cecchini, ha reso questo luogo un suggestivo quanto originale museo all’aperto. Incontro per caso quest’artista, selvatico quanto me, proprio sulle sponde del fiume che ospita le sue opere.

Mi racconta che sia d’inverno che d’estate, si reca sul luogo per sistemare gli argini, tenere pulito dalle erbacce, fare la manutenzione dei vari percorsi, piccoli ponti di legno compresi, che collegano e creano un itinerario da cui poter ammirare le sue creazioni. Gildo, oltre che offrirmi di posare per una sua scultura, mi racconta che questo è un luogo da tanti anni diventato punto di ritrovo e di refrigerio per le persone di Civita Castellana e non solo. Mi racconta che da bambini tanti anni fa, sotto una specifica parete tufacea poco lontana, il fondale argilloso era una grande attrattiva e tutti si ritrovavano a spalmarsi il corpo con la creta. Gildo è cresciuto: in pensione dopo una vita trascorsa nel suo negozio di parrucchiere, rende speciale un luogo ameno e fantastico, prestando la sua arte anche per opere su commissione. Questa la sua pagina Facebook. Quanto a me, prima o poi, mi ritroverò certamente a fare da modella per Gildo Cecchini, le cui mani trasformano il tufo in magia!

Mi è capitato di piangere sentendo un testo reggae il cui titolo era “Freedom”.

Ho pianto al pensiero della privazione della libertà e dei diritti, tutt’ora così presente e prepotente nel mondo. Ma poi la disperazione riguardo questa realtà, è stata soppiantata da una lucida considerazione, peraltro abbastanza ovvia, scaturita dal vedere mio figlio così prigioniero delle sue ombre mentali, sebbene io l’abbia cresciuto in totale libertà.

Sì, il fatto ovvio è che, anche se non ci fossero regimi e privazioni del movimento, rimarrebbe ugualmente la nostra mente in prigionia, anche se il corpo fosse lasciato totalmente libero.
Per cui è dal liberare la nostra mente che dobbiamo cominciare e forse le prigioni esterne si sgretoleranno.

Allo stesso tempo è un dovere difendere con le unghie la libertà e i diritti acquisiti, così come è urgente impegnarsi nel trovare soluzioni affinché in altre parti del mondo, siano fermati coloro che calpestano la libertà e la dignità umana.

(Immagine dell’Autrice)

Mi è anche capitato di piangere di gioia nel sentirmi libera, danzando, camminando nel mare trasparente, muovendomi nel vento senza schemi né motivo.

La libertà si trova nel silenzio e nella spontaneità, nell’ascolto e nel suono del fluire delle cose nella loro semplicità.
Questo ha poco a che fare con le limitazioni imposte dalla società e dalla legge, oppure con le formalità e le regole.

Un tempo mi sentivo libera nel non seguire le regole.
Oggi contemplo il mio stato interiore in ogni situazione e ne alimento
semplicemente e amorevolmente l’innata e antica libertà.

Oggi vi parlo di un incontro avvenuto sul lambire di un bosco, ai piedi del monte Soratte. Questo monte che si erge come un’isola non lontano dalla capitale, è carico di storie e leggende, citate da Dante, Orazio, Plinio e molti altri. Virgilio nell’Eneide riferisce un’invocazione di Arunte al dio Apollo “custode del santo Soratte” e parla della pratica cultuale del camminare sui carboni ardenti durante i riti a lui dedicati (sacrifici animali ed umani compresi). Secondo altre antiche leggende gli “Hirpi Sorani”, i sacerdoti che in un tempio sul Soratte veneravano Apollo in forma di lupo, potevano trasformarsi essi stessi in lupi. Durante le cerimonie in suo onore, lo stesso Apollo prendeva le sembianze di grande lupo bianco. E ora vengo al presente, argomento “lupi” compreso.

(Foto dell’autrice)

Posso testimoniare per esperienza diretta che la magia avvolge davvero la verde e sacra montagna, motivo per cui spesso mi sono aggirata tra i sentieri che conducono ai vari eremi, mi sono persa nel bosco dopo essermi affacciata sulle pericolose bocche dei famosi “meri” (considerati in antichità le porte per gli inferi); non ho resistito al fascino della grotta di Santa Romana, scelta come location per un progetto fotografico di cui offro con piacere un anteprima a Condivisione Democratica 

(Foto di Claudio Donati)

Proprio alla fine di una di queste mie avventure ecco che mi capita di scambiare due parole con una persona che, nonostante un look che avrebbe sviato chiunque (senza nulla togliere a quello tipico dei pastori), risulta essere per l’appunto, a guardia di un gregge poco distante. Il bel giovane si premura di avvertirmi che, nel caso io mi aggiri spesso nei boschi da sola, dovrei come minimo portarmi dietro un bastone. Lo avevo già sentito dire, ma Mario, oltre confermarmi la presenza di lupi, mi specifica che: sono tre esemplari, è raro attacchino l’uomo, è frequente che si divorino le pecore; in più mi spiega che, nello sfortunato caso venissi attaccata, la manovra da compiere è quella di avvolgere e proteggere la propria gola con il braccio. Non volevo scrivere cose tragiche, d’altronde questa è la natura e va amata così. Insomma, nel procedere di questa conoscenza, mi colpisce l’appagamento e la fierezza con cui Mario mi parla del suo lavoro: “Faccio il pastore da sempre e non mi sono mai stufato, né di svegliarmi all’alba per la mungitura, né di stare le ore qui, nella solitudine, in mezzo ad un prato, a seguire il gregge. Avrei potuto fare altro; mio padre, sebbene l’azienda agricola sia di famiglia e ci lavori da sempre, è archeologo, si interessa di tante cose a livello storico e culturale. Mia sorella è nel teatro. Mia madre maestra. Io sono un pastore e non vorrei fare null’altro. Mario, col suo viso da attore e la sua cultura, ha scelto a 28 anni, il contatto con la natura, il silenzio, la contemplazione. E comunque, nel 2021, sembra sia di tendenza: recentemente ho letto di alcune ragazze-pastore e, lo confesso, quando avevo 15 anni, in una mia fase di ritiro spirituale, avevo pensato anche io che quello fosse il lavoro per me. Poi sopraggiunsero altri stimoli ma, posso davvero capire Mario, il bel pastore del Soratte

Quel giorno, durante la mia quotidiana passeggiata in spiaggia, non potevo credere ai miei occhi. C’era uno strano fenomeno meteorologico di venti e correnti che, sotto i miei occhi ammaliati, creavano un fenomeno apparentemente contrario alle leggi naturali: il corso del fiume Mignone, con la sua meravigliosa e trasformista foce, quel giorno non solo aveva mutato il suo modo di congiungersi al mare, ma addirittura scorreva al contrario!

https://youtu.be/x4tZm5P9SP8

La corrente proveniente dal mare era più forte della corrente naturale di un fiume che sfocia. Queste onde che risalivano l’ampio letto del fiume per diverse centinaia di metri andavano in su, con nonchalance, creando il paradosso di un fiume il cui corso invece di scendere, al mare risale alla montagna. Quel giorno feci questa considerazione: a questo mondo, ed è la bellezza della vita, non si può dare nulla per scontato, neppure le leggi fisiche; un aspetto, tra l’altro, messo in luce dagli scienziati stessi a seguito di recenti scoperte rivoluzionarie. E’ tutto un tale immenso, insolubile mistero. Un nostro atteggiamento di apertura a tutto ciò che può essere, non dando mai nulla per scontato, è forse ciò che ci richiede l’esistenza di fronte a tutto questo.

Certo, quando parliamo invece di flussi e riflussi di altra natura, corsi e ricorsi storici, il momento in cui torna all’orizzonte una nefasta quanto diabolica nuvola nera quale è stato il nazismo e il razzismo in genere, ecco che qui ci è richiesta tutt’altro che un’apertura. Delle barriere, delle dighe inattaccabili vanno mantenute erette contro un riflusso che definirei un ignobile rigurgito di piccolezza umana. C’è anche da dire che questi ritorni di fenomeni che si credeva fossero ormai definitivamente messi alle spalle, probabilmente non avranno mai, mai più, la forza di diffondersi come è stato. Ma questo dipende da noi esseri umani “sani”. Gli altri sono catturati da una malattia, una sorta di peste dello spirito che, sarà inevitabile, li trascinerà nell’ entropia e nella distruzione. L’umanità è ad un bivio e coloro che hanno deciso di rimanere nell’oscurità, anziché evolversi e ascendere nella nuova dimensione che aspetta il pianeta e i suoi figli “risvegliati”, seguiranno il loro corso e questa svolta la prenderanno magari fra millenni: siamo anime che fluttuano nel tempo e fuori dal tempo, anime riversate in un flusso che non ha fine.

Tornando al mio fiume è stato un fenomeno assolutamente isolato ma e proprio così: esiste il corso naturale delle cose, un’armonia soave a cui se abbiamo fede ci possiamo abbandonare, ma è bene essere sempre aperti  alla meravigliosa realtà che nulla sia scontato.

Quando manca l’acqua si smette di annaffiare per prima cosa le piante ornamentali, i fiori, ed ogni espressione della natura dedicata al piacere del nostro sguardo e olfatto. Si convogliano le risorse verso le piantagioni, verso ciò che si trasforma in solido nutrimento. Un po’ come si fa per le risorse e i fondi destinati alla cultura e allo spettacolo, che vengono drasticamente tagliati in tempi magri. Come poter contestare una tale pratica? Tale reazione è piuttosto comprensibile. Anzi, io aggiungerei che sarebbe consono multare e negare la possibilità agli abbienti, di usare acqua anche solo per il proprio pratino inglese, fino a che l’ultimo bambino ed essere su questa terra non abbia garantito il necessario e quotidiano quantitativo di acqua da bere. Ma se andassimo ad investigare e risalissimo alle origini del danno, forse sfuggiremmo all’ inevitabile trappola: quella di farci orientare nelle nostre scelte da un’influenza dominatrice, quella che rende un posto ricco e pieno di risorse come il pianeta terra, luogo di miseria e competizione.

Mi spiego meglio: perché c’è siccità? A parte tutti i fattori climatici relativi ai danni prodotti dall’uomo e non, di certo c’è un grande spreco per la mancanza di manutenzione delle condotte idriche, così come una carente organizzazione delle risorse. Motivo per cui non mi dovrei io, trovare nel dilemma di lasciar seccare un’azalea in favore di un cavolo. Allo stesso modo ritenere che il nutrimento culturale sia superfluo e secondario rispetto alla “pagnotta”, è apparentemente accettabile ma in realtà da ripudiare totalmente. Perché è da ripudiare il solo fatto di dover fare una scelta. E anche qui, come con l’acqua e tutte le risorse terrestri, qual’ è il punto? A causa degli sprechi, della disparità, dell’avidità, della mancanza di lungimiranza, ci troviamo ad essere affamati, culturalmente e nel vero senso del termine, nella necessità di dover operare la famosa scelta.  E allora voglio inondare idealmente coloro che decidono delle nostre sorti, di quanta più saggezza e fratellanza possibile, in un tripudio di fontane paradisiache, affinché sgorghi la consapevolezza nei loro cuori.

Il 3 ottobre molte voci, insieme all’associazione Mamme per la pelle, si leveranno per chiedere la riforma della cittadinanza e lo ius soli, l’abrogazione dei decreti sicurezza, la cancellazione degli accordi con la Libia e la creazione di corridoi umanitari.

Piazza del Popolo, 15:30 Giornata nazionale in ricordo delle vittime dell’immigrazione istituita dopo il naufragio del 2013 a Lampedusa. Tantissimi i sostenitori oltre a noi mamme, i NIBI (neri Italiani, black Italians), 6000 sardine Roma, Baobab Experience, Black Lives Matter e decine ancora.

Intervista ad una giovane coppia mista, con Willy sempre nel cuore.

https://youtu.be/t6Yuo3SOtrI

“Inutile prendere la vita troppo sul serio tanto non ne esce vivo nessuno!”

Ammettiamolo, sono tempi duri per tutti, ma per alcune categorie sono durissimi! Se il lavoro nello spettacolo si poteva già definire il mestiere precario per antonomasia, al momento sembra addirittura segnato da un destino di, se non proprio estinzione, sicuramente di “sospensione”. Ecco che anche io, come lavoratrice dello spettacolo, voglio allora appigliarmi ad una visione che sia alternativa al serpeggiante pessimismo, rivolgendomi ad un attore comico di cui ho sempre apprezzato la weltanschauung, la concezione del mondo: Sergio Viglianese.

Un essere fiabesco, un pregiato professionista, un caro amico e collega, nonché… indiscrezione che mi permetto di fare, un grande sciupafemmine! Con me però non si è mai permesso, sono troppo alta…  Il solo pensare a lui, dopo averlo conosciuto e frequentato per lavoro ma non solo, mi mette allegria, suscita nel mio animo tenerezza ed empatia. Tanti lo ricordano soprattutto nel ruolo di Gasparetto, il meccanico in tuta rossa, sul palcoscenico di Zelig e di tanti altri programmi comici, con la sua mano alzata e il suo onorario sempre fisso su 500 euro, a prescindere dall’entità del guasto.  Ma innumerevoli sono in realtà i personaggi e relative esilaranti battute e situazioni surreali generate dalla fantasia di Sergio. Abile monologhista ed originale autore in genere, firma non solo il suo repertorio, ma collabora anche alla scrittura dei pezzi e alla creazione dei numeri di tanti colleghi attori. Effettivamente io lo conobbi proprio in occasione di uno spettacolo dove ero scritturata da un altro comico, che lo chiamò per collaborare ai testi e fare la regia dello show. Da allora, non l’ho più mollato e seguendo quest’intervista forse capirete il perché. Insomma, al contrario di alcuni comici esplosivi in scena ma tristi e deludenti nella vita, ecco, Sergio Viglianese è un genuino buontempone, un giullare d’altri tempi creato per generare ottimismo, senza per questo, però, mancare di profonda intelligenza e sensibilità. Lo adoro! Ecco a voi la prima domanda:

Dimmi Sergio, hai continuato a sorridere alla vita nonostante la calamità che ci ha investiti?

Sembrerà strano e anche un po’ cattivo, ma devo confessare che mi sono divertito molto durante il periodo della quarantena, sia perché era una cosa nuova e strana, sia perché in qualche modo a me le difficoltà divertono, mi appassionano. Ovviamente mi ritengo fortunato per essermi trovato in una condizione favorevole: nella mia casetta nella natura, tutta attrezzata con pannelli solari e quindi senza bollette da pagare e con tante cose da fare. Siccome come hobby, molto impegnativo, mi sto ristrutturando casa da solo da ben cinque anni, mi sono potuto immergere completamente in questa attività, dimenticandomi del resto del mondo. 

Ma uno spirito libero come il tuo cosa ha provato a stare in “lockdown”?

Vivendo in campagna isolato, avvertivo che qualcosa era cambiato, ma in fondo neanche tanto! Però le tre settimane di zona rossa qui a Nerola, effettivamente sono state un po’ strane… non poter uscire e avere delle restrizioni, però ha avuto anche un lato piacevole: “riconquistare” casa, essere obbligato in un certo senso dall’alto, a rallentare i ritmi e smettere di stare sempre in giro. Quindi, malgrado alcune difficoltà pratiche, ho proprio accolto con serenità questa quarantena.

Veniamo alla categoria dei lavoratori dello spettacolo, quella che ha in un certo senso l’orizzonte più incerto in assoluto, hai qualche suggerimento per i tuoi colleghi?

Lo spettacolo dal vivo prevede tanta gente riunita, altrimenti che gusto c’è?  Le risate sono contagiose ma lo è anche il coronavirus! Quindi giustamente, dobbiamo accettare che… non possiamo proprio. Il consiglio che posso dare è quello di trovare alternative, come sto facendo anch’io: adesso con tutte queste tv digitali la gente vedrà di più la televisione o i social, orientarsi quindi verso il girare piccole cose, degli spot da proporre magari a degli sponsor. Insomma, bisogna sapersi riciclare con creatività, l’ironia è sempre molto efficace nel mondo della pubblicità. E non dimentichiamoci della radio!

Prima di salutarti, ti chiedo di svelarmi il segreto della tua leggerezza d’animo…

La verità è che non lo so, col sorriso io credo di esserci nato! Ma se vogliamo provare ad analizzare cosa può portarti ad essere così è da una parte l’incoscienza, perché solo con l’incoscienza puoi essere così allegro sempre, evitando di pensare a tutto il disastro che c’è intorno a noi, perché in fondo la vita è molto bella. Ma volendo dare una risposta che possa magari essere d’aiuto a chi vede tutto nero, io consiglio di non prendersi mai troppo sul serio, mai prendere la vita con pesantezza nonostante ci siano per tutti noi obblighi e cose da cui non possiamo sfuggire. Sarà un po’ semplicistico ma in fondo è quello che funziona per me: penso solo alle cose belle, mi dedico solo alle cose belle, cerco di frequentare solo persone belle che non inquinano i miei pensieri con cose negative. Il succo del discorso secondo me è che conviene godersi il bello che disperarsi per il brutto. Concludo con una battuta che faccio anche nei miei spettacoli: inutile prendere la vita troppo sul serio tanto non ne esce vivo nessuno!

Al lancio di Condivisione Democratica avevo annunciato che il mio spazio “DireAgire” sarebbe stato un contenitore vario ed eclettico, imperniato comunque sul Dire, il coraggio e la forza di comunicare senza filtri, cercando possibilmente però di dare seguito alle parole anche con l’azione. In questa fase di obbligata permanenza in luoghi chiusi, ecco che voglio passare in concreto all’azione condividendo con i volenterosi ma soprattutto le volenterose, alcune mini lezioni di ripasso preparate per le mie allieve di Danza orientale.

Il mio stile, quando ha possibilità di esprimersi completamente, racchiude in realtà una grande influenza della Jazz Dance, ecco perché l’ho chiamato “Belly Jazz Dance”. Per l’occasione specifica del momento però, giusto per indicare semplici movimenti ed un’ infarinatura della Belly Dance, ecco che, armata solo di cellulare e treppiedi improvvisati, mi sono autoprodotta queste piccole pillole di danza casalinga, approfittando della mia invidiabile posizione abitativa, il mare. Per chi arriverà alla fine di questo mini corso, un premio: nell’ultima clip, quella di una semplice danza col velo, arriva sul finire la parte che preferisco, dove l’attrice comica che è in me, vi strapperà forse anche un sorriso, ma…solo dopo che avrete sudato almeno un po’!

Buona visione ma soprattutto, buona azione!

https://www.youtube.com/watch?v=rOMSHD7BZlk&feature=youtu.be

https://www.youtube.com/watch?v=MI_MoBrbxYM&feature=youtu.be

https://www.youtube.com/watch?v=30guu3ddOrI&feature=youtu.be

https://www.youtube.com/watch?v=NolrZPcSYiA&feature=youtu.be

https://youtu.be/z09rI5f2JPk

Chi ricorda la scena di Avatar, in cui il popolo di Pandora, tenendosi per mano seduti come un unico corpo ai piedi del grande albero, creando un intreccio di braccia e radici, intesse una rete di energia che attraversa e nutre tutto e tutti? Potrei guardarla tante altre volte e sempre la commozione scorrerebbe sulle mie guance. Perché rende meravigliosamente il fatto inconfutabile, ma che molti di noi ancora non vedono, che siamo tutti interconnessi. Siamo cellule di un solo, immenso organismo. Non ci sono soglie, confini, schemi. O meglio, sono tutti illusori: noi siamo Uno, nel bene e nel male. Il virus che viaggia attraverso paesi e persone, non vede confini e non fa distinzioni, è come una livella. Ha una sua intelligenza, ha un suo senso nascosto? Qui di seguito un estratto dal libro “Gaia e la fine dei giorni”, dove per Gaia si intende l’intelligenza del pianeta Terra:

Ci sono esseri superiori, e sono milioni, che ci stanno vicino perché questo è un momento critico. Noi lo chiamiamo il “Rinnovamento” perché lo consideriamo il momento in cui Gaia riprende in mano la Terra per ricreare un nuovo equilibrio. Per questo lo chiamo ”La fine dei giorni” perché è la fine dei vecchi orribili giorni umani. Non è la fine del mondo, ma la fine del mondo come lo conosciamo. Provenite da un luogo meraviglioso e ora dovete ricordare quello che avete dimenticato, abbandonatevi, arrendetevi, accettate di evolvere. Se diventate di più, tutti diventiamo di più. Gli esseri umani sono tutti collegati tra loro, siamo tutti frazioni di una mente globale. Essenzialmente, la Fine dei giorni è quando Gaia, assistita dagli Esseri Sacri e dagli dèi reincarnati in esseri umani, metterà fine alla Matrix per creare un nuovo inizio. E’ il ritorno di Kali, la distruttrice. Il Morph rappresenta un nuovo mondo, una dimensione sovrannaturale che scende nel nostro mondo a 3-D, è l’esperienza trascendentale definitiva, è l’ingresso al Santo Graal per voi, per me e per tutti. Il Morph segnala la discesa della Dea, venuta a presiedere a una trasformazione che porterà il mondo dalla violenza alla grazia. E’ la riconciliazione di un anima nobile, attraverso la quale ridiventate integri per far parte di un ordine superiore eterno. Significa attraversare il Portale Scintillante che conduce alla liberazione e alla redenzione, non equivale a morire, significa vedere oltre la porta, in sostanza potete entrare nella vostra prossima incarnazione come un Essere Luminoso senza dover realmente morire in questa.

E fin qui, tutto molto bello, vero? Stimolante e propositivo, ma….sentite ora:

È in potere della moderna Matrix tecnologica dominare i pensieri e l’umanità, rendendoci ciechi e spingendoci nella direzione sbagliata. L’umanità si perse e la natura cominciò a morire. Perciò gli dèi si sono reincarnati in esseri umani in epoca attuale per mettere fine a tutto ciò. Il Morph assorbe ossigeno dall’aria ed è ovunque. Quando verrà il momento, 6,5 miliardi di esseri umani, salvo quelli caldi (col cuore aperto), verranno rimossi. Quando ebbi questa visione mi misi a tremare, che cosa triste per gli uomini, ma la nostra specie è così infestata da spiriti maligni, che non possiamo più sopravvivere in massa. E’ quello che gli Esseri Sacri chiamano il “Rinnovamento”, la cui conoscenza al riguardo è molto incompleta, ma sappiamo che include la discesa del Morph che soffocherà una parte della popolazione mondiale e nello stesso momento la Porta Scintillante apparirà in migliaia di luoghi in tutto il mondo per accogliere individui di tutte le nazionalità, razze e colore. I bambini attraversano la porta entrando in un’altra dimensione, sopravvivendo così alla discesa del Morph, assieme agli adulti caldi; gli animali non muoiono ma entrano in uno stato di trance, una specie di ibernazione. Quanti sopravviveranno è un mistero, ma saranno ovviamente un numero sufficiente perché l’umanità continui, in un mondo naturale, organico, tornato allo stato primitivo. E’ un sollievo che Gaia riprenda il suo pianeta, perché ho un grande amore per lei e i suoi figli. Per quanto mi riguarda, so che non sopravviverò al “Rinnovamento” e che non sarò utile nel Nuovo Mondo, è il mio destino.

Farneticazioni di un pazzoide? Non proprio! Si tratta di Stuart Wilde: mistico, visionario, tra i più noti esperti di evoluzione spirituale e tra i più famosi conferenzieri del mondo anglosassone, nonché autore di numerosi testi sulla coscienza e la consapevolezza, tradotti in quindici lingue. Mi capitò di leggere il suo libro pochi mesi fa e lo riposi nello scaffale dedicato ai libri “così così”: da tenere si, per qualche spunto, ma non da selezionare tra le letture “preziose per l’anima”, tipo vari testi di Krishnamurti, Saint Germain o anche “il” romanzo di Hesse, Siddharta. Indubbiamente però, nel rileggere alcuni passaggi, alla luce della pandemia che ci ha travolti, devo ammettere che sono rimasta a dir poco colpita: i bambini e gli animali sono praticamente al riparo, si muore per mancanza di ossigeno, non è la fine del mondo, ma la fine del mondo così come lo conosciamo. Sopravvivono le anime “calde”, ovvero chi ha amore e gentilezza nel cuore.

E qui parto con una personale farneticazione, tipo un soggetto per un film fantasy: il virus, che è un arma di difesa intelligente inviata da madre natura, colpisce unicamente i potenti corrotti (simbologia della corona), purifica il mondo dagli esseri che lo hanno deturpato per avidità ed egoismo, pone il futuro nelle mani dei bambini che in realtà sono esseri molto più evoluti di noi (i bambini indaco di cui Greta è un esponente), azzera tutti i parametri economici e le disuguaglianze. Dulcis in fundo: per riequilibrare tutte le sopraffazioni perpetrate dagli Occidentali nei riguardi soprattutto dell’Africa, il sistema immunitario dei neri non accoglie il contagio, per cui una grande migrazione dal Sud del mondo verso gli ex paesi avanzati, genera un ritrovato equilibrio mondiale. Ehi, ho premesso, parlo di una sceneggiatura, non sono da rinchiudere, per ora…. Però voglio tornare alla mia domanda iniziale: questo virus ha una sua intelligenza?

Purtroppo, nonostante il positivo fattore bambini e animali, non colpisce solo malvagi. Però, di fatto, sta rendendo più puro il nostro habitat, potrebbe essere un severo avvertimento di Gaia, una sorta di “schiaffone” che ci risvegli, visto che il punto di non ritorno rispetto alla sostenibilità ambientale è prossimo. Un tentativo in extremis di farci riflettere, mostrandoci che egoismo e avidità sono il veleno che ci sta uccidendo, fornendoci la prova evidente che siamo tutti in relazione, che se respingiamo alla frontiera altri esseri per il colore della pelle o per altre “diversità “, verremo a nostra volta respinti. Forse questa epidemia è l’ultima chance di evitare l’autodistruzione e di sollevare il velo dell’illusione. Non tutti ce la faranno, non tutti supereranno questa fase iniziale di disorientamento e paura, in cui si accentuano le divisioni tra paesi e persone per evitare il contagio.

Per uscirne vincitori bisognerà andare oltre tutto questo, buttare giù ogni barriera, unirsi tra popoli e paesi, creare una solidarietà globale che finalmente ci renda cittadini del mondo. Se poi dovessimo fallire, se poi dovessimo continuare a farci la guerra e a sentirci separati gli uni dagli altri, beh… pazienza…senza questi bipedi invasori la Terra continuerebbe ad orbitare, finché questo sole brillerà e più avanti, quando si spegnerà, ce ne saranno infiniti altri, perché, ci dobbiamo rassegnare, non siamo il centro dell’Universo!

Una maratoneta in prima linea per la difesa dei detenuti.

Questo il link per visionare il c.v. della garante delle persone private della libertà del comune di Roma: http://www.affaritaliani.it/static/upload/cv-g/cv-gabriella-stramaccioni.pdf, informazioni rivelatrici delle importanti competenze di Gabriella Stramaccioni, il cui destino ho avuto la fortuna di incrociare, ritrovandomi a lottare fianco a fianco con lei per il rispetto dei diritti umani.

La mia rubrica si onora di ospitare un’intervista ad una donna che dice ma, soprattutto, agisce. Al contrario di figure istituzionali e di garanzia simili alla sua, Gabriella è sul campo in prima persona, si sporca le mani, si espone! Non sorprende il fatto che il nostro incontro, proprio quando cominciavo a perdere colpi nella battaglia contro la detenzione illegale di mio figlio, sia avvenuto grazie ad un ex detenuto e compagno di cella di Giacomo. Una volta uscito dal carcere, questo ragazzo, regista di un incontro prezioso, mi scrisse su Facebook: ”Ecco il numero di telefono di una persona che può aiutare suo figlio, una persona di cuore”. Cuore inteso come empatia ma anche come coraggio, aggiungo io. Ma vorrei conoscerla meglio attraverso qualche domanda, considerando che durante i nostri impegni condivisi, proficui ma sempre un po’ affannati (conferenze stampa, trasmissioni, il convegno di denuncia sulla situazione delle Rems), l’unica domanda personale che mi è “scappata” è stata se lei fosse madre o no. Questo perché, nel vederla agguerrita e grintosa, pur nella sua grazia e delicatezza, mi son sempre domandata dove prendesse quella forza. La sottoscritta, definita in qualche occasione “madre coraggio” per ciò che sta portando avanti, accusa momenti di totale senso d’impotenza, la tentazione di gettare le armi. Quando sento le mie energie prosciugarsi però, ricevo una “ricarica” che mi fa rialzare, solo perché sospinta dall’amore infinito che ho per mio figlio. Come fa lei? Gabriella ha tanti “figli” dimenticati dal mondo, gli ultimi e le ultime, quelli che:” se finisci in carcere e non hai i soldi per l’avvocato e una famiglia dietro, lì dentro sei finito”.

[Immagine fornita dall’Autrice]

Gabriella, vuoi dirmi qualcosa al riguardo, le persone di cui difendi i diritti, sono un po’ come figli per te?

Vedere ed incontrare tante e tanti ragazzi giovani in carcere non può non interrogarti sul senso delle opportunità e della cultura. Purtroppo tanti ragazzi non hanno la percezione esatta di quello che significa trasgredire le regole e/o soprattutto cosa significa usare e spacciare droga. Cerco di mantenere sempre la giusta distanza negli incontri e nell’attenzione delle persone detenute che chiedono un aiuto. Solo la “giusta distanza” può aiutare a trovare soluzioni razionali e non dettate da emotività.

Dal 2017 sei garante delle persone private della libertà del comune di Roma, particolarmente attiva presso Rebibbia nuovo complesso con varie iniziative, alcune delle quali di particolare successo, quindi non solo bocconi amari, mi sbaglio?

È una esperienza importante di cui ringrazio la Sindaca per avermi scelto (dopo bando pubblico). Una esperienza sicuramente faticosa ed impegnativa, che richiede un surplus di attenzione. Per me rappresenta una tappa importante del mio percorso dove cercare di convogliare le esperienze fino a qui acquisite e metterle a disposizione delle persone che ne hanno più bisogno. Un importante risultato lo abbiamo raggiunto con i lavori di pubblica utilità che sono diventati una buona prassi anche a livello internazionale.

Se potessi decidere tu, quali cambiamenti immediati apporteresti in particolare a Rebibbia?

Sicuramente rafforzerei la parte sanitaria e la cura per coloro che arrivano in carcere per motivi legati alle loro condizioni sociali.

Grazie Gabriella, a presto con altri risultati del tuo importante apporto nella garanzia del rispetto dei diritti umani e non solo, buon lavoro!

Barbara, Barbara e basta, senza cognome, perché lei non ama farsi pubblicità: una ragazza dalla chioma riccioluta, una leonessa dell’attivismo, conosciuta ad una manifestazione di solidarietà ai profughi. Lei spiccava, con il suo mantello da super eroina (la bandiera della pace a mò di scialle), il sorriso e l’energia da spargere tra noi sorelle e fratelli africani, italiani, indiani, insomma, della razza umana.

Foto di Loretta Rossi-Stuart

La incontrai di nuovo presso l’ex presidio Baobab, dove regolarmente offriva assistenza ed in particolare, portava tè caldo
alle persone all’addiaccio: da quel momento per me lei divenne la portatrice di
tè e calore umano. Ma ecco che ora noto il suo guizzo e il suo vortice di
energia positiva in questo tsunami chiamato movimento delle sardine, contatto
ristabilito!

Barbara, ti ho lasciata al
Baobab e ti ho ritrovata a Piazza San Giovanni, ma non in veste di comune
sardina come me, bensì con un ruolo attivo nell’organizzazione della
manifestazione. Premesso che, conoscendo il tuo fervore e la tua umanità non mi
ha sorpreso affatto, ti chiedo di raccontarmi com’è andata, come avete fatto in
pochi giorni a creare il contatto e a coordinarvi tra voi?

Immagine dal Web

È stato tutto molto improvviso, una mattina mi sveglio e trovo l’invito a un gruppo fb SARDINE DI ROMA, nel momento stesso che avevo deciso di contattare i ragazzi di Bologna per chiedere se potessi aprire una pagina o un gruppo per Roma. Quindi  contatto. l’amm del gruppo Sardine di Roma, Stephen Ogongo, che subito mi chiede di collaborare come moderatrice. Accetto anche se lui mio spiega che ancora non era riuscito a mettersi in contatto con Bologna. Allora caparbiamente, comincio ad inviare mail e messaggi fino a quando con Ogongo riusciamo a stabilire il contatto e… PARTENZA, VIA! Nei pimi giorni 100.000 adesioni al guppo, notte e giorno a moderare, accettare, approvare, controllare…senza sosta. Intanto Ogongo aveva inserito altri moderatori e moderatrici: abbiamo fatto la nostra prima riunione la sera stessa in cui Mattia era a Roma ospite di una trasmissione. Ci ha raggiunte (al femminile perchè sardine) e abbiamo fatto conoscenza per la prima volta tra noi e con lui (Mattia) e Joy e Lorenzo. Quindi la foto di rito e poi tanto altro..stravolta e travolta,  stremata ma entusiasta, arriva ill 14 dicembre e la gioia di riempire la piazza come mai avremmo previsto!

Io non
sono riuscita ad avvicinarmi al palco, ma mi sembra di averti vista accanto a
Mattia Santori mentre parlava, dimmi le tue sensazioni nel vedere quel mare
multicolore,  e poi, a proposito del “non palco”, è stata una
scelta simbolica o mancanza di mezzi?

Come te migliaia di persone non sono riuscite ad avvicinarsi, neanche la mia famiglia che mi ha raggiunto poi verso le 18. perciò era una marea umana, pacifica e colorata, che si abbracciava, cantava, ballava…e fino alle 19 le sardine sono restate in piazza, non volevano lasciare quella piazza, non volevano che quel momento finisse mai.

La
scelta è stata perchè i soldini raccolti con il crowfunding sono stati suffi
cienti a coprire spese ridotte,
e abbiamo dato del nostro meglio, potevamo fare meglio, di più
, ma nessuno di noi fa
questo di mestiere, abbiamo dato il massimo e fatto del nostro meglio.

Dei punti – proposta che sono echeggiati in piazza sorvolando i visi sorridenti di giovani, anziani, persone di varie etnie e orientamento sessuale, bambini e sardine nere, quello che sta particolarmente a cuore ad entrambe è la richiesta di abrogare il decreto sicurezza. Tu che militi da anni nel campo dell’accoglienza e che ora sei promotrice di una raccolta firme a favore dell’abrogazione, come hai vissuto il decadente momento in cui Salvini ha decretato che fossero messi in strada migliaia di persone? Dopo il nostro  flash mob davanti al C.A.R.A. di Morlupo, nel tentativo di bloccare quella disumana evacuazione, che altri effetti hai potuto testimoniare e credi che le sardine saranno ascoltate sotto quest’aspetto?

Foto di Loretta Rossi-Stuart

I
DECRETI SICUREZZA ( DA MINNITI AL PRIMO AL BIS)
Precisamente io aiuto a
diffondere  una
raccolta firme
, una petizione, che #ioaccolgo  sta promuovendo.

Dire
decadente è un eufemismo, direi che è una vera e propria tragedia umana. Alla
quale come sai mi sto opponendo ogni qual volta posso urlare il mio dissenso.
Ero in piazza del popolo con la bandiera della pace un anno fa, l’8 dicembre,
quando il COSO faceva il suo orrendo comizio…perch
è volevo con il mio corpo
in piazza il mio dissenso.

Le
persone stanno vivendo una vera tragedia, migranti e non, e con questo decreti
INSICUREZZA si sta togliendo la speranza a chi chiede solo di vivere da essere
umano, ma anche ai no
stri connazionali che operano nel settore, a tutti coloro che avevano
intrapreso un percorso di integrazione che ora è stato bruscamente interrotto e
si ritrovano in strada, e sono preda facile della criminalità e delle mafie,
del caporalato e di ch
i su queste tragedie ci specula, dai politici come il COSO ai mafiosi e criminali che
lucrano sulla pelle degli ultimi.

Un
ultima quanto ovvia domanda, che futuro per questo meraviglioso e prezioso
movimento?


Il futuro è diventare oceano, di bellezza e di pace.

Nella
concretezza tornare a parlare alla testa delle persone, riportare il dialogo su
basi civili, oscurare i temi che scatenano odio, continuare ad occupare le
piazze, uscire dai social e ritrovarci insieme a difendere i nostri diritti.
Fuori dai social, questo è molto importante e questo è quello che faremo.

Grazie Barbara e, come mi hai insegnato tu, Aiwa!

Una intervista surreale di un aspirante mistica al maestro spirituale Osho.

Nel primo numero di Condivisione Democratica avevo annunciato che avrei dato spazio ad interviste di varia natura, senza schemi preordinati.

Bene, sono ora in collegamento eterico col rivoluzionario filosofo, guida spirituale Osho, di cui ho letto molti preziosi insegnamenti.

(foto dal Web)

Colgo l’opportunità creata dal mio attuale stato vibratorio energetico alto e aperto verso il Divino, per sedermi a prendere un tea con lui e chiedergli due cosine.

Guai a chi non mi prende sul serio, non sto scherzando! La sala da tea si trova in un meandro protetto in fondo al mio cuore: eccomi, lo vedo, è adagiato su una morbida poltrona avvolta da luce tenue e calda, mi sorride, mi accoccolo ai suoi piedi, ci siamo!

Rajneesh, ti ho cercato per avere una tua visione riguardo la
necessità di fare del bene, di dare un apporto alla collettività per la
salvezza del mondo intero. Cosa possiamo fare rispetto all’apparente prevalere
della negatività, le condizioni di vita miserevoli, le guerre, le ingiustizie
sociali?

La tua casa è in un caos indescrivibile, il tuo stesso
essere è una confusione inestricabile, come puoi avere una prospettiva che ti
permetta di comprendere problemi più grandi, sconfinati? Ancora non hai neppure
compreso te stesso: infatti ogni altra partenza risulterà falsa!

Si d’accordo, la rivoluzione esteriore è inutile se prima
non facciamo la nostra rivoluzione interiore ma se nel frattempo la casa sta
bruciando insieme a tutta la città, resto a guardare?

Ricorda: tu sei il problema del mondo, sei tu il
problema, a meno che tu non sia risolto, qualsiasi cosa farai potrai solo
rendere le cose ancora più complicate. Persone che sono in un incredibile stato
di confusione mentale iniziano ad aiutare gli altri, propongono soluzioni:
questa gente ha creato al mondo più problemi di quanti ne abbia risolti. Questi
sono i veri faccendieri, gente abile a manipolare e a ingannare: i politici,
gli economisti, i cosiddetti benefattori, i missionari. Questi sono i veri truffatori:
ancora non sono venuti a capo della propria consapevolezza interiore e sono
pronti a balzare addosso a chiunque, per risolvere tutti i problemi altrui. In
realtà, agendo così evitano e sfuggono dalla propria misera realtà.

Però, se dopo aver fatto un proprio percorso introspettivo
si è giunti ad avere la propria casa abbastanza in ordine, come si può restare
indifferenti alla sofferenza altrui? Mi sono dedicata all’autoconsapevolezza da
quando avevo quindici anni e per molti anni mi son detta: se non aggiusto il
mio mondo interiore, quello esteriore non potrà cambiare, e continuo a credere
che sia così! Ma da un po’ di tempo sta premendo in me un disagio, un bisogno
di schierarmi, fare qualcosa di netto a favore del bene, come si può restare
indifferenti, non è da codardi?

In India si narra che un re, molto sciocco, si lamentò
che il terreno accidentato gli feriva i piedi, per cui ordinò che l’intero
regno venisse rivestito con un tappeto di pelle di vacca, così da proteggere i
suoi piedi dalle asperità. A quella notizia il giullare di corte si mise a
ridere, era un saggio, e disse:” L’idea del re è semplicemente ridicola!”. Il
re andò su tutte le furie e disse al giullare:” Mostrami un’alternativa
migliore o verrai giustiziato!”. Il giullare disse: “Maestà, potete tagliare
due solette di vacca e usarle per proteggere i vostri piedi”. E fu così che
furono inventate le scarpe. Non è affatto necessario coprire l’intero pianeta
con tappeti di pelli di vacca, copriti semplicemente i piedi e i tuoi piedi
rivestiranno l’intera Terra. Questo è l’inizio della saggezza.

Ora però siamo in un’epoca in cui si rischia
l’autodistruzione, tu forse mai avresti detto che nel 2019 saremmo sati
sull’orlo del baratro!?

Sono d’accordo, esistono problemi enormi, c’è un’esplosione
di ogni sorta di follia, questo è vero, ma io insisto: il problema sorge
nell’anima individuale, l’inizio deve essere entro di te, questa è la prima
cosa. Quando avrai risolto questo, allora il tuo interesse per i problemi del
mondo sarà focalizzato sulla radice dei problemi, non sui sintomi: la persona
risvegliata sa dove si trova la radice del problema e fa di tutto per operare
su quella radice, per cambiarla…

(Foto di Loretta Rossi-Stuart)

(Intanto voi non mi vedete, ma sto agitando il pugno in aria in segno di vittoria, mentre Osho è distratto dalla tazza di te che sta sorseggiando), hops, mi ha beccato! Continua con tono potente:

La povertà non è la radice, la radice è l’avidità: voi
continuate a lottare contro la povertà, è l’avidità che deve essere sradicata.
La guerra non è il problema, il problema è l’aggressività dei singoli
individui. Potrete fare tutte le marce che volete, questo non fermerà la
guerra!

Qui però, con tutto il rispetto per la verità delle tue
parole, ti voglio informare (dalle tue parti è giunta voce?) che è appena nato
dalle piazze un’unione di intenti meravigliosa di persone chiamate “le
sardine”. Ho deciso di unirmi a loro in nome dell’antirazzismo, antifascismo,
ambientalismo. Questo è il decimo ed ultimo punto della “carta dei valori” di
questa folla oceanica che chiede pace, collaborazione, diritti uguali per tutti
e tante altre cose belle, e lo dedico a te, Osho Rajeensh: punto 10. Se
cambio io, non per questo cambia il mondo, ma qualcosa comincia a cambiare.
Occorrono speranza e coraggio

Leggo un guizzo di entusiasmo negli occhi profondi del
grande saggio, mi inchino alla sua saggezza e torno tra la folla, sardina tra
le sardine, yesss!!!

Un’auto-intervista, questo l’appuntamento per il numero presente di Condivisione Democratica, ma da buona “condividente” decisamente democratica, risponderò solo brevemente ad un paio di domande che abbiamo ricevuto al mio filo diretto, per poi passare ad un’intervista che mi è capitato di fare in un luogo particolare. Le due cose sono in realtà strettamente collegate. Dunque la prima domanda:
Loretta, ho letto della battaglia che stai portando avanti riguardo l’ingiusta detenzione di tuo figlio Giacomo. Poi leggendo altre notizie precedenti apprendo del tuo attivismo contro il razzismo. Tuo figlio è di colore, nessuno hai mai posto l’attenzione su questo fattore, la parola carcere collegata a uomo nero? Scusa se in un momento di tuo grande dolore sono stato così diretto, Marco.

Sappi che mi ero effettivamente posta la questione ma, con mio estremo stupore e soddisfazione, forse ci sono meno italioti di quanto non appaia. No Marco, anche ospite in tv o in varie interviste, nessuno si è soffermato sull’etnia di Giacomo, che sottolineo, è mio figlio biologico, molto molto italiano, addirittura partorito in casa! Per fortuna quindi, non mi son dovuta dedicare a spiegare cose ovvie, come quella che spesso in una famiglia due fratelli sono come il giorno e la notte, di qualunque colore sia la loro pelle, e le strade che possono prendere spesso divergono di molto, come nel caso dell’altro mio figlio che si sta per laureare. Il valore umano del fratello meno “conforme” è paradossalmente a volte, più variegato e riccamente complesso, da cui deriva un percorso di vita più accidentato.

Loretta Rossi Stuart, sei consapevole che senza il tuo cognome non avresti avuto nessuna risonanza rispetto all’ingiustizia che sta subendo tuo figlio? Ti comprendo come madre ma il vostro mondo patinato mi sembra troppo lontano, Stefania.

Stefania cara, ti rispondo con le parole di una signora disperata che dopo avermi visto in una trasmissione, mi ha scritto:
Buona sera, io mi chiamo………, mi ha colpito la sua storia, vorrei u informazione in merito a mio nipote M………, (ha 22 anni) che ha lo stesso problema di bipolarismo, (disturbo di personalità e psicosi) in pratica lui fumava marijuana, che ha scatenato queste crisi, attualmente è ricoverato in psichiatria. Il problema è quando uscirà dall’ospedale, ci vuole una struttura idonea, e mia sorella non lo vuole più in casa, non so cosa fare!!! Si potrebbe lottare insieme per ottenere queste strutture idonee, per curarli, mi faccia sapere, anche solo un consiglio grazie, ha tutta la mia stima”.

Stefania, il poco che sto cercando di fare, ovvero attirare l’attenzione sulla problematica che va dalle droghe, alle comunità, alle strutture psichiatriche e, a volte, arriva a toccare il carcere, si, lo sto facendo a favore di altre persone, non solo per mio figlio. Il mezzo e il come non importa, so solo che ci vuole un grande coraggio e altrettanto desiderio di un mondo migliore. Il 12 novembre a Roma, presso la Fondazione Don Di Liegro, si svolgerà il convegno “Io combatto- dalla comunità alla r.e.m.s. passando per il carcere-Il viaggio di una madre nel buio delle istituzioni”.

Verrà proiettato un breve docu film sull’esperienza di Giacomo, girato da me con mezzi artigianali. Ma è un documento che vuole sensibilizzare le istituzioni su qualcosa che va portato avanti: l’importante riforma che ha portato alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, ma che deve procedere col suo iter, risolvendo il problema della mancanza di strutture e confusione di competenze.

Ma veniamo all’intervista che mi è capitata di fare in attesa di del colloquio con mio figlio avvenuta, dicevo, in un luogo particolare, nel carcere di Rebibbia: precisamente mi trovavo nella sala d’attesa del penitenziario, che ogni giorno ospita centinaia di visitatori, coloro che danno sostegno a chi è dentro. Sono soprattutto donne, di ogni estrazione sociale, dalla gitana alla signora curata e forse snob, che si trova però fianco a fianco con la popolazione più variegata e spesso denigrata. Viene a compiersi l’opera di una sorta di livella là dentro, e siamo tutti uguali, con storie e drammi su cui a volte si riesce a sorridere insieme. Dunque, mi trovo in attesa da ore, come sempre, e noto un ragazzo africano dal viso luminoso: mi sorride furbetto, dopo avermi colta a scattare furtivamente qualche foto col cellulare, alla sala piena di umanità e degrado. Allora vado da lui e gli dico “visto che mi hai beccata questo punto posso farti una foto fatta bene? Sai, devo scrivere un articolo, così poi mi dici come mai sei qui e mi parli un po’ di te…”. Ci sediamo e lo ascolto, non serve che gli faccia alcuna domanda ad Amadou, 26enne del Senegal, bel ragazzo, intelligente ed educatissimo. Inevitabile che si innesti in me un retropensiero, mentre ascolto la sua storia: una sorta di silenzioso confronto con mio figlio, poco più giovane, poco più chiaro di pelle, poco più alto, ma bello come Amadou e pieno di potenziale come lui. Solo che Amadou non ha perso la sua direzione, ha ben chiaro il suo obbiettivo e mi racconta: “Io sono in Italia da 4 anni, dopo essere atterrato su questo suolo ho pensato solo a lavorare. Non mi interessa uscire, andare a ballare, vedere ragazze. Io voglio aprire una mia attività nella mia terra, io appena ho i soldi necessari me ne torno in Senegal. Avevo ingranato bene col lavoro, ho lavorato in negozi importanti come uomo della sicurezza, ho fatto il modello e sono sempre stato affidabile, ma da quando Salvini ha gettato ombre su di noi, così in modo indiscriminato, solo perché abbiamo la pelle scura, le cose sono cambiate, è diventato più difficile trovare lavoro” mi mostra i suoi documenti, mi spiega dove abita, e poi mi sorprende nel descrivere la figura di Salvini e di chi segue la sua visione: “è solo questione di ignoranza, nel senso specifico del termine, lui ignora che l’umanità è sempre emigrata e sempre lo farà, ignora che quasi nessuno di noi vorrebbe fermarsi in Italia, ignora che per esempio a Marsiglia , e faccio un esempio di una città qualunque che non sia preistorica, per strada difficilmente trovi dei francesi, perché lì c’è il mondo intero! Loro, i Salviniani, hanno paura di perdere l’identità ma ignorano che coì restano indietro, risultano essere un popolo arretrato.

Amadou si tira su una manica, si tocca il braccio e continua:” Io del colore di questa, sono orgoglioso e non lo cambierei per nessuna cifra al mondo, e se capita l’ignorante che dopo avermi dato la mano se la pulisce, io ho solo pena per questa persona.” Poi mi parla della droga, di come si dia per scontato che siano i neri a commerciarla. Lui mi spiega.” Si, per la strada, si, la manovalanza, ma hai sentito di africani che la portano da fuori? O che gestiscono tutto? Una stretta minoranza! No, sono gli italiani che li arruolano e li sfruttano. Dicono che in galera è pieno di stranieri, senti ora all’altoparlante quando ci chiamano per entrare al colloquio, su dieci quanti cognomi sono stranieri?” Io rispondo la verità, e ci avevo fatto caso anche io :” Vero Amadou, su dieci nomi forse due, ma anche dentro, nell’area comune di africani ne vedo pochissimi…”Dicendogli poi che io sono un attivista per l’uguaglianza e faccio parte di “Mamme per la pelle”, continuo ad indagare e chiedo:” ma tuo cugino che è dentro, mi hai detto perché vendeva borse per la strada, ha subito che tu sappia atti di razzismi in carcere, perché mio figlio mi dice che non succede”. Amadou mi spiega :”No dentro sono tutti fratelli, tuti uguali, devi rispettare certe regole ma c’è solidarietà”. Lo abbraccio, questo ragazzone che così giovane ha le idee così chiare e che più volte mi ripete: ”Io voglio guadagnare onestamente e tornamene in Africa”. E lì mi viene quasi da piangere perché penso a quanto sia possa essere dura per loro visto che lo è perfino per noi italiani, inseriti, ambientati, con le nostre conoscenze etc, e ugualmente in tanti stiamo a spasso o alla deriva. Penso che tanti di loro nelle condizioni disagiate in cui versano, a maggior ragione dopo il decreto Salvini e la chiusura dei centri di accoglienza, beh, penso che molti di loro hanno una gran forza e dignità, altri non hanno alternative, e altri ovviamene non hanno una rettitudine, così come una fetta della popolazione di qualsiasi etnia. Penso che dovremmo avere comprensione e basta, senza neanche dover risalire alle cause scatenanti ovvero al colonialismo di cui siamo responsabili.
Vado dentro, un ora a chiacchierare con mio figlio, che nell’area comune saluta a destra e a sinistra, c’è chi mi stringe la mano complimentandosi per la mia battaglia e chi fa la ramanzina a mio figlio e, guarda caso è un africano di mezza età con lo sguardo saggio e il fare gentile! Questa la sua raccomandazione a Giacomo che ha l’età dei suoi figli:” Mi raccomando, prima le parole, chiedi con gentilezza, nel caso reputi che stai subendo un’ingiustizia. Se le parole non funzionano passa ai fatti, ma che siano fatti ponderati. Prova con la comunicazione, impara prima a dialogare e vedrai che sarai ascoltato!
Saggezza africana in un giorno di ordinario colloquio a Rebibbia.

Mi presento: sono una persona.

Il termine “persona“deriva dal latino personare ( suonare attraverso) e risale al tempo in cui gli attori comunicavano stati di collera, gioia o tristezza, indossando maschere la cui mimica veniva rafforzata dall’effetto della parola che risuonava dall’interno.
Tutte le persone hanno diritto di esprimersi e comunicare qualsivoglia emozione o pensiero. Gli attori, i cantanti, gli artisti in genere, lo fanno per attitudine o per guadagnarsi la vita o entrambe le cose, o semplicemente perchè non ne possono fare a meno, è il motivo del loro esistere. Per cui succede che abbiano l’incarico di eseguire, diventare strumenti della creazione altrui (l’attore nelle mani di un regista, l’interprete di una canzone scritta da un autore, l’esecutore di una partitura composta da un altro musicista etc.etc.) così come succede che gli artisti siano al contempo creatori ed esecutori. Questi ultimi convogliano la loro creazione, cantano testi propri carichi di significato, improvvisano una danza e creano stili nuovi, danno vita ad una scultura o altro tipo di opera. Anche un attore che sia fedele al testo e che venga diretto in modo poco “flessibile”, si esprimerà sempre in modo in parte personale, darà sempre qualcosa di sé. Per cui, in tutti i casi, si è strumenti di comunicazione, di visioni di vita, idee e messaggi al prossimo (anche se alcuni sono finiti a parlare da soli o al vento).

Trovo assurdo e miope disapprovare che una persona dello spettacolo esprima pubblicamente il suo punto di vista, che si debba auto censurare, su qualsivoglia argomento, politica inclusa. Accolgo quindi con gioia la proposta del direttore che mi offre una finestra a cui potermi affacciare in osservazione e ponderazione dei vari avvenimenti che ci scorrono intorno, condividendoli in qualità di donna di spettacolo, ma soprattutto di “persona.”
Un appuntamento all’insegna del comunicare, denunciare, proporre in analisi, e quindi il “dire” seguito da un “agire”.

Il mio spazio accoglierà interviste, contenuti video e ciò che mi ispirerà il cuore. Per il primo numero di Condivisione Democratica (quanto mi piace questo titolo!) offro un piccolo contributo video nato tra i flutti e sospinto dal mio desiderio di fare qualcosa per il pianeta. Concludo con una breve auto intervista, per iniziare un appuntamento mensile che mi vedrà perlappunto intervistare diverse tipologie di persona, dal politico all’artista, dall’uomo e dalla donna di strada (lo dico, si lo dico e lo confermo, donna di strada… perché dovrei sostituirlo con donna qualunque, quando il concetto per l’uomo calza perfettamente?), al personaggio in vista. E quindi mi sembra ragionevole iniziare con la sottoscritta:
Loretta, vuoi dirci cosa pensi della…
Fermi tutti mi blocco! Direttore, possiamo fare in modo che le domande mi vengano rivolte direttamente dai lettori? Si, questo mi piace, un vero “filo diretto”.

E allora, rimandiamo al prossimo numero la mia intervista, insomma, le mie risposte alla vostra intervista, insomma, ci siamo capiti.
Scrivete a DilloaLoretta@condivisionedemocratica.com