Come spesso mi accade, qualche giorno fa vengo colto da un improvviso senso di evasione, voglia di abbandonare per un paio d’ore le mura che circondano il mio lavoro, i miei progetti, i miei studi. Me ne vado in centro, a gustarmi la mia città, la sua storia, i suoi vicoli, riassaporando l’aria della sua profondità nascosta… Mi fermo a contemplare i fori imperiali, dall’alto della Rupe Tarpea. Si sta facendo sera, si accendono le luci, Roma antica si illumina con le luci che Roma contemporanea le offre… e sembra che da un momento all’altro spuntino fuori due antichi innamorati che passeggiano mano nella mano, uno studioso preso dalle pagine latine di un libro, un mendicante in cerca di un sesterzio… In realtà… qualcuno sotto i miei occhi si muove davvero… è un vecchio gatto randagio. Solo e silenzioso, ma anche un po’ minaccioso, gira zoppicando tra i ruderi del suo territorio, e sembra che sia lì da duemila anni, che sappia tutto di tutti… L’espressione del suo muso è quella di un micio saggio, che dal piccolo della sua altezza ne ha viste tante… tra corteggiamenti amorosi e sfide all’ultimo graffio…. Si sta facendo tardi, devo finire l’editoriale da inviare a Condi-Visioni. I miei passi riprendono la via di casa. Mi avvicino verso la metropolitana, quando all’improvviso un rumore… no… un suono familiare mi sorprende… Mi volto sapendo cosa avrei rivisto… È un vecchio autobus. E i miei pensieri diventano ricordi… il suono che accompagnava i miei primi giorni di scuola, quando con mamma andavo a raggiungere lo 01 dal lungomare di Ostia… A bordo c’è solo l’autista, e il vecchio autobus cammina lento, è stanco, costringe le automobili alle sue spalle a mettersi in coda…. ad andare piano, senza fretta. Sembra che un po’ si diverti ad indispettire le sue giovani colleghe… e un po’ sembra che se ne rammarichi.
In quel momento ho immaginato quante strade abbia percorso, quanto catrame calpestato, a quanti appuntamenti avrà accompagnato… quante ansie, speranze, segreti, paure, pensieri, ricordi, passioni, sogni, dubbi, sguardi, parole, saluti veloci, insulti gratuiti, gesti prepotenti… ha trasportato!
In quel vecchio autobus… quanti frammenti di vita, quanta memoria!
Arriva la metro, mi dirigo verso l’ultimo vagone per evitare l’affollamento e con la speranza di trovare un posticino libero… Che fortuna! Mi siedo… accanto a me c’è una persona. Sembra stanca. Nel suo viso i solchi di mille strade che ha scelto, di mille strade che si è trovato davanti… nelle sue mani rugose il suo lavoro, nei suoi occhi umidi vi sono tutte le cose che ha visto, che ha sentito… gli amori, gli amici, i nemici che ha incontrato…
Mi guarda, sorride, scambiamo due parole, poi si confida, pregandomi di non scambiarlo per un matto: “mi sono innamorato…”, e mi racconta di una bellissima signora che ha incontrato in una biblioteca. È una gioia ascoltarlo, avvertire la tenerezza del suo cuore, quello di un adolescente che per la prima volta incontra l’amore.
Purtroppo arriva il momento della sua fermata. I suoi occhi sembrano commuoversi. Mi regala un ultimo sorriso e mi dice: “grazie”.
Con il cuore gonfio di gioia e malinconia riesco a malapena a rispondergli “Grazie a lei…”. Spero avranno parlato per me molto di più i miei occhi, e che gli avranno espresso la mia felicità di questo bellissimo incontro.
Il mio bagaglio, e quello di molti di noi, è ancora piccolo. Le valigie che ci trasciniamo giorno dopo giorno sono ancora leggere. Ma piano piano si riempiranno, e si colmeranno anche i nostri sguardi, il nostro viso, la nostra pelle, la nostra memoria. Nutriamoci sempre e dovunque di chi fino ad ora ha trasportato vita e valigie pesanti, immergiamoci nei loro occhi, come se stessimo leggendo il libro più bello che sia mai stato scritto. E che “vecchio” non sia mai un’offesa, una vita inutile, un tramonto senza senso. Per nessuno: per una persona, per un gatto, o per un povero vecchio autobus.
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Grazie a tutti gli autori che hanno contribuito alla realizzazione di questo numero dedicato al tema della memoria, scandagliato nel profondo dei suoi molteplici aspetti ed effetti. Grazie a chi continua a credere nei nostri buoni intenti, nel nostro desiderio di ricerca e di bellezza. Grazie a chi ci chiede di andare avanti, ben sapendo tutte le difficoltà del nostro viaggio. Ma, evidentemente, nonostante tutto, è un viaggio che non smette di stupire.
Il Potere (non questo o quel potere, ma la volontà di dominare la realtà e gli altri e piegarli al proprio volere) è, per sua natura, totalizzante. E, in quanto tale, non ammette di essere condizionato e/o limitato in alcun modo, da chicchessia.
Solo poteri “concorrenti”, infatti, potrebbero riuscire a limitarlo e condizionarlo. Ammettere la possibilità di condizionamenti o limiti, significherebbe, da un lato, riconoscere, implicitamente, esistenza e legittimità a tali poteri, dall’altro, negare, di fatto, la natura assoluta del proprio primato. Entrambe evenienze inammissibili per il Potere.
Il Potere non tollera poteri e coscienze
Il Poterevuole potere tutto. Punto. Per questa ragione, non tollera nessun altro potere, quale che sia la forma nella quale esso si incarni: diritto, giustizia, politica, economia… E, non ammettendo nulla di tutto ciò che potrebbe condurre alla formazione di una qualche coscienza critica – l’unico antidoto efficace al suo veleno mortale – non tollera nemmeno libera informazione, istruzione non ideologica, cultura, arte.
Ecco perché, impedire la formazione delle coscienze e annichilire quelle già formate è una mission alla quale il Potere dedica tutte le sue energie migliori. Non a caso, propaganda martellante, controllo totale dell’informazione, censura, indottrinamento giovanile, rieducazione forzata, repressione del dissenso, terrore, riscrittura della Storia, sono strumenti comuni a qualunque forma di totalitarismo.
Siamo utero e incubatrice del Potere
Il Potere, però, non è qualcosa di esterno né di estraneo all’uomo. Non nasce, cioè, al di fuori di noi e non ci costringe, dal di fuori, ad agire contro la nostra volontà. Qualunque cosa sia – istinto, bisogno, energia, volontà o l’insieme di tutte queste cose – è connaturato a noi.
Siamo noi esseri umani l’utero nel quale il germe-Potere nasce; l’incubatrice nella quale cresce e si sviluppa. Senza di noi, quindi, il Potere non esisterebbe.
Potere: figlio che si fa padrone
Il germe-Potere abita le più oscure profondità dell’animo umano e rappresenta, in assoluto, l’elemento più difficile da governare della nostra natura. Un germe maligno – Potere è sinonimo di Male – che è, allo stesso tempo, nostro figlio e nostro padrone. Ed è proprio grazie a questa sua doppia natura che riesce ad avere la meglio su di noi con tanta facilità.
In quanto figlio, infatti, ci illudiamo di conoscerlo, educarlo, controllarlo e servirci di lui. In quanto padrone, invece – un padrone sommamente intelligente, subdolo, seducente e potente – è lui a renderci schiavi e a servirsi di noi.
Solo un uomo ha detto “No!”
A quanto risulta a coscienza e immaginario della Storia, solo un uomo è riuscito a resistere alle tentazioni del Potere. Tentazioni contenute in quelle tre domande nelle quali, secondo il Dostoevskij de “I Fratelli Karamazov”, “è come compendiata e predetta tutta la storia ulteriore dell’umanità, sono dati i tre archetipi in cui si concreteranno tutte le insolubili, contraddizioni storiche dell’umana natura su tutta la terra. […] In quelle tre domande tutto era stato a tal segno divinato e predetto e che tutto si è a tal segno avverato, che non è più possibile aggiungervi o toglierne alcunché”.
Verità o mito senso e valore non cambiano
Solo Cristo, dunque, ha risposto no. Per ben tre volte. E, per farlo, ha dovuto dominare la sua natura umana. Non importa stabilire qui se il fatto di cui parliamo sia vero, storicamente accertato o mito, leggenda, invenzione, fantasia, suggestione o speranza. Senso e valore di quei “no”, infatti, non cambiano. Così come non cambiano senso e valore degli illuminanti esempi morali frutto della fantasia di Omero, Dante, Shakespeare, Leopardi o Dostoevskij, solo per citare i primi nomi che mi vengono in mente.
Potere forza sovrumana
Qual è questo senso? Il fatto che la forza seduttiva del Potere è sovrumana. Letteralmente. Vale a dire: trascende la natura umana, le possibilità e i limiti dell’umano. È a causa della fragilità della natura umana, dunque, che quel germe-Potere che noi stessi generiamo, da nostro figlio diventa nostro padrone e ci rende schiavi. Per vincere questa forza sovrumana, quindi, abbiamo un’unica possibilità: superare la natura umana. Andare, cioè, oltre l’uomo.
Dire “No!” si può
Non si tratta di diventare super-uomini ma di riuscire a superare i limiti della nostra natura. Cristo (la mia è una riflessione meramente logica e non teologica: non ne ho le competenze) non è un super-uomo. È un uomo come tutti gli altri. E, in quanto tale, patisce fame, sete, freddo, fatica, sofferenza, solitudine, umiliazioni, tradimenti, dolore e paura della morte. Superando, però, i limiti della natura umana, riesce a rifiutare l’offerta di Satana che, mostrandogli in un istante tutti i regni della Terra, gli dice «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». (Luca, 4,6).
Storia o mito che sia, il triplice rifiuto dell’uomo-Cristo dimostra che, sebbene la forza seduttiva del Potere sia sovrumana, superare la fragilità della natura umana e rifiutare i doni del Male si può. Una dimostrazione tutt’altro che priva di significato.
Potere e gloria sono nelle mani del Male
Semmai, sarebbe interessante capire chi, perché e per quanto tempo ha messo nelle mani di Satana potere e gloria di tutti i regni del mondo ma, l’ho detto: non ho la preparazione teologica per affrontare un tema di questa portata né per provare ad abbozzare una risposta.
Una cosa, però, è del tutto evidente: Potere e gloria sono nella disponibilità del Male, il quale li dà a chi vuole. E, dato che un uomo autenticamente “buono” non accetterebbe doni dal Male, ne consegue che chi accetta tali doni “buono” non è. Ognuno faccia le proprie riflessioni e tragga le proprie conclusioni.
Siamo ossigeno per il fuoco del Potere
L’ho detto: il germe-Potere nasce nel nostro animo e, senza di noi, il Potere non esisterebbe. Il che significa che gli esseri umani sono ossigeno per il fuoco del Potere il quale, come ogni fuoco, in assenza di ossigeno, si spegnerebbe. La ragione per la quale, da sempre, il Potere “arde” ovunque (bruciando tutto e tutti) è che brama/illusione di potenza, da un lato, opportunismo, servilismo e paura, dall’altro, fanno sì che alle fiamme del Potere non manchi mai l’ossigeno. Non stupiamoci, dunque, se, a cento anni dalla nascita di alcuni tra i totalitarismi più devastanti che il mondo abbia conosciuto, sono così tanti i “piromani” che fanno di tutto per riportare indietro l’orologio della Storia.
Cerchiamo i colpevoli?
Se ci chiediamo di chi sia la colpa del fatto che l’Occidente ha tutta questa fretta di tornare a quel “secolo breve” nel quale, ben 13 regimi hanno privato l’Europa da Est a Ovest di libertà, pace, diritti umani e giustizia per un totale di ben 413 anni e 11 mesi:
(Portogallo: 44 anni 7 mesi; Polonia: 42 anni 4 mesi; Cecoslovacchia: 41 anni 8 mesi; Germania Est: 41 anni 1 mese; Albania: 39 anni 2 mesi; Spagna: 39 anni 1 mese; Bulgaria: 35 anni 7 mesi; Jugoslavia: 34 anni 4 mesi; Ungheria: 31 anni 5 mesi; Romania: 24 anni 8 mesi; Italia: 20 anni 7 mesi; Germania: 12 anni 3 mesi; Grecia: 7 anni 2 mesi)
non dobbiamo cercare lontano: dobbiamo soltanto trovare il coraggio e la decenza di guardarci allo specchio. Lui sa ciò che noi fingiamo di non sapere: siamo noi i più incendiari del reame.
C’è un detto che suona più o meno così: “Il tempo cura tutte le ferite“. Ma cosa succede quando, invece di guarire, continuiamo a graffiare il ricordo di quelle ferite? È un paradosso universale: quanto più cerchiamo di dimenticare qualcosa, tanto più questa cosa sembra fissarsi nella nostra mente. Un loop mentale che può essere tanto doloroso quanto frustrante. Non penso certamente alle cose tant dolorose da esser rimosse dalla memoria dal nostro Io, ma alle esperienze negative che abbiamo vissuto. Il risveglio il giorno dell’esame di maturità.
La memoria umana, tanto straordinaria quanto misteriosa, non è solo un archivio passivo di eventi passati. È un sistema attivo, capace di rielaborare e reinterpretare le informazioni, talvolta aggiungendo un tocco drammatico ai ricordi. Freud definiva questo fenomeno come “compulsione alla ripetizione“, un meccanismo inconscio che ci spinge a rivivere eventi traumatici per cercare, paradossalmente, di risolverli o integrarli. Ma spesso questo si traduce in una continua riapertura di vecchie ferite.
Il nostro cervello sembra cablato per prestare maggiore attenzione alle esperienze negative. Una spiegazione scientifica viene dalla teoria del “negativity bias“: la tendenza innata a dare maggiore peso ai ricordi spiacevoli rispetto a quelli positivi. Questo bias ha radici evolutive: ricordare il pericolo e il dolore era essenziale per la sopravvivenza dei nostri antenati. Dimenticare un pericolo poteva significare la morte; ricordarlo, invece, aumentava le probabilità di sopravvivenza.
Quando viviamo un evento doloroso, il cervello rilascia sostanze chimiche che intensificano la memoria, rendendola più vivida e difficile da dimenticare.
“Ogni situazione è neutra: non sono gli eventi a turbare gli uomini, ma il modo in cui li interpretano“, diceva il filosofo Epitteto. Questo significa che non è tanto il ricordo in sé a perseguitarci, quanto il significato che gli attribuiamo. Un insulto, ad esempio, può essere archiviato come un episodio insignificante o trasformarsi in un’ossessione, a seconda del valore emotivo che gli diamo.
“Non pensare a un elefante rosa”. La frase ti ha fatto immaginare proprio un elefante rosa, vero? Questo fenomeno, noto come “effetto del rimbalzo” o “ironia mentale”, è stato studiato dallo psicologo Daniel Wegner. Cercare di sopprimere un pensiero, infatti, spesso lo rende più persistente. Lo stesso accade con i ricordi: più cerchiamo di dimenticare un evento doloroso, più questo si radica nella nostra mente.
Allora, come possiamo liberarci dal peso dei ricordi spiacevoli? Una strategia è accettare il ricordo invece di combatterlo. Secondo le teorie della mindfulness, osservare il pensiero senza giudizio può aiutare a ridurne l’intensità emotiva. Inoltre, parlare con qualcuno di fiducia o scrivere i propri pensieri può rivelarsi catartico. Non si tratta di cancellare il passato, ma di riconoscerlo per ciò che è: una parte della nostra storia, non la nostra intera identità.
In definitiva, i ricordi dolorosi possono insegnarci lezioni preziose, ma solo se siamo disposti a guardarli con occhi nuovi. Come scriveva Oscar Wilde: “L’esperienza è il nome che diamo ai nostri errori”. Forse, accettando questa prospettiva, possiamo trasformare i nostri ricordi più pesanti in strumenti di crescita e consapevolezza.
Quest’anno si è celebrato l’80° Anniversario della Liberazione del campo di concentramento di Auschwitz–Birkenau, il più grande campo di sterminio, istituito dal Terzo Reich di Hitler per eseguire l’eliminazione degli ebrei attraverso la “soluzione finale”, il più grande e terribile Olocausto di tutti i tempi, attuato nel Novecento dalla folle ideologia nazi-fascista. Il Giorno della Memoria, che ricorre il 27 gennaio di ogni anno, designato a livello internazionale dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 2005 per ricordare la Shoah (in Italia è stato istituito con la legge 211 del 20 luglio 2000), ha assunto quest’anno un significato particolare, alla luce delle varie guerre in atto. Come ha ricordato Papa Francesco “siamo in presenza di una terza guerra mondiale a pezzi”.
Monumento all’Olocausto a Berlino. Foto genomen 30/10/2005 door Pim Zeekoers.
Senza voler operare confronti o paragoni impropri, vogliamo solo accennare ad alcune delle atrocità passate e presenti, attuate nei confronti di popolazioni inermi e di minoranze civile, etniche e religiose. Per restare nel Novecento, oltre al genocidio degli ebrei che resta sicuramente l’Olocausto più terribile a perenne memoria, va ricordato quello degli armeni, dei tutsie, dei cambogiani da parte dei Khmer rossi ma anche lo sterminio dei popoli nomadi (Rom e Sinti), le stragi politiche nell’URSS di Stalin, le pulizie etniche in Serbia e lo sterminio dei curdi, un popolo senza diritti e senza patria, tuttora perseguitato. Va ricordato che in Italia è stato istituito anche il Giorno del Ricordo, celebrato il 10 febbraio di ogni anno per commemorare i massacri delle foibe e l’esodo giuliano dalmata.
Questa rassegna degli orrori non è certamente esaustiva se pensiamo alle tante minoranze oppresse, più o meno consistenti o più o meno conosciute ma, tuttora perseguitate nelle varie parti del mondo. L’attualità ci richiama ai conflitti Russo-Ucraino e Israelo-palestinese, tra i più gravi dopo la II guerra mondiale, per le implicazioni geo-politiche ed economiche con conseguenze drammatiche per la sicurezza, la pace e l’ordine mondiale, anche perché si stanno innestando in nuovi scenari di governo con derive “etnocratiche” in tutta la sfera occidentale, causando gravi divisioni e spaccature politiche nella stessa Europa. In particolare, quello Israelo-palestinese, che si inquadra nel più ampio conflitto arabo-israeliano che dura con alterne vicende anch’esso da circa 80 anni (anche se in termini “tecnici” non militari si potrebbe andare ancora più indietro nel tempo), con limitazioni allo sviluppo dei territori palestinesi e alla loro libertà di movimento ma con responsabilità ed errori da registrare da entrambe le parti. Quest’ultima guerra, scatenatasi dopo il massacro al festival musicale Supernova da parte di Hamas, perpetrato il 7 ottobre 2023, con l’uccisione di centinaia di civili e soldati e il rapimento di oltre 200 ostaggi, ha visto la reazione di Israele con la strage di migliaia di civili palestinesi e praticamente la completa distruzione di Gaza. Va detto che la questione palestinese è improcrastinabile e va assolutamente ricercata la soluzione dei due popoli in due stati e che Israele, che ha tutto il diritto di esistere, deve anche rispettare il diritto internazionale e che non può rispondere ad atti terroristici bombardando un’intera popolazione inerme e impedendone gli aiuti da parte della comunità internazionale. Non a caso, la Corte penale internazionale dell’Aja ha emesso due decisioni che riguardano presunti crimini commessi dal Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e dall’ex Ministro della Difesa Yoav Gallant, tra l’8 ottobre 2023 e il 20 maggio 2024, durante il conflitto a Gaza, con responsabilità imputabili alle persone, occorre ben evidenziare, e non alla popolazione ebraica, mantenendo alta l’attenzione contro l’anti-semitismo sempre in agguato.
Porta di Lampedusa , Porta d’Europa – CC BY 2.0
Anche per il conflitto Russo-Ucraino urge una soluzione diplomatica che si sarebbe dovuta ricercare fin dall’inizio, senza arrivare a cifre che rasentano il milione di vittime tra tutte le parti in causa, con soluzioni che si prospettano adesso nella stessa misura in cui si erano poste ai primordi. C’è un’altra atrocità epocale che riguarda un fenomeno strutturale e non emergenziale, come spesso viene trattato, ossia quella dell’immigrazione, che miete anch’essa decine di migliaia di vittime, trasformando i nostri mari in un’immane tomba, nel silenzio inconsapevole o, peggio, nell’indifferenza. Dal 2026, il 3 ottobre è diventato la Giornata della Memoria e dell’Accoglienza, per ricordare il naufragio di Lampedusa avvenuto lo stesso giorno del 2013 in cui persero la vita 368 persone. Persone, tra cui molte donne e bambini, che cercavano di raggiungere il nostro continente nel disperato tentativo di trovare rifugio e sicurezza.
C’è una data che mi sta particolarmente a cuore, è quella prossima del 9 Febbraio, l’anniversario della nascita delle Repubblica Romana del 1849, episodio fulgido del nostro Risorgimento che finì tragicamente per mano dei francesi (con Luigi Napoleone Bonaparte presidente dell’allora Repubblica Francese), accorsi in aiuto del Papa Re. L’esperienza della Repubblica Romana, ispirata da Giuseppe Mazzini, finì tragicamente ma lasciò in eredità quella Costituzione che divenne la base di quella della nostra Repubblica Italiana. Quei sessantanove articoli sono incisi sul muro della Costituzione della Repubblica Romana al Gianicolo, luogo dove si svolsero i tragici fatti. Nel nostro Paese la memoria dovrebbe nutrirsi più anche del nostro Risorgimento.
Foto Comitato Gianicolo
In memoria della memoria, occorre allora recuperare un senso comune della tragicità della Storia e cercare un senso vero a queste giornate, che riporti tutta la comunità internazionale, compresi i governi fino alle singole persone, alle proprie responsabilità con coerenza e al di là di retoriche commemorazioni.
Proprio in questi giorni di prossime elezioni in Germania, c’è chi dichiara con disinvoltura che occorre guardare con “leggerezza” alla Storia, praticamente un richiamo alla smemoratezza. Riporta al concetto nietzschiano di storia critica di chi vorrebbe guardare alla storia non come un intralcio ma alla creazione del “nuovo” e di nuove verità. Questo però a patto che non ci siano negazionismi e che restino fermi i principi di dignità della persona, dei popoli e del rispetto del diritto internazionale. La Storia non può essere distorta a fini politici.
Bansky , Angel Skull – CC BY-NC 4.0
La memoria del passato ci dovrebbe far guardare con consapevolezza e sensibilità al presente, mettendoci in guardia da un eterno ritorno di atrocità che sembrano essere così lontane e sbiadite nel tempo, ma che si possono ripresentare in altri modi e forme ma simili nella sostanza.
L’Etnocrazia e l’Ipnocrazia, con il loro combinato disposto, sembrano essere le evoluzioni delle democrazie occidentali che hanno garantito per questi 80 anni, pur con i loro chiaroscuri, pace e diritti. La memoria deve lasciare la feticizzazione della testimonianza e le privatizzazioni della Storia, evitando vuote celebrazioni retoriche e sonnambulismi, nel rispetto di tutte le memorie e delle loro condi-visioni.
Dominio delle stronzate, crepuscolo della democrazia, agonia della libertà
Se, come diceva Gesù, «la verità vi farà liberi», allora la scomparsa della verità ci renderà tutti schiavi. E, dato che stiamo precipitando nell’abisso di una società senza verità, ogni istante che passa, siamo sempre meno liberi.
La cosa peggiore, però, non è che non ce ne rendiamo conto. È che – anche quando ce ne rendiamo conto – non ce ne preoccupiamo.
In parte, perché ci illudiamo che non sia così. Pensiamo si tratti dell’ennesimo catastrofismo ingiustificato, messo in giro dai soliti “profeti di sventure”. Gufi disposti a tutto pur di farci vivere nella paura e – come cantava De Gregori – «convincerti a restare chiuso dentro casa quando viene la sera».
In parte – ed è questo l’aspetto più inquietante – perché crediamo che la cosa non sia poi così importante. Questa o quella cosa non sono vere? E chissenefrega! Come se la Storia non avesse abbondantemente dimostrato che le società senza verità finiscono col destabilizzare e stravolgere le vite delle persone, fino al punto di soffocarle, negarle e, infine, cancellarle.
NIENTE LIBERTÀ, NIENTE VITA
Non c’è vita senza libertà. Eppure ignoranza, stupidità, servilismo, opportunismo, pusillanimità e paura ci convincono che non è così. Morale: andiamo avanti come se niente fosse, tra inconsapevolezza, rassegnazione e fatalismo, fidando nel fatto che, all’ultimo istante, qualcosa o qualcuno ci salverà dall’abisso.
Non succederà. Nessuno verrà a salvarci. Anche perché nessuno – a parte noi – tiene alla nostra libertà. Gli altri non vedono l’ora di togliercela. Se, poi, siamo noi stessi i primi a rinunciarci, tanto meglio per loro: risparmieranno tempo, denaro e fatica.
DIRITTO AL VOTO: REGALO INESTIMABILE, BUTTATO VIA
Un’intera generazione (né alieni né estranei: i nostri nonni e i nostri genitori) ha combattuto e sacrificato la vita per regalare a tutti noi la libertà di votare e scegliere la “casa” che vogliamo, chi la deve costruire e aiutarci a “mandarla avanti”. Un dono dal valore inestimabile del quale, a quanto pare, non sappiamo più cosa farcene. Ce ne siamo stancati, e l’abbiamo buttato via, tra i giocattoli che non divertono più, come fanno i bambini con i regali del Natale precedente.
Dal 1948 a oggi, infatti, l’affluenza alle urne è precipitata. Siamo passati dal 92,23% delle prime elezioni al 49,69% delle Europee dello scorso anno. 42,54 punti percentuali in meno. Un crollo che ha determinato il crollo verticale del “coefficiente di democraticità” della nostra democrazia.
DEMOCRAZIA DIMEZZATA
Un coefficiente che, per la democrazia, è come i carati per l’oro. Più sono, più l’oro è puro e più vale; meno sono, meno l’oro è puro e meno vale. Come ho già scritto, infatti, la democrazia non è come il silenzio, che c’è o non c’è. Somiglia, piuttosto, all’oro: il suo valore, cioè, dipende dal suo grado di “purezza”. Ed è del tutto evidente che una democrazia rappresentativa nella quale vota meno del 50% dell’elettorato è tutt’altro che pura.
Di fatto, quindi, viviamo in una democrazia dimezzata. Il che equivale a trovarsi al volante di un’auto che perde due ruote per strada: praticamente impossibile non schiantarsi.
DEMOCRACY INDEX 2023
Secondo l’ultima edizione del Democracy Index dell’Economist Intelligence Unit (un’istantanea dello stato della democrazia in 165 Stati indipendenti e due territori – quasi l’intera popolazione mondiale e la stragrande maggioranza degli Stati – basata su: processo elettorale e pluralismo, funzionamento del governo, partecipazione politica, cultura politica e libertà civili) sebbene circa la metà della popolazione mondiale (45,4%) viva in una qualche forma di democrazia, solo il 7,8% risiede in “piene/complete democrazie” e ben più di un terzo (39,4%) vive sotto regimi autoritari.
ITALIA DA “SERIE B”
Il nostro Paese, purtroppo, non brilla. E come potrebbe, visto l’andazzo degli ultimi decenni. L’Italia, infatti, non trova posto nella “serie A” del Democracy Index, che ospita i 24 Paesi che lo studio definisce “democrazie piene/complete”. Tra queste, in ordine di graduatoria, troviamo Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca, Irlanda, Svizzera, Paesi Bassi, Lussemburgo, Germania, Canada, Australia, Giappone, Austria, Regno Unito, Grecia, Francia e Spagna.
Il nostro Paese risulta al decimo posto della classifica della “serie B” – le “democrazie imperfette” – preceduta da Cile, Repubblica Ceca, Estonia, Malta, Stati Uniti d’America, Israele, Portogallo, Slovenia e Botswana.
Dietro di noi, infine, Paesi come Belgio (36), India e Polonia (41), Sud Africa (47), Ungheria (50), Brasile (51), Argentina (54), Colombia (55), Croazia (58), Romania (60), Bulgaria (62), Serbia (64), Albania (66), Tunisia (82), Ucraina (91), Turchia (102), Emirati Arabi (125), Egitto (127), Iraq (128), Russia (144), Cina (148), Iran (153), Libia (157), Siria (163), Corea del Nord (165).
Come abbiamo visto, nel nostro Paese, la rappresentatività è fortemente compromessa. E, dato che essa è il cuore della democrazia (aveva ragione Gaber: libertà è partecipazione), fortemente compromesso è anche il cuore della nostra democrazia. Un cuore sempre più prossimo all’infarto.
Alle ultime Europee – solo per citare la tornata elettorale più recente – ha votato meno del 50% dei 47 milioni di aventi diritto: 23.372.323 elettori, contro i 23.663.947 che hanno scelto di non andare a votare.
GOVERNANO LE MINORANZE
Dati infinitamente più preoccupanti di quanto non appaia. Per due ragioni. La prima è che, per la prima volta nella storia repubblicana, è una minoranza – e non una maggioranza – a vincere le elezioni. E, di conseguenza, a formare un Parlamento ed esprimere/orientare un governo.
Alle Europee 2024, FDI – il partito che, in Italia, ha ottenuto più consensi – ha raccolto, infatti, 6.713.952 voti: il 28,81% del totale. Meno di un terzo dei votanti. Minoranza che diventa ancora più minoranza, se si rapportano quei 6,7 milioni di voti ai 47 milioni degli aventi diritto al voto. Risultato? Il 14,27% del totale: un settimo dell’elettorato.
Il che significa che meno di 1,5 elettori su 10 hanno votato per FDI. E, dato che è oggettivamente impossibile definire “maggioranza” 1,5 elettori su 10, dichiarare che “gli italiani hanno scelto FDI” è una colossale mistificazione. Mistificazione che, però, funziona alla grande, dal momento che quasi nessuno, ormai, si prende la briga di raccogliere, verificare e analizzare numeri e percentuali, e di ragionare sulla loro reale o presunta rilevanza.
IL DIRITTO DI VOTO HA I GIORNI CONTATI?
La seconda ragione è ancora più preoccupante della prima. Proverò a sintetizzarla in una semplice domanda: se gli italiani continueranno a disertare le urne e saranno sempre meno quelli che decideranno di esercitare il loro diritto di voto, secondo voi, quanto tempo passerà prima che qualcuno si affacci a un nuovo balcone, arringando la folla al grido: “Visto che non andate a votare, vuol dire che ritenete il voto un inutile fastidio. Non vi preoccupate: da domani, ve ne libereremo!”?
LA LIBERTÀ NON CI INTERESSA…
La verità è che a noi umani la libertà non interessa. Neghiamo che sia così ma lo facciamo sapendo di mentire. Perché? Perché la libertà implica il fardello della responsabilità e non c’è nulla che pesi di più agli esseri umani del fatto di assumersi la responsabilità di decidere del proprio presente/futuro. Molto meglio lasciarlo fare a qualcun altro. Se le cose andranno bene, potremo dire di aver visto giusto. Se le cose andranno male, potremo dire che non è stato per colpa nostra.
Lo scrivo spesso, non perché mi manchino gli argomenti ma perché trovo stupido provare a esprimere con parole migliori questa illuminante verità: aveva ragione il Grande Inquisitore: «nulla mai è stato per l’uomo e per la società umana più intollerabile della libertà!». Ecco perché «non c’è per l’uomo pensiero più angoscioso che quello di trovare al più presto a chi rimettere il dono della libertà».
… PER QUESTO, NON VOGLIAMO LA VERITÀ
In sintesi: la libertà costa e noi non vogliamo pagare. Ora: se noi non vogliamo essere liberi e la verità ci rende liberi, è evidente che noi non vogliamo la verità.
Ecco perché le stronzate (un istante per crearle, un’eternità per smontarle, sempre ammesso che ci si riesca) hanno così tanto successo. Pensare e scegliere richiedono tempo e fatica. Bisogna informarsi (presso fonti autorevoli e affidabili), approfondire, capire, riflettere, formarsi un’opinione, confrontarsi con gli altri, disposti a sostenere le proprie idee ma, soprattutto, ad accettare il fatto che possano essere sbagliate e, nel caso, essere pronti a modificarle.
Chi ce lo fa fare? È infinitamente più facile, conveniente e gratificante vivere di folli convinzioni fai-da-te, alimentate dalla saggezza-spazzatura che, ormai, domina, incontrastata, ovunque: case, uffici, bar, mezzi pubblici, amicizie, social media, giornali, radio, televisioni. Saggezza-spazzatura che continua a fiorire e a mietere milioni e milioni di proseliti, anche perché, nella Babele di fake news e false narrazioni quasi impossibili da smascherare e smontare, è praticamente impossibile capire cosa sia vero e cosa no.
CONCLUSIONI
Permettetemi, quindi, di concludere parafrasando il versetto del Vangelo di Giovanni, ricordato in apertura: «La verità vi renderà liberi. Se solo riuscirete a trovarla, riconoscerla, comprenderla, accettarla e seguirla».
Io lo scrivo quì, ma penso che abbiamo tutti in mente un pensiero negativo ogni qualvolta sentiamo dire o leggiamo dei progressi degli impianti di chip all’interno del cervello umano. “Studi scientifici”, “Progressi Tecnologici”, “Grandi Possibilità” si affrettano ad aggiungere gli esperti interpellati dai giornalisti, eppure dentro di noi si fa largo il ribrezzo al pensiero che un essere umano possa desiderare di farsi impiantare un elemento estraneo nel proprio corpo, per di più nel cervello. Abbiamo tutti in mente la scena di Terminator quando da sotto la pelle di Arnold Swarzenegger emerge il metallo e i circuiti elettrici e abbiamo lo stesso senso di repulsione. Tutti, compresi quei ragazzi che per ragioni anagrafiche il film certamente non l’hanno visto al cinema o forse nemmeno in TV.
Siamo spaventati di un oggetto che, comandato da qualcun altro oppure in ragione della propria programmazione algoritmica, possa prendere il sopravvento sulla nostra volontà.
Scrivendo gli altri articoli per questo numero (“Stop con i beatles stop..?” e “L’annullamento della Memoria come strumento di controllo“) mi sono reso conto che l’Antropocene – ossia l’idea che l’impatto che l’uomo ha sull’ambiente possa configurarsi come una nuova “era geologica” – ha implicazioni anche sulla nostra stessa struttura mentale e non dal 1945 – da quando si fa risalire l’inizio dell’Antropocene appunto. Da quando l’uomo è diventato un essere “civile”, e quindi da tanto tanto tempo fa, ha cercato di modificare l’ambiente circostante per adattarlo in qualche modo alle proprie esigenze. Ha “addomesticato” razze animali e ha “selezionato” razze vegetali, per i propri bisogni primari e anche per il proprio diletto: il selvaggio Uro è diventata la mansueta mucca, il famelico lupo è diventato il delicato Chihuahua, la Rosa canina la profumosa e delicata Tea. Ha costruito habitat artificiali che si sono distaccati moltissimo dai prati verdi e dalle foreste, senza pensare al Bosco Verticale, possiamo immaginare alle palafitte costruite negli stagni o agli arredi nelle caverne vicino alle coste (e ne abbiamo di esempi anche sulle coste laziali ad Circeo, senza dover andare troppo lontano da Roma ad esempio).
Ma molto prima di poter pensare alle estensioni della mente con i chip e prima di pensare all’Intelligenza Artificiale o anche prima di pensare agli automi (e mi viene in mente il servitore di Filone di Bisanzio costruito più di 200 anni prima della nascita di Cristo), prima di tutto questo l’uomo aveva capito che era possibile estendere la propria mente con la scrittura. Lasciando un segno, un disegno in uno dei suoi rifugi poteva ricordare con esattezza come cacciare gli animali. Aveva esteso il concetto del “quì e adesso” nel quale sostanzialmente era relegato per la propria natura umana, portando la sua mente a ricordare cose che il trascorrere del tempo avrebbe lasciato andare nel “panta-rei” fisiologico. Ha creato, per se stesso, un nuovo modo di vivere il tempo e lo spazio. Questo – per gli storici – ha determinato il passaggio dalla Preistoria alla Storia, ma a pensarci è stato il primo passaggio dell’uomo all’antropizzazione della propria natura animale.
Pochi giorni prima dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, l’ex Presidente americano Joe Biden ha lanciato un accorato allarme. “Oggi, in America – ha detto – sta prendendo forma un’oligarchia di estrema ricchezza, potere e influenza, che minaccia realmente l’intera nostra democrazia, i nostri diritti fondamentali e la nostra libertà”. Biden ha, quindi, puntato il dito contro un “complesso tecno-industriale” ultra-ricco che potrebbe esercitare un potere incontrollato sugli americani.
Ma no? Davvero? E se n’è accorto solo quattro giorni prima dell’insediamento di Trump? Un genio, non c’è che dire. E dove diavolo è stato in tutti questi anni?
E gli altri sedicenti progressisti, al di là e al di qua dell’Oceano? Dove diavolo erano in questi quarant’anni nei quali il mondo non si è più diviso – ideologicamente – tra “buoni” (Americani & Co.) e “cattivi” (Russi & Co.) ma – turbocapitalisticamente – tra iper-ricchi (pochissimi) e iper-poveri (miliardi)?
Dove sono stati, in tutti questi anni, i cantori di libertà, giustizia, pace, diritti umani e civili, solidarietà, equità, salute, istruzione, dignità di lavoro e salario, pari opportunità, inclusione, stato sociale, e bla-bla-bla fratelli?
Dormivano tutti? Erano tutti stupidi o troppo impegnati a godersi sprizzini, shottini, salatini, salottini, librettini, teatrini, cinemini, concertini ed eventini, che non se ne sono accorti, poverini?
O, forse, se n’erano accorti ma non sono riusciti a evitare il peggio? Cos’è: incapaci e ignavi, hanno lasciato fare oppure, collusi e complici, volevano che il mondo arrivasse esattamente dov’è arrivato e che le destre tornassero a dominare, indisturbate, praticamente ovunque?
Non risponderò a queste domande.
Che ognuno faccia le proprie riflessioni
e tragga le proprie conclusioni.
Una cosa, però, è certa: in politica, o sei parte della soluzione o sei parte del problema. E, dato che di soluzioni non se ne vede nemmeno l’ombra, mentre “il problema” trionfa quasi dappertutto, suggerirei che tutti coloro i quali – a qualunque titolo e con qualunque grado di responsabilità – non sono riusciti a impedire o, peggio, hanno favorito questa devastante deriva antidemocratica, togliessero il disturbo, una volta per tutte.
Se non altro, i veri democratici – ammesso che ne esista ancora qualcuno – si renderebbero, finalmente, conto del fatto che “non esistono liberatori ma uomini che si liberano”. E potrebbero decidere, una volta tanto con la propria testa, cosa farne di sé stessi e della propria vita.
Uno degli elementi fondanti di ogni regime totalitario è il controllo della memoria collettiva. La storia non è solo una cronaca di eventi passati, ma una struttura narrativa che definisce l’identità di un popolo, le sue radici, i suoi valori. Per questa ragione, uno dei primi atti del nazismo fu la distruzione sistematica dei libri di scuola e dei testi di storia, sostituendoli con una nuova visione della realtà, costruita ad arte per giustificare la loro ideologia e il loro dominio.
Nel 1933, appena salito al potere, il regime nazista organizzò il Bücherverbrennung, il rogo dei libri considerati “non tedeschi”, un atto simbolico che mirava a cancellare idee scomode e sostituirle con una narrazione alternativa. Tra le opere distrutte vi erano testi di scienza, filosofia, letteratura e soprattutto storia, poiché il passato doveva essere riscritto in funzione della visione nazionalsocialista. Questo processo non era solo censura, ma un vero e proprio tentativo di manipolazione della memoria collettiva.
Il Potere della Riscrittura della Storia
La storia è lo strumento con cui una società tramanda i suoi valori e le sue esperienze. I regimi totalitari non possono permettere che esistano narrazioni concorrenti rispetto alla loro ideologia. Questo concetto è brillantemente rappresentato in “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury, dove i libri vengono bruciati non solo per impedire alle persone di leggere, ma soprattutto per eliminare il pensiero critico e sostituirlo con un conformismo imposto dall’alto. “Non volevano uomini che pensassero, ma uomini che obbedissero”, scrive Bradbury, una frase che potrebbe benissimo descrivere l’atteggiamento del nazismo nei confronti dell’istruzione e della cultura.
L’ideologia nazista non poteva accettare una storia che mostrasse le sue contraddizioni o che mettesse in discussione la superiorità della razza ariana. Per questo motivo, non solo i libri furono distrutti, ma anche la storiografia venne riscritta per enfatizzare un passato glorioso e creare nemici immaginari. I programmi scolastici vennero modificati per inculcare nei giovani i principi dell’antisemitismo, del nazionalismo esasperato e della guerra come destino inevitabile.
Casi Storici e Citazioni
Questo fenomeno non è esclusivo del nazismo. Altri regimi totalitari hanno adottato strategie simili per controllare il passato e quindi il futuro:
Unione Sovietica: Stalin fece riscrivere la storia rimuovendo figure politiche scomode, cancellandole persino dalle fotografie ufficiali.
Cina di Mao: Durante la Rivoluzione Culturale, vennero distrutti testi classici e riformati i libri scolastici per eliminare ogni riferimento al passato pre-comunista.
Cambogia di Pol Pot: Il regime dei Khmer Rossi eliminò testi scolastici e chiuse le scuole per annullare qualsiasi forma di sapere precedente alla rivoluzione.
George Orwell in “1984” descrive magistralmente questa dinamica con il concetto di “controllo della memoria” attraverso lo slogan “Chi controlla il passato controlla il futuro; chi controlla il presente controlla il passato”. Questa frase sintetizza perfettamente la necessità dei regimi totalitari di riscrivere la storia per legittimarsi.
Conclusione
La distruzione dei libri di storia e dei testi scolastici da parte del nazismo non fu un atto di semplice censura, ma una strategia per plasmare una nuova realtà e un nuovo popolo. La conoscenza del passato è uno strumento di libertà: chi la possiede, può capire e giudicare; chi ne è privato, è destinato a credere e obbedire. Ecco perché ogni regime totalitario ha bisogno di creare una nuova memoria: per cancellare le radici di un popolo e sostituirle con una storia costruita a proprio vantaggio.
Gianni Morandi, quasi 60 anni fa – eh sì – cantava della fine della giovinezza, della fine della spensieratezza e dell’arrivo della cruda e brutta realtà. Erano gli anni della guerra in Vietnam – che sarebbe durata ancora un decennio – e gli anni del twist ballato sulle spiagge, gli anni degli hippies e l’anno dopo si sarebbe tenuto il mitico concerto di Woodstock. Qualche giorno fa parlando con il mio amico Fabrizio ci è tornato alle labbra questo ritornello per dire che forse anche la nostra “giovinezza” è finita e sarebbe il caso di chiudere con i ricordi nei quali siamo immersi. Dire, anche noi, uno Stop ai Beatles e ai Rolling Stones. Così in questo dialogo abbiamo iniziato a fare quella che poi, a ripensarci successivamente, a mente fredda, si può definire essere una analisi sociologica e psicologica di quello che stiamo vivendo “noi”. Un “noi” che può essere calato nel senso di noi due, che ci apprestiamo a raggiungere il mezzo secolo, che “noi” intesi come generazione a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80. E questa riflessione vede proprio il concetto della memoria. Una memoria sempre “viva e presente”. E’ già da qualche anno che si sono creati diversi gruppi sui social network che hanno come titolo “noi che…” declinato per un certo decennio, un certo tipo di esperienza comune. E così io, Fabrizio e tutta la nostra generazione, siamo quelli che hanno visto i robottoni che combattevano per difendere il giappone e il mondo intero dagli invasori, e ci siamo agitati cantando le loro sigle, siamo quelli che hanno visto Heidi e Conan e ci siamo commossi con quei cartoni animati al pensiero del triste destino della ragazzina svizzera o per quello che poteva essere l’ultimo bambino sulla terra, siamo quelli che si sono sfiniti di lacrime per Alfredino, siamo quelli che hanno cantato le canzoni degli “Wham!” tra una “Last Christmas” e una “Wake Me Up Before You Go-Go”, siamo quelli che hanno visto il muro che circondava la Berlino “Occidentale” da quella orientale, siamo quelli che ancora a volte pensano usando le lire e che hanno in mente la bicicletta con il sellino lungo e il cambio. Siamo quelli lì. Sicuramente. E siamo ancora capaci di intonare quelle canzoni lì appena ne sentiamo un frammento. Ma forse è questo uno dei problemi della memoria, o meglio il problema di una memoria lasciata sempre viva, come fosse sempre presente. Possiamo, con la tecnologia a nostra disposizione, con gli algoritmi che seguono le nostre propensioni e i nostri “gusti”, possiamo rimanere in una bolla spazio-temporale che nella realtà non esiste più. Il mondo è decisamente andato avanti da quegli anni ’70 e anni ’80 della nostra infanzia e anche da quegli anni ’90 che furono quelli della nostra giovinezza e poi quelli che hanno seguito. Possiamo costantemente rivivere l’onda di speranza di Piazza Tien a Men o il terrore degli aerei che si schiantano nelle Torri gemelle o ascoltare e riascoltare, ad esempio mentre guidiamo, le bionde trecce e “ancora tu, ma non dovevamo vederci più” o le tre parole “sole, cuore, amore”. Possiamo vivere, se vogliamo, un mondo che in realtà non esiste più. Possiamo prolungare, se vogliamo, la nostra giovinezza continuando a cantare “i Beatles e i Rolling Stones” senza che nulla possa perturbare la nostra confortevole ripetizione degli stessi gesti, senza nessun cantante Trap (no, nonostante questo articolo, non riesco nemmeno a considerarli cantanti…) che possa scuoterci proponendo nuove strofe, nuove rime. Come vivessimo in un mondo congelato, statico. Ecco pensando alla memoria, vorrei lanciare una riflessione: se il gusto nostalgico della memoria così facile per le tecnologie che abbiamo attorno a noi, non ci stiano privando in qualche modo di quel piccolo “stress” che però in ultima analisi è il vivere il “Quì e Adesso”. Pensiamoci.
Fabrizio: copio e incollo il testo della Canzone di Gianni Morandi, semmai ti venisse voglia di canticchiarla così, anche senza base musicale.
C’era un ragazzo Che come me Amava i Beatles e i Rolling Stones Girava il mondo Veniva da gli Stati Uniti d’America … Non era bello Ma accanto a sé Aveva mille donne se Cantava Help e Ticket to Ride O Lady Jane, o Yesterday … Cantava viva la libertà Ma ricevette una lettera La sua chitarra mi regalò Fu richiamato in America … Stop, coi Rolling Stones Stop, Coi Beatles stop … M’han detto va nel Vietnam E spara ai Viet Cong … C’era un ragazzo Che come me Amava i Beatles e i Rolling Stones Girava il mondo ma poi finì A far la guerra nel Vietnam … Capelli lunghi non porta giù Non suona la chitarra ma Uno strumento che sempre dà La stessa nota Ra ta ta ta … Non ha più amici Non ha più fans Vede la gente cadere giù Nel suo paese non tornerà Adesso è morto nel Vietnam … Stop, coi Rolling Stones Stop, coi Beatles stop … Nel petto un cuore più non ha Ma due medaglie o tre
(Autori Migliacci, Lusini – Editore UNIVERSAL MUSIC PUBLISHING RICORDI S.R.L)
Memento (2000) – Christopher Nolan Un uomo con un disturbo della memoria a breve termine cerca di scoprire chi ha ucciso sua moglie, usando tatuaggi e note per ricordare gli indizi. Un puzzle narrativo sulla fragilità della memoria.
Eternal Sunshine of the Spotless Mind (2004) – Michel Gondry Una coppia decide di cancellare i ricordi della loro relazione tramite una procedura medica, ma l’inconscio lotta per trattenere ciò che è importante. Un viaggio emotivo sulla memoria e l’amore. Scrivo il titolo in versione originale perché quella italiana l’aveva trasformato in una commedia di serie B e mi aveva impedito di guardarlo e solo le lunghe insistenze di un amico me lo aveva fatto vedere. E mi sono ricreduto, tanto di metterlo in questa lista, e tra le prime posizioni.
Inception (2010) – Christopher Nolan Oltre a esplorare il sogno e la realtà, il film ruota attorno ai ricordi e a come essi possono essere manipolati o impiantati nella mente umana.
The Manchurian Candidate (1962 / 2004) – John Frankenheimer / Jonathan Demme Un thriller politico in cui un soldato è sottoposto a lavaggio del cervello per diventare un’arma inconsapevole. Un film inquietante sul controllo della memoria. Nomino ambedue i film perché sono uno il clone dell’altro, ma a parte la sceneggiatura, a voi la scelta di quale regia, quale interpretazione scegliere.
The Father (2020) – Florian Zeller Un viaggio nella mente di un uomo affetto da demenza, visto dal suo stesso punto di vista. Il film trasmette in modo potente la confusione della perdita di memoria.
Mulholland Drive (2001) – David Lynch Un film onirico e surreale che mescola amnesia, ricordi distorti e sogni per creare un’esperienza destabilizzante e affascinante.
Total Recall (1990) – Paul Verhoeven Basato su un racconto di Philip K. Dick, esplora l’idea di ricordi impiantati e la difficoltà di distinguere la realtà dalla finzione. Effetti speciali davvero datati, visti con l’occhio di oggi, ma un action movie molto destabilizzante, interpretato da un Arnold Schwarzenegger in forma, molto prima di diventare il Governatore della California.
Shutter Island (2010) – Martin Scorsese Un agente federale indaga sulla scomparsa di un paziente da un ospedale psichiatrico, mentre lotta con i suoi stessi ricordi e traumi.
50 volte il primo bacio (2004) – Peter Segal Una commedia romantica con un sottotesto malinconico: una donna perde la memoria ogni giorno e il protagonista cerca di farla innamorare di lui ogni volta. Per tante e tante volte, cercando di seguire i suoi sogni che, rivivendo sempre lo stesso giorno, avrebbe potuto non realizzare mai.
The Bourne Identity (2002) – Doug Liman Un uomo senza memoria cerca di scoprire chi è, mentre viene braccato da forze misteriose. Una riflessione sull’identità e sul passato dimenticato.
Aggiungo un ultimo film sulla memoria. Un film del grandissimo Alfred Hitchcock: Spellbound. Anche qui la versione italiana (“Io ti salverò”) devia il senso del film che fa diventare una psichiatra giovane e determinata una “crocerossina”. Si tratta di un Thriller ambientato in una casa di cura negli anni ’40 nella quale viene accolto un nuovo medico che nasconde un segreto tanto tanto profondo, nascosto nei meandri della sua memoria. Per questo film, Hitchcock ha voluto niente meno che Salvador Dalì per rappresentare il sogno. A tal proposito mi piace ricordare il mio amico Ernesto Laura che su questo tema scrisse un gran bel libro.
Negli ultimi anni, l’influencer marketing ha guadagnato una posizione di rilievo nel panorama pubblicitario italiano, contribuendo significativamente al fatturato del mercato. Secondo recenti stime, il settore ha raggiunto un valore di circa 323 milioni di euro nel 2023, con un incremento del 10% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, questa crescita esponenziale ha sollevato preoccupazioni riguardo alla tutela dei consumatori e alle questioni fiscali legate a questa nuova forma di comunicazione commerciale.
Guadagni degli influencer nelle diverse piattaforme
I compensi degli influencer variano notevolmente a seconda della piattaforma utilizzata. Secondo gli ultimi dati di DeRev su Facebook, il valore medio dei contenuti sta calando; attualmente sono necessari 50.000 follower per guadagnare 50 euro con un singolo post. Inoltre, coloro che hanno oltre 3 milioni di follower vedono dimezzarsi i loro guadagni: da un massimo di 5.000 euro a post nel 2023 a un massimo di 2.500 euro nel 2024. Su Instagram, i nano influencer hanno registrato un incremento del compenso massimo di 50 euro a post. Anche i mid-tier (con 50.000-300.000 follower) stanno beneficiando significativamente con guadagni che variano tra 1.000 e 5.000 euro a contenuto. I macro-influencer (da 300.000 a 1 milione di follower) hanno visto aumentare sia il compenso minimo (da 4.000 a 5.000 euro) sia quello massimo (da 8.000 a 9.000 euro). Tuttavia, i mega influencer (1-3 milioni di follower) e le celebrity hanno subito cali nei ricavi rispettivamente del 16% e del 31,6%. Su TikTok, i ricavi dei nano-influencer rimangono stabili mentre aumentano leggermente quelli dei micro e mid-tier influencer; i primi raggiungono compensi tra 250 e 750 euro a contenuto mentre i secondi tra 750 e 3.000 euro. Si registra invece una diminuzione nei proventi per i macro-influencer (da 3.000-7.000 euro a video a 3.000-5.000 euro) e i mega influencer (da 7.000-18.000 euro a contenuto a 5.000-10.000 euro). Le celebrity subiscono la diminuzione più significativa nei ricavi: dai 18.000-75.000 euro per una partnership su singolo video nel 2023 ai soli 10.000-20.000 euro nel 2024. Infine, su YouTube gli influencer con più di un milione di follower continuano a richiedere compensi che variano da 25.000 a 75.000 euro; tuttavia si registra un calo nei compensi per mega influencer (da un massimo di 35.000 euro nel 2023 a 25.000 euro nel 2024) e macro-influencer (da 20.000 euro a 12.500 euro).
Normative europee
A livello europeo, diverse normative si applicano all’influencer marketing. La Direttiva AVMS (Direttiva 2010/13/UE), aggiornata nel 2018, stabilisce requisiti di trasparenza ed equità nelle comunicazioni commerciali, oltre a proteggere i minori e i gruppi vulnerabili dai contenuti potenzialmente dannosi. Questa direttiva impone anche norme specifiche per la condivisione di video sulle piattaforme e promuove l’alfabetizzazione mediatica, obbligando le piattaforme a fornire gli strumenti necessari. In aggiunta, il Regolamento sui Servizi Digitali (Regolamento 2022/2065/UE) fissa obblighi armonizzati per i fornitori di piattaforme online riguardo ai contenuti illegali e nocivi, inclusa la disinformazione e i contenuti dannosi per i minori. Il Regolamento sull’Intelligenza Artificiale (AI Act)stabilisce norme a protezione della salute, della sicurezza e dei diritti fondamentali, imponendo agli influencer che utilizzano sistemi di IA di informare il pubblico e etichettare chiaramente i deep fake. Anche il Regolamento sulla Trasparenza della Pubblicità Politica (Regolamento 2024/900/UE) si applica agli influencer, obbligandoli a corredare i loro annunci pubblicitari di etichette e informazioni chiare. Infine, il Regolamento sulla Libertà dei Media (Regolamento 2024/1083/UE) può regolare i casi in cui gli influencer sono anche fornitori di servizi di media, salvaguardando un ambiente mediatico indipendente e pluralistico. Il GDPR (Regolamento UE n. 2016/679) impone agli influencer la protezione delle persone fisiche riguardo al trattamento dei dati personali. Soprattutto le normative europee sui diritti dei consumatori, come la Direttiva sulle Pratiche Commerciali Sleali (Direttiva 2005/29/CE) e la Direttiva sui Diritti dei Consumatori (Direttiva 2011/83/UE), recepite nel nostro Codice del Consumo, sono applicabili alle attività commerciali degli influencer quando promuovono prodotti o servizi online e quindi soggetti alla vigilanza dell’Autorità Garante della concorrenza e del Mercato quanto alle eventuali pratiche commerciali scorrette.
Il fenomeno Fuffaguru e le problematiche connesse alla trasparenzaper i consumatori
La normativa attuale oggetto di revisione non considera adeguatamente l’impatto qualitativo dei contenuti pubblicati, il che potrebbe portare a situazioni in cui influencer con un grande seguito ma contenuti poco etici o ingannevoli possano operare senza adeguate restrizioni. Un aspetto rilevante del panorama dell’influencer marketing è rappresentato purtroppo dai cosiddetti “fuffaguru”. Questo termine, recentemente entrato nel linguaggio comune, si riferisce a individui che sfruttano tecniche da imbonitore per organizzare e gestire corsi, video e seminari online con l’obiettivo di guadagnare profitti in modo truffaldino. I fuffaguru promettono metodi facili per fare soldi, spesso senza alcuna competenza reale o titoli riconosciuti. La loro attività si basa sulla creazione di un’apparenza di valore, attirando particolarmente coloro che cercano soluzioni rapide a problemi economici o desiderano migliorare la propria vita. Questo fenomeno ha suscitato dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che sta monitorando attentamente le pratiche commerciali scorrette anche attraverso una azione di moral suasion e l’implementazione di linee guida sull’advertising (inserimento di apposite avvertenze #PUBBLICITA’ BRAND, #SPONSORIZZATO DA BRAND, #ADVERTISING BRAND, INSERZIONE A PAGAMENTO BRAND, o, nel caso di fornitura del bene ancorché a titolo gratuito, #PRODOTTO FORNITO DA BRAND). In questo contesto, è fondamentale osservare come in altri Paesi si siano affrontate problematiche simili anche al fine di tutelare meglio i consumatori.
In Francia, l’Autorité de Régulation Professionnelle de la Publicité (ARPP) ha implementato regole che richiedono agli influencer di rispettare standard elevati in termini di trasparenza e responsabilità sociale attraverso il sistema del Certificato di Influenza Responsabile. Queste norme sono state introdotte per proteggere i consumatori e garantire che le comunicazioni commerciali siano chiare e oneste.
Le regole dell’AGCOM
L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) ha introdotto le Linee-Guida con la Delibera n. 7/24/CONS e proposto un Codice di Condotta attualmente oggetto di Consultazione pubblica che mirano a riformare e regolamentare l’attività degli influencer in Italia. Queste regole si pongono come obiettivo principale quello di garantire il rispetto delle disposizioni del Testo Unico dei servizi di media audiovisivi (TUSMA) e stabiliscono criteri per la classificazione degli influencer come “rilevanti”, basandosi su soglie quantitative come il numero di follower e il tasso di engagement. Gli influencer possono esercitare una notevole influenza sulle decisioni d’acquisto dei consumatori, specialmente tra i giovani. È quindi essenziale che le normative stabiliscano chiari obblighi di trasparenza per evitare pratiche ingannevoli. E’ necessario rafforzare ulteriormente queste disposizioni per garantire che i diritti dei consumatori siano sempre tutelati.
Il Codice di Condotta
Allegato alla Delibera di consultazione n. 472/24/CONS il Codice rappresenta un passo cruciale per garantire trasparenza, protezione dei consumatori e rispetto delle regole pubblicitarie nel contesto digitale. Il testo sancisce principi fondamentali come la correttezza, l’imparzialità e la lealtà dell’informazione. Gli influencer devono evitare contenuti che promuovano odio, violenza o discriminazione e rispettare le normative sulle comunicazioni commerciali, vietando la pubblicità occulta e limitando la promozione di prodotti come tabacco, alcol e gioco d’azzardo.
Ambito di applicazione
Le norme si applicano agli influencer definiti “rilevanti” dalle Linee Guida AGCOM. La proposta dell’AGCOM è di considerare solo gli influencer che raggiungono un numero di iscritti (i cosiddetti follower) pari ad almeno 500.000 su almeno una delle piattaforme di social media o condivisione di video utilizzate, o un numero di visualizzazioni medie mensili pari a un milione su almeno una delle piattaforme di social media o di condivisione video utilizzate Anche gli influencer virtuali, creati tramite intelligenza artificiale, rientrano nell’ambito di applicazione se rilevanti. Il rispetto del Codice, come concordate con i soggetti firmatari, è solo “raccomandato” anche ai soggetti che non hanno i requisiti previsti dalle Linee guida per essere rilevanti.
Tutela dei minori e delle categorie vulnerabili
Una parte significativa del Codice si concentra sulla protezione dei minori e delle categorie vulnerabili. Gli influencer non possono pubblicare contenuti che possano arrecare danni fisici, mentali o morali ai minori. Inoltre, devono evitare di sfruttare l’inesperienza o la credulità degli utenti, prevenendo contenuti ingannevoli o manipolativi.
Pubblicità e trasparenza
Il Codice impone la chiara identificazione dei contenuti sponsorizzati. Gli influencer devono adottare apposite segnaletiche per distinguere pubblicità, sponsorizzazioni e inserimenti di prodotti. Inoltre, è vietata ogni forma di enfasi indebita sui prodotti promossi.
Gestione e monitoraggio
Un aspetto innovativo del Codice è l’istituzione di un elenco pubblico degli influencer rilevanti, aggiornato semestralmente. Questo elenco, gestito da un soggetto incaricato dall’AGCOM, garantirà maggiore trasparenza e controllo sulle attività degli influencer. L’Autorità, supportata dalla Guardia di Finanza e dalla Polizia Postale, vigilerà sull’applicazione delle norme, conducendo ispezioni e accertamenti per verificare la conformità alle disposizioni.
Segnalazioni e sanzioni
I consumatori possono segnalare contenuti che violano il Codice attraverso un modulo disponibile sul sito dell’AGCOM. In caso di violazioni, sono previste sanzioni pecuniarie proporzionate alla gravità dell’infrazione e alle condizioni economiche dell’influencer.
Campagne di sensibilizzazione
Entro un anno dall’adozione del Codice, l’AGCOM promuoverà campagne informative rivolte sia agli influencer che ai consumatori, per aumentare la consapevolezza sui diritti e doveri legati al mondo digitale. Con questo Codice di Condotta, l’AGCOM punta a creare un ecosistema digitale più sicuro ed equo, garantendo trasparenza e protezione per tutti gli utenti. Gli influencer, d’altra parte, sono chiamati a rispettare regole precise per contribuire a una comunicazione commerciale responsabile e conforme alle normative vigenti.