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Titti Improta, giornalista
professionista dal 2009, è segretario regionale dell’Ordine dei giornalisti
della Campania
e presiede la Commissione Pari Opportunità

Lavora per la televisione napoletana
Canale 21, per la quale conduce la striscia sportiva quotidiana Supersport21,
il programma dedicato alla Champions League, Champions21 ed il programma
sportivo della domenica “Campania Sport”.

Si è occupata di cronaca, politica ed attualità per i programmi “L’aria che tira” e “L’aria d’estate” in onda su La7. È stata protagonista del format televisivo in onda su Rete 4, “Donnavventura”.

Immagine fornita dall’ospite

Gentile Titti, il nostro
giornale dedica molta attenzione all’universo femminile, approfondendo, in
particolare, tutte quelle forme di violenza e discriminazione di cui le donne
sono troppo spesso vittime, per contribuire a mantenere alta l’attenzione e
favorire ogni forma di contrasto. Nella tua qualità di Segretario e Presidente
Pari Opportunità del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Campania, su
cosa si stanno concentrando i tuoi impegni in tal senso?

Grazie per questa domanda. Porre
l’attenzione su queste tematiche mi sta molto a cuore. Con altre 14 colleghe
componiamo la Commissione Pari Opportunità che si occupa di tematiche relative
alla discriminazione di genere. Il nostro fiore all’occhiello si chiama PAROLE
IN ORDINE un piccolo decalogo che portiamo all’interno delle scuole per
sensibilizzare gli studenti al corretto utilizzo delle parole attraverso i
social. Troppo spesso si utilizzano parole improprie od offensive molto più
facilmente sui social perché ci si sente “protetti” da una tastiera. Guardare
negli occhi una persona e ripetere parole offensive presuppone che si abbia
molto coraggio e convinzione del pensiero che si sta esprimendo. Meno hate
speech e più confronto consapevole è ciò che cerchiamo di diffondere. Attraverso
i corsi di formazione, inoltre, poniamo l’attenzione anche su argomenti quali
la violenza contro le donne, l’omofobia, la transfobia, i minori vittime della
violenza, i disabili e le fasce deboli della società.

Nel marzo dello scorso anno
sei stata, tuo malgrado, protagonista di un episodio molto spiacevole di cui si
è parlato tantissimo. L’ex tecnico del Napoli, Maurizio Sarri, in una
conferenza stampa, si rivolse a te con espressioni, per usare un eufemismo,
poco eleganti. Si parlò di “sessismo”. Ci hanno colpito, in particolare, le tue
dichiarazioni seguenti, in cui esprimesti il maggior dispiacere per le
“risatine” della sala. Cosa è successo da quel momento? Hai avvertito una presa
di consapevolezza da parte dei tuoi colleghi?

In quel momento e lo ripeto
ancora oggi, ho detto che Sarri non era sessista ma la sua frase lo era.
Considero la sala stampa un luogo “inviolabile”. Giornalisti ed addetti ai
lavori, a mio parere, hanno l’obbligo di comportarsi ed utilizzare parole
consapevoli del fatto che tanta gente guarda, ascolta e legge, prendendo ad
esempio, parole ed atteggiamenti. Non si può dare un cattivo esempio e non si
possono utilizzare parole inappropriate o volgari soprattutto sul luogo di
lavoro. Purtroppo ho dovuto constatare che nonostante il clamore mediatico di
quella vicenda, ancora oggi battute ed insinuazioni di carattere
sessista sussistono.

Più in generale, cosa avverti
nel nostro Paese? Che sensazione hai rispetto alla posizione della donna nella
società italiana? Sono sufficienti le norme contro la discriminazione di genere
o ci sono ancora lacune nel nostro ordinamento?

C’ è ancora tanto lavoro da fare. Il codice rosso è un passo in avanti, ma deve focalizzarsi costantemente l’attenzione verso la discriminazione di genere. Penso al gap salariale ad esempio, tema sul quale bisogna intervenire. L’Italia in questo senso mostra ancora le sue debolezze. Si fanno ancora tante chiacchiere ma di fatto la donna resta ancora ai margini in determinati ambienti.

Immagine fornita dall’ospite

Non possiamo non rivolgerti
una domanda sulla tua città, Napoli, particolarmente amata dal direttore e
dalla redazione di Condivisione Democratica. In realtà, ti chiediamo un tuo
racconto, una tua personale visione e descrizione di questa meravigliosa terra

Ho viaggiato tanto nella mia vita
e subisco il fascino dell’avventura. Amo stare all’aria aperta e nello stesso
tempo ho una curiosità smodata verso luoghi lontani, culture, lingue, usi
differenti. Napoli è nel mio cuore. Più viaggio e più mi rendo conto della
bellezza accattivante della città. Può essere selvaggia, rumorosa e nello
stesso tempo appagante. Se hai la fortuna di isolarti in mezzo al mare puoi
godere l’anima contrastante della città eternamente divisa tra caos e bellezza.
Secondo me la cosa più bella di Napoli è che ogni luogo è ricco di storia,
mistero e natura. Amo isolarmi a mare lontano da tutto ma adoro anche in
particolari momenti gettarmi tra i vicoli del centro storico e lasciarmi
catturare dalla maestosità delle antiche Chiese.

In questo numero dedichiamo
uno speciale al valore della Democrazia. Il nostro desiderio è quello di
alimentare il dibattito e l’approfondimento nei confronti di una concezione che
sembra essere messa in discussione. Ci puoi esprimere il tuo pensiero? 

La democrazia alimenta il
confronto, apre le menti e determina iniziative legislative che senza il
movimento delle coscienze difficilmente arriverebbero a concretizzarsi.
Personalmente ritengo di essere molto liberale nel pensiero ma determinata
nell’azione. Mi spiego meglio: se una persona sbaglia, va punita. Solo in
questo modo, atteggiamenti illegali o illegittimi potranno essere limitati. Non
bisogna chiudere un occhio nel prendere le decisioni, altrimenti eventi o
atteggiamenti sbagliati prenderanno il sopravvento. In Italia politicamente la
cosa che detesto è che si parla tanto e si concretizza poco.

In questi giorni viviamo una recrudescenza delle tensioni internazionali e in molti parlano della Guerra come di una soluzione. Libia, Iran e Medio-oriente, come un grandissimo “Risiko” dove spostare pedine. Ma la guerra è altro, il significato della guerra è altro. Pubblichiamo un ricordo scritto da Giulio Moscardi.

La storia di Giulio, fratello di Luigi, mio nonno paterno, è una storia inaspettata, tragica, commovente, per certi tratti attuale.

E’ la storia di un ragazzo di Adria nella Grande Guerra,
falegname nella vita, mandato al fronte a 19 anni e morto a 25 per causa di
questa.

Mi è stato raccontato poco di
lui: che aveva fatto la guerra, che era un ardito e che era morto giovane. Come
se parlarne non fosse conveniente.

Immagine dall’Autore

La
Storia di Giulio: la medaglia di bronzo

Giulio, richiamato nel
settembre del 1916, viene trasferito in zona di guerra all’inizio del
1917, prima sulle prealpi Trevigiane e poi sull’altipiano di Asiago. Promosso caporale combatte, durante
l’11°Battaglia dell’Isonzo, sul monte Vodice a nord di Gorizia, dove la sua
brigata riporta perdite ingenti.

E qui viene decorato con la medaglia di bronzo perché, il 19 agosto 1917, come “portaordini del comandante di reggimento, e
più specificatamente in una azione offensiva, disimpegna con grande sprezzo del
pericolo tutti i difficili e rischiosi incarichi ricevuti, essendo di
incitamento ed esempio ai suoi compagni
”.

La notizia della decorazione giunge ad Adria, riportata
nell’elenco dei decorati presente nel Corriere del Polesine. Giulio vive poi la
disfatta di Caporetto riuscendo a ripiegare oltre il Piave con il suo reparto
mentre suo fratello, mio nonno Luigi, verrà fatto prigioniero.

Giulio,
un ragazzo di Adria nella Grande Guerra: gli Arditi, la sentenza e la ferita

All’inizio del 1918 entra negli Arditi. Ma non vi
rimane per molto.

Succede un fatto. Mentre si trova nelle retrovie,
in provincia di Treviso, assieme ai commilitoni, una sera di maggio, si rifiuta “di eseguire l’ordine impartito di rientrare in camerata e di desistere
dal chiasso e dagli schiamazzi
..

Una “ragazzata” la definiremmo oggi: ma non all’epoca.

Giulio è condannato per ammutinamento a tre anni
di reclusione, degradato a soldato semplice, cacciato dagli Arditi e rinchiuso
in carcere.

Ma c’è bisogno di soldati: la pena potrà
scontarla successivamente; se sopravvive.

Viene spedito sul Grappa dove si combatte
ferocemente.

E’ un mattatoio. E sul Monte Pertica, il
29 ottobre del 1918, Giulio, degradato, condannato e consapevole di ciò che gli
aspetterà, seppur ferito da una fucilata che gli sconquassa il polso
destro
compie un’azione che gli varrà la
medaglia d’argento al valor militare
. Va a medicarsi solo ad azione
conclusa.

Immagine fornita dall’Autore

La
Storia di Giulio: le cure e la motivazione della medaglia d’argento

Le cure sono lunghe e penose. A Modena nel 1919, nel
centro fisioterapico dove comunque sconta la condanna, l’esasperazione la fa da
padrona: per essersi rifiutato di entrare in prigione viene accusato di rifiuto di obbedienza.

Ad Adria, nella
sua Adria
, fa ritorno solamente a maggio del 1920 debilitato e menomato nel braccio. Ha 23 anni; vive da solo in via
Orticelli dove continua a fare “forse
alla meglio il mestiere di falegname”
, come scrive il medico che lo visita.

Nell’estate riceve finalmente la motivazione della medaglia d’argento per l’azione
sul Grappa: “rimasto ferito durante un’attacco
di una forte posizione nemica, seguitava a combattere. Scorta, per primo,
l’esistenza di una caverna, si dirigeva risoluto all’imbocco di questa,
riuscendo, con lotta di bombe a mano, a trarre i pochi prigionieri. Si recava a
farsi medicare soltanto ad azione ultimata”.

Arriva la motivazione non però la medaglia.

La
Storia di Giulio: la morte e la consegna della medaglia d’argento

Giulio, viste le proprie condizioni, inoltra domanda
per ottenere la pensione ”per aver
contratto ferite e malattie”
 durante
il servizio.

E’ un iter lungo. Viene disposta la visita medica
ma Giulio non fa a tempo: muore nella casa dei genitori in “Stradòn”, il
17.1.1923. Ha 25 anni.

Un anno dopo arriva la condanna per i fatti di
Modena ma la pena è “condizionalmente
condonata.

Le cause del decesso sogno ignote. Il papà Carlo a
lungo scrive all’INAIL, al Comune di Adria, al Distretto Militare.

A gennaio del 1927, 4 anni dopo la morte, giunge
il responso: Giulio è deceduto per tubercolosi contratta
durante il servizio.

La medaglia
d’argento al valor militare
viene finalmente consegnata al mio bisnonno Carlo
nell’agosto del 1927 dopo mesi  di penose
e reiterate domande.

Di questa medaglia, non ricevuta in vita da
Giulio e che io ora conservo, non si è mai avuta notizia ad Adria.

Immagine fornita dall’Utente

La Storia di Giulio: il fare memoria

Il mio desiderio, con questo racconto, è di far
conoscere per intero la tragica storia di Giulio,
un ragazzo di Adria nella Grande Guerra.

Gratificante per me è stato il pensiero inviatomi
da Paolo Malaguti che ho avuto la fortuna di avere come lettore: “..l’azione del “fare
memoria”, in qualsiasi modo e con tutti gli strumenti, è da preservare e
potenziare da parte di ognuno di noi!….”

Ogni riga dei fogli matricolari, delle sentenze,
dei certificati medici, asettica nella descrizione dei fatti, mi ha posto di
fronte a scenari più ampi. Mi ha riportato a storie lette nei libri di Lussu, Salsa, Malaguti, tanto per
citare qualche autore, letture essenziali per comprendere fino in fondo quale
potesse essere il contesto e anche lo stato d’animo di Giulio.

Giulio, il papà Carlo e il fratello Luigi. Immagine fornita dall’Autore

La Storia di Giulio: le emozioni

Ricostruire quanto narrato ha suscitato in me emozioni
forti, intense. Spesso mi chiedo come abbia potuto Giulio resistere in scenari
così atroci: ai combattimenti, alla condanna, alle ferite, all’umiliazione. Come abbia
potuto sopportare condizioni estreme e psicologicamente devastanti ad un’età in cui oggi si è considerati dei “bambini” riuscendo, nonostante tutto, a
compiere azioni che gli sono valse due medaglie, cosa non comune per un soldato
non graduato in vita.

Concludo con un pensiero che descrive perfettamente la mia esperienza: “tu che porti il mio nome e parte del mio sangue ti scorre nelle vene ascolta il mio grido di verità. Che la tua bocca sia la mia bocca e renda onore alla mia memoria. Per anni ho sussurrato la mia preghiera e tu l’hai accolta e la porterai a compimento. E allora cesserà finalmente il rombo del cannone e l’unico assalto sarà il tuo pensiero che giungerà premuroso a me ”.

La Storia di Giulio Moscardi è stata raccontata anche in un libro che mettiamo qui, in formato ptt, a disposizione dei nostri lettori.

E’ possibile scaricare la storia di Giulio Moscardi in PDF seguendo il link.

Barbara, Barbara e basta, senza cognome, perché lei non ama farsi pubblicità: una ragazza dalla chioma riccioluta, una leonessa dell’attivismo, conosciuta ad una manifestazione di solidarietà ai profughi. Lei spiccava, con il suo mantello da super eroina (la bandiera della pace a mò di scialle), il sorriso e l’energia da spargere tra noi sorelle e fratelli africani, italiani, indiani, insomma, della razza umana.

Foto di Loretta Rossi-Stuart

La incontrai di nuovo presso l’ex presidio Baobab, dove regolarmente offriva assistenza ed in particolare, portava tè caldo
alle persone all’addiaccio: da quel momento per me lei divenne la portatrice di
tè e calore umano. Ma ecco che ora noto il suo guizzo e il suo vortice di
energia positiva in questo tsunami chiamato movimento delle sardine, contatto
ristabilito!

Barbara, ti ho lasciata al
Baobab e ti ho ritrovata a Piazza San Giovanni, ma non in veste di comune
sardina come me, bensì con un ruolo attivo nell’organizzazione della
manifestazione. Premesso che, conoscendo il tuo fervore e la tua umanità non mi
ha sorpreso affatto, ti chiedo di raccontarmi com’è andata, come avete fatto in
pochi giorni a creare il contatto e a coordinarvi tra voi?

Immagine dal Web

È stato tutto molto improvviso, una mattina mi sveglio e trovo l’invito a un gruppo fb SARDINE DI ROMA, nel momento stesso che avevo deciso di contattare i ragazzi di Bologna per chiedere se potessi aprire una pagina o un gruppo per Roma. Quindi  contatto. l’amm del gruppo Sardine di Roma, Stephen Ogongo, che subito mi chiede di collaborare come moderatrice. Accetto anche se lui mio spiega che ancora non era riuscito a mettersi in contatto con Bologna. Allora caparbiamente, comincio ad inviare mail e messaggi fino a quando con Ogongo riusciamo a stabilire il contatto e… PARTENZA, VIA! Nei pimi giorni 100.000 adesioni al guppo, notte e giorno a moderare, accettare, approvare, controllare…senza sosta. Intanto Ogongo aveva inserito altri moderatori e moderatrici: abbiamo fatto la nostra prima riunione la sera stessa in cui Mattia era a Roma ospite di una trasmissione. Ci ha raggiunte (al femminile perchè sardine) e abbiamo fatto conoscenza per la prima volta tra noi e con lui (Mattia) e Joy e Lorenzo. Quindi la foto di rito e poi tanto altro..stravolta e travolta,  stremata ma entusiasta, arriva ill 14 dicembre e la gioia di riempire la piazza come mai avremmo previsto!

Io non
sono riuscita ad avvicinarmi al palco, ma mi sembra di averti vista accanto a
Mattia Santori mentre parlava, dimmi le tue sensazioni nel vedere quel mare
multicolore,  e poi, a proposito del “non palco”, è stata una
scelta simbolica o mancanza di mezzi?

Come te migliaia di persone non sono riuscite ad avvicinarsi, neanche la mia famiglia che mi ha raggiunto poi verso le 18. perciò era una marea umana, pacifica e colorata, che si abbracciava, cantava, ballava…e fino alle 19 le sardine sono restate in piazza, non volevano lasciare quella piazza, non volevano che quel momento finisse mai.

La
scelta è stata perchè i soldini raccolti con il crowfunding sono stati suffi
cienti a coprire spese ridotte,
e abbiamo dato del nostro meglio, potevamo fare meglio, di più
, ma nessuno di noi fa
questo di mestiere, abbiamo dato il massimo e fatto del nostro meglio.

Dei punti – proposta che sono echeggiati in piazza sorvolando i visi sorridenti di giovani, anziani, persone di varie etnie e orientamento sessuale, bambini e sardine nere, quello che sta particolarmente a cuore ad entrambe è la richiesta di abrogare il decreto sicurezza. Tu che militi da anni nel campo dell’accoglienza e che ora sei promotrice di una raccolta firme a favore dell’abrogazione, come hai vissuto il decadente momento in cui Salvini ha decretato che fossero messi in strada migliaia di persone? Dopo il nostro  flash mob davanti al C.A.R.A. di Morlupo, nel tentativo di bloccare quella disumana evacuazione, che altri effetti hai potuto testimoniare e credi che le sardine saranno ascoltate sotto quest’aspetto?

Foto di Loretta Rossi-Stuart

I
DECRETI SICUREZZA ( DA MINNITI AL PRIMO AL BIS)
Precisamente io aiuto a
diffondere  una
raccolta firme
, una petizione, che #ioaccolgo  sta promuovendo.

Dire
decadente è un eufemismo, direi che è una vera e propria tragedia umana. Alla
quale come sai mi sto opponendo ogni qual volta posso urlare il mio dissenso.
Ero in piazza del popolo con la bandiera della pace un anno fa, l’8 dicembre,
quando il COSO faceva il suo orrendo comizio…perch
è volevo con il mio corpo
in piazza il mio dissenso.

Le
persone stanno vivendo una vera tragedia, migranti e non, e con questo decreti
INSICUREZZA si sta togliendo la speranza a chi chiede solo di vivere da essere
umano, ma anche ai no
stri connazionali che operano nel settore, a tutti coloro che avevano
intrapreso un percorso di integrazione che ora è stato bruscamente interrotto e
si ritrovano in strada, e sono preda facile della criminalità e delle mafie,
del caporalato e di ch
i su queste tragedie ci specula, dai politici come il COSO ai mafiosi e criminali che
lucrano sulla pelle degli ultimi.

Un
ultima quanto ovvia domanda, che futuro per questo meraviglioso e prezioso
movimento?


Il futuro è diventare oceano, di bellezza e di pace.

Nella
concretezza tornare a parlare alla testa delle persone, riportare il dialogo su
basi civili, oscurare i temi che scatenano odio, continuare ad occupare le
piazze, uscire dai social e ritrovarci insieme a difendere i nostri diritti.
Fuori dai social, questo è molto importante e questo è quello che faremo.

Grazie Barbara e, come mi hai insegnato tu, Aiwa!

Nella Prima Repubblica questo era il periodo del “Governo Balneare”, per dichiarare la fine di un patto e per iniziare a tracciare le linee per il prossimo Governo da farsi poi a Settembre, al rientro, buono per la preparazione della Finanziaria.

Sono cambiate tante cose da quel periodo storico e in questa Terza Repubblica il Governo del Cambiamento è diventato rimasto a Bagnomaria per questo Agosto che è iniziato con un voto parlamentare “surreale” e con una dichiarazione del Ministro degli Interni fuori dal Parlamento. In una dichiarazione dopo questi fatti il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha detto che la Crisi sarà la più Trasparente della Storia.

Il Movimento 5 Stelle ha presentato in parlamento una mozione parlamentare nella quale si dichiarava contrario
(dal voto il M5S era l’unica forza che ha sostenuto la sua stessa mozione) ai lavori per la TAV dopo che il Governo ha presentato una risoluzione alla prosecuzione dei lavori inviando documentazione ufficiale all’UE. La mozione è “surreale” perché la risoluzione è inviata direttamente dal Ministro “Grillino” Toninelli.

Dopo la votazione il leader leghista Matteo Salvini ha dichiarato che non aveva più fiducia del Presidente nel Consiglio e a Parlamento ormai chiuso per ferie ha presentato una Mozione di sfiducia che di fatto apre la crisi di governo che però dovrà attendere la riapertura dei lavori parlamentari per essere discussa.

Quindi per ora tante chiacchiere…e buon riposo 🙂

Il complesso periodo storico in cui viviamo si caratterizza per il fatto che sembra richiedere a tutti, su molte tematiche, una risposta di lungo periodo ed un cambiamento netto. In quest’ottica, appare indispensabile in molti campi lo sviluppo diffuso di strumenti e di competenze necessarie per comprendere e compiere delle scelte di vita ottimali e ragionate, diffondendo un’informazione che vada a creare un’effettiva conoscenza e, quindi, la coscienza verso il presente e soprattutto verso il futuro, con conseguente piena consapevolezza dei propri diritti. 

In un
panorama che si caratterizza per la presenza di informazioni in continuo
movimento e sempre maggiormente fruibili, si assiste a fronte di un indubbio
aumento della scolarizzazione ad una preoccupante debolezza della popolazione
italiana nella comprensione dei meccanismi di base dell’economia. Questo
problema, lungi dall’essere meramente teorico, ha importanti ricadute nella
vita quotidiana e sulla società, condizionando decisioni fondamentali per
l’individuo e per le famiglie.

In questo
contesto si inserisce la necessità di una riflessione profonda su una educazione
finanziaria
che sia effettiva, efficace, completa, che permetta a tutti,
fin dalla frequentazione della scuola dell’obbligo ed una volta per tutte, di
acquisire strumenti e competenze che portino a decisioni economiche consapevoli sulla base
di un’adeguata informazione, con comprensione di tutti i prodotti finanziari e la
conoscenza dei rischi e delle opportunità del mercato.

Ciò
a cui si deve far riferimento, però, non è tanto la necessità di campagne
temporanee o promozionali, spesso tardive, incomplete o portate avanti con
modalità tali da non garantire l’acquisizione di strumenti effettivi ed utili all’individuo
per essere autonomo, quanto di una strategia nazionale con obiettivi ad
ampio spettro
.

L’esperienza diretta
a contatto con i consumatori porta a far emergere ogni giorno l’esigenza sempre
più urgente di una riforma che parta dall’inserimento, fin dalla scuola
primaria e secondaria, di quelle nozioni in materia di educazione finanziaria
ed economia aziendale che costituiscono un bagaglio indispensabile per le
prossime generazioni, le quali si muovono in una dimensione sempre maggiormente
digitalizzata, caratterizzata da maggiori occasioni e da una gestione monetaria
dematerializzata. Inoltre, l’esigenza è ancora più
impellente se si considera l’utilizzo di enormi quantità di dati personali,
frutto dell’analisi delle scelte e delle preferenze ricavate dai social media
e dai big data, che consentono un’attività di moral suasion persuasiva
e surrettizia, che concorre a determinare i costumi degli individui ed una
parte elevata degli scambi commerciali.

La
necessità di una riforma nasce dalla presa di coscienza di due aspetti
interdipendenti. Uno attiene al sempre maggior numero di situazioni in cui si
assiste a problematiche di pesante indebitamento delle famiglie italiane, in situazioni
nelle quali una forte e radicata cultura finanziaria eviterebbe all’individuo
di assumere rischi e di contrarre debiti al di sopra delle proprie effettive
possibilità.  Altra considerazione
attiene, invece, al fatto che la povertà non potrà essere combattuta in maniera
efficace senza un adeguato e diffuso livello di alfabetizzazione finanziaria.

L’impegno
profuso negli ultimi anni e finalizzato alla creazione di alcuni canali di
comunicazione, quali la creazione di siti istituzionali in materia di educazione
finanziaria, purtroppo non appare adeguato ad ottenere benefici diffusi e
permanenti nel nostro ordinamento ed è per questa ragione che è ormai
impellente garantire l’acquisizione di strumenti che permettano di assicurare
il possesso, nel proprio bagaglio culturale, della visione di insieme in questa
materia.

L’individuo, per risolvere problemi, dare
giudizi e prendere decisioni complesse, ricorre a processi spesso
approssimativi o utilizza categorie semplici per pervenire comunque ad una
soluzione, seppur non ottimale ed irrazionale. Questo meccanismo può portare ad
errori di vario genere. Uno dei processi mentali più pericolosi in questo ambito,
ad esempio, è quello che porta, in assenza di strumenti propri e di una
adeguata formazione ed informazione, ad accontentarsi delle spiegazioni trovate
o fornite in maniera semplificata e spesso lacunosa, sacrificando un pensiero critico
e produttivo. In tali casi ci si accontenta di una soluzione facile fornita in
modo semplicistico, impedendo l’attivazione della parte più critica ed intuitiva
della mente. Restando nel campo dell’educazione
finanziaria, ad esempio, si possono notare spesso pericolosi messaggi pubblicitari
quali “scoperto facile” o “finanziamento per tutti” (o concetti simili) ai
quali un consumatore sprovvisto dei necessari punti di riferimento risponde
cadendo nella semplificazione che quel messaggio suggerisce. Naturalmente il
medesimo rischio esiste in tutti i campi e quanti più strumenti avrà il
consumatore/cittadino, tanto più facilmente potrà evitare di sbagliare.

L’esperienza acquisita sul
campo conferma, poi, come di una educazione finanziaria effettiva e pienamente accessibile
ne benefici non solo il singolo, ma anche la società nel suo complesso e
l’economia intera poiché, attraverso questo strumento, si riducono i rischi di
esclusione finanziaria, si incoraggiano i consumatori a pianificare e
risparmiare in maniera razionale e si contribuisce ad evitare il sovraindebitamento.
L’esperienza dimostra che l’educazione economica e
finanziaria può essere un valido strumento di inclusione sociale e di lotta
alle disuguaglianze, poiché contribuisce alla piena presa di coscienza
dell’individuo ed alla sua emancipazione sociale.

Ogni volta che ci s’interroga su quale posizione assumere, se
votare o meno e quale fra più opzioni scegliere emerge anche il ruolo della
cultura economica. La cultura finanziaria, di conseguenza, influenza tutte le scelte politiche, le riforme
economiche, le tutele ed i diritti di ciascun cittadino. L’alfabetizzazione
finanziaria, in definitiva, concorre ad alimentare l’educazione economica che
in un mondo complesso, veloce e connesso come il nostro diventa una materia strategica
per evitare che i consumatori divengano soggetti acritici incapaci di
orientarsi consapevolmente e di distinguere i nessi causali.

L’innalzamento della conoscenza finanziaria, se correttamente
sviluppata, porterà ad un aumento della comprensione delle diseguaglianze,
delle ingiustizie, dei prezzi non corretti con una analisi costi-benefici che
condurrà naturalmente a soluzioni razionali, eque ed ecologiche.

In definitiva, avere un ampio numero di persone in grado di
dare giudizi indipendenti ed autorevoli è uno strumento efficace contro la
diffusione di prodotti scadenti, di contratti ingannevoli, di investimenti
rischiosi, di interpretazioni fallaci e di programmi politici poco credibili e,
in generale, è uno strumento contro la regressione sociale e le truffe. Se la
diffusione della cultura economica tra la popolazione sarà ampia, ciò tutelerà tutti
i soggetti, anche quelli più deboli e a rischio.

L’esigenza è chiara e precisa e deve trovare risposte
precise nel brevissimo periodo: è prioritario impegnarsi in maniera capillare e
strutturata per promuovere politiche di educazione che permettano di formare
cittadini informati e preparati alla sfida di una crescita economica inclusiva.

Una intervista surreale di un aspirante mistica al maestro spirituale Osho.

Nel primo numero di Condivisione Democratica avevo annunciato che avrei dato spazio ad interviste di varia natura, senza schemi preordinati.

Bene, sono ora in collegamento eterico col rivoluzionario filosofo, guida spirituale Osho, di cui ho letto molti preziosi insegnamenti.

(foto dal Web)

Colgo l’opportunità creata dal mio attuale stato vibratorio energetico alto e aperto verso il Divino, per sedermi a prendere un tea con lui e chiedergli due cosine.

Guai a chi non mi prende sul serio, non sto scherzando! La sala da tea si trova in un meandro protetto in fondo al mio cuore: eccomi, lo vedo, è adagiato su una morbida poltrona avvolta da luce tenue e calda, mi sorride, mi accoccolo ai suoi piedi, ci siamo!

Rajneesh, ti ho cercato per avere una tua visione riguardo la
necessità di fare del bene, di dare un apporto alla collettività per la
salvezza del mondo intero. Cosa possiamo fare rispetto all’apparente prevalere
della negatività, le condizioni di vita miserevoli, le guerre, le ingiustizie
sociali?

La tua casa è in un caos indescrivibile, il tuo stesso
essere è una confusione inestricabile, come puoi avere una prospettiva che ti
permetta di comprendere problemi più grandi, sconfinati? Ancora non hai neppure
compreso te stesso: infatti ogni altra partenza risulterà falsa!

Si d’accordo, la rivoluzione esteriore è inutile se prima
non facciamo la nostra rivoluzione interiore ma se nel frattempo la casa sta
bruciando insieme a tutta la città, resto a guardare?

Ricorda: tu sei il problema del mondo, sei tu il
problema, a meno che tu non sia risolto, qualsiasi cosa farai potrai solo
rendere le cose ancora più complicate. Persone che sono in un incredibile stato
di confusione mentale iniziano ad aiutare gli altri, propongono soluzioni:
questa gente ha creato al mondo più problemi di quanti ne abbia risolti. Questi
sono i veri faccendieri, gente abile a manipolare e a ingannare: i politici,
gli economisti, i cosiddetti benefattori, i missionari. Questi sono i veri truffatori:
ancora non sono venuti a capo della propria consapevolezza interiore e sono
pronti a balzare addosso a chiunque, per risolvere tutti i problemi altrui. In
realtà, agendo così evitano e sfuggono dalla propria misera realtà.

Però, se dopo aver fatto un proprio percorso introspettivo
si è giunti ad avere la propria casa abbastanza in ordine, come si può restare
indifferenti alla sofferenza altrui? Mi sono dedicata all’autoconsapevolezza da
quando avevo quindici anni e per molti anni mi son detta: se non aggiusto il
mio mondo interiore, quello esteriore non potrà cambiare, e continuo a credere
che sia così! Ma da un po’ di tempo sta premendo in me un disagio, un bisogno
di schierarmi, fare qualcosa di netto a favore del bene, come si può restare
indifferenti, non è da codardi?

In India si narra che un re, molto sciocco, si lamentò
che il terreno accidentato gli feriva i piedi, per cui ordinò che l’intero
regno venisse rivestito con un tappeto di pelle di vacca, così da proteggere i
suoi piedi dalle asperità. A quella notizia il giullare di corte si mise a
ridere, era un saggio, e disse:” L’idea del re è semplicemente ridicola!”. Il
re andò su tutte le furie e disse al giullare:” Mostrami un’alternativa
migliore o verrai giustiziato!”. Il giullare disse: “Maestà, potete tagliare
due solette di vacca e usarle per proteggere i vostri piedi”. E fu così che
furono inventate le scarpe. Non è affatto necessario coprire l’intero pianeta
con tappeti di pelli di vacca, copriti semplicemente i piedi e i tuoi piedi
rivestiranno l’intera Terra. Questo è l’inizio della saggezza.

Ora però siamo in un’epoca in cui si rischia
l’autodistruzione, tu forse mai avresti detto che nel 2019 saremmo sati
sull’orlo del baratro!?

Sono d’accordo, esistono problemi enormi, c’è un’esplosione
di ogni sorta di follia, questo è vero, ma io insisto: il problema sorge
nell’anima individuale, l’inizio deve essere entro di te, questa è la prima
cosa. Quando avrai risolto questo, allora il tuo interesse per i problemi del
mondo sarà focalizzato sulla radice dei problemi, non sui sintomi: la persona
risvegliata sa dove si trova la radice del problema e fa di tutto per operare
su quella radice, per cambiarla…

(Foto di Loretta Rossi-Stuart)

(Intanto voi non mi vedete, ma sto agitando il pugno in aria in segno di vittoria, mentre Osho è distratto dalla tazza di te che sta sorseggiando), hops, mi ha beccato! Continua con tono potente:

La povertà non è la radice, la radice è l’avidità: voi
continuate a lottare contro la povertà, è l’avidità che deve essere sradicata.
La guerra non è il problema, il problema è l’aggressività dei singoli
individui. Potrete fare tutte le marce che volete, questo non fermerà la
guerra!

Qui però, con tutto il rispetto per la verità delle tue
parole, ti voglio informare (dalle tue parti è giunta voce?) che è appena nato
dalle piazze un’unione di intenti meravigliosa di persone chiamate “le
sardine”. Ho deciso di unirmi a loro in nome dell’antirazzismo, antifascismo,
ambientalismo. Questo è il decimo ed ultimo punto della “carta dei valori” di
questa folla oceanica che chiede pace, collaborazione, diritti uguali per tutti
e tante altre cose belle, e lo dedico a te, Osho Rajeensh: punto 10. Se
cambio io, non per questo cambia il mondo, ma qualcosa comincia a cambiare.
Occorrono speranza e coraggio

Leggo un guizzo di entusiasmo negli occhi profondi del
grande saggio, mi inchino alla sua saggezza e torno tra la folla, sardina tra
le sardine, yesss!!!

Un’auto-intervista, questo l’appuntamento per il numero presente di Condivisione Democratica, ma da buona “condividente” decisamente democratica, risponderò solo brevemente ad un paio di domande che abbiamo ricevuto al mio filo diretto, per poi passare ad un’intervista che mi è capitato di fare in un luogo particolare. Le due cose sono in realtà strettamente collegate. Dunque la prima domanda:
Loretta, ho letto della battaglia che stai portando avanti riguardo l’ingiusta detenzione di tuo figlio Giacomo. Poi leggendo altre notizie precedenti apprendo del tuo attivismo contro il razzismo. Tuo figlio è di colore, nessuno hai mai posto l’attenzione su questo fattore, la parola carcere collegata a uomo nero? Scusa se in un momento di tuo grande dolore sono stato così diretto, Marco.

Sappi che mi ero effettivamente posta la questione ma, con mio estremo stupore e soddisfazione, forse ci sono meno italioti di quanto non appaia. No Marco, anche ospite in tv o in varie interviste, nessuno si è soffermato sull’etnia di Giacomo, che sottolineo, è mio figlio biologico, molto molto italiano, addirittura partorito in casa! Per fortuna quindi, non mi son dovuta dedicare a spiegare cose ovvie, come quella che spesso in una famiglia due fratelli sono come il giorno e la notte, di qualunque colore sia la loro pelle, e le strade che possono prendere spesso divergono di molto, come nel caso dell’altro mio figlio che si sta per laureare. Il valore umano del fratello meno “conforme” è paradossalmente a volte, più variegato e riccamente complesso, da cui deriva un percorso di vita più accidentato.

Loretta Rossi Stuart, sei consapevole che senza il tuo cognome non avresti avuto nessuna risonanza rispetto all’ingiustizia che sta subendo tuo figlio? Ti comprendo come madre ma il vostro mondo patinato mi sembra troppo lontano, Stefania.

Stefania cara, ti rispondo con le parole di una signora disperata che dopo avermi visto in una trasmissione, mi ha scritto:
Buona sera, io mi chiamo………, mi ha colpito la sua storia, vorrei u informazione in merito a mio nipote M………, (ha 22 anni) che ha lo stesso problema di bipolarismo, (disturbo di personalità e psicosi) in pratica lui fumava marijuana, che ha scatenato queste crisi, attualmente è ricoverato in psichiatria. Il problema è quando uscirà dall’ospedale, ci vuole una struttura idonea, e mia sorella non lo vuole più in casa, non so cosa fare!!! Si potrebbe lottare insieme per ottenere queste strutture idonee, per curarli, mi faccia sapere, anche solo un consiglio grazie, ha tutta la mia stima”.

Stefania, il poco che sto cercando di fare, ovvero attirare l’attenzione sulla problematica che va dalle droghe, alle comunità, alle strutture psichiatriche e, a volte, arriva a toccare il carcere, si, lo sto facendo a favore di altre persone, non solo per mio figlio. Il mezzo e il come non importa, so solo che ci vuole un grande coraggio e altrettanto desiderio di un mondo migliore. Il 12 novembre a Roma, presso la Fondazione Don Di Liegro, si svolgerà il convegno “Io combatto- dalla comunità alla r.e.m.s. passando per il carcere-Il viaggio di una madre nel buio delle istituzioni”.

Verrà proiettato un breve docu film sull’esperienza di Giacomo, girato da me con mezzi artigianali. Ma è un documento che vuole sensibilizzare le istituzioni su qualcosa che va portato avanti: l’importante riforma che ha portato alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, ma che deve procedere col suo iter, risolvendo il problema della mancanza di strutture e confusione di competenze.

Ma veniamo all’intervista che mi è capitata di fare in attesa di del colloquio con mio figlio avvenuta, dicevo, in un luogo particolare, nel carcere di Rebibbia: precisamente mi trovavo nella sala d’attesa del penitenziario, che ogni giorno ospita centinaia di visitatori, coloro che danno sostegno a chi è dentro. Sono soprattutto donne, di ogni estrazione sociale, dalla gitana alla signora curata e forse snob, che si trova però fianco a fianco con la popolazione più variegata e spesso denigrata. Viene a compiersi l’opera di una sorta di livella là dentro, e siamo tutti uguali, con storie e drammi su cui a volte si riesce a sorridere insieme. Dunque, mi trovo in attesa da ore, come sempre, e noto un ragazzo africano dal viso luminoso: mi sorride furbetto, dopo avermi colta a scattare furtivamente qualche foto col cellulare, alla sala piena di umanità e degrado. Allora vado da lui e gli dico “visto che mi hai beccata questo punto posso farti una foto fatta bene? Sai, devo scrivere un articolo, così poi mi dici come mai sei qui e mi parli un po’ di te…”. Ci sediamo e lo ascolto, non serve che gli faccia alcuna domanda ad Amadou, 26enne del Senegal, bel ragazzo, intelligente ed educatissimo. Inevitabile che si innesti in me un retropensiero, mentre ascolto la sua storia: una sorta di silenzioso confronto con mio figlio, poco più giovane, poco più chiaro di pelle, poco più alto, ma bello come Amadou e pieno di potenziale come lui. Solo che Amadou non ha perso la sua direzione, ha ben chiaro il suo obbiettivo e mi racconta: “Io sono in Italia da 4 anni, dopo essere atterrato su questo suolo ho pensato solo a lavorare. Non mi interessa uscire, andare a ballare, vedere ragazze. Io voglio aprire una mia attività nella mia terra, io appena ho i soldi necessari me ne torno in Senegal. Avevo ingranato bene col lavoro, ho lavorato in negozi importanti come uomo della sicurezza, ho fatto il modello e sono sempre stato affidabile, ma da quando Salvini ha gettato ombre su di noi, così in modo indiscriminato, solo perché abbiamo la pelle scura, le cose sono cambiate, è diventato più difficile trovare lavoro” mi mostra i suoi documenti, mi spiega dove abita, e poi mi sorprende nel descrivere la figura di Salvini e di chi segue la sua visione: “è solo questione di ignoranza, nel senso specifico del termine, lui ignora che l’umanità è sempre emigrata e sempre lo farà, ignora che quasi nessuno di noi vorrebbe fermarsi in Italia, ignora che per esempio a Marsiglia , e faccio un esempio di una città qualunque che non sia preistorica, per strada difficilmente trovi dei francesi, perché lì c’è il mondo intero! Loro, i Salviniani, hanno paura di perdere l’identità ma ignorano che coì restano indietro, risultano essere un popolo arretrato.

Amadou si tira su una manica, si tocca il braccio e continua:” Io del colore di questa, sono orgoglioso e non lo cambierei per nessuna cifra al mondo, e se capita l’ignorante che dopo avermi dato la mano se la pulisce, io ho solo pena per questa persona.” Poi mi parla della droga, di come si dia per scontato che siano i neri a commerciarla. Lui mi spiega.” Si, per la strada, si, la manovalanza, ma hai sentito di africani che la portano da fuori? O che gestiscono tutto? Una stretta minoranza! No, sono gli italiani che li arruolano e li sfruttano. Dicono che in galera è pieno di stranieri, senti ora all’altoparlante quando ci chiamano per entrare al colloquio, su dieci quanti cognomi sono stranieri?” Io rispondo la verità, e ci avevo fatto caso anche io :” Vero Amadou, su dieci nomi forse due, ma anche dentro, nell’area comune di africani ne vedo pochissimi…”Dicendogli poi che io sono un attivista per l’uguaglianza e faccio parte di “Mamme per la pelle”, continuo ad indagare e chiedo:” ma tuo cugino che è dentro, mi hai detto perché vendeva borse per la strada, ha subito che tu sappia atti di razzismi in carcere, perché mio figlio mi dice che non succede”. Amadou mi spiega :”No dentro sono tutti fratelli, tuti uguali, devi rispettare certe regole ma c’è solidarietà”. Lo abbraccio, questo ragazzone che così giovane ha le idee così chiare e che più volte mi ripete: ”Io voglio guadagnare onestamente e tornamene in Africa”. E lì mi viene quasi da piangere perché penso a quanto sia possa essere dura per loro visto che lo è perfino per noi italiani, inseriti, ambientati, con le nostre conoscenze etc, e ugualmente in tanti stiamo a spasso o alla deriva. Penso che tanti di loro nelle condizioni disagiate in cui versano, a maggior ragione dopo il decreto Salvini e la chiusura dei centri di accoglienza, beh, penso che molti di loro hanno una gran forza e dignità, altri non hanno alternative, e altri ovviamene non hanno una rettitudine, così come una fetta della popolazione di qualsiasi etnia. Penso che dovremmo avere comprensione e basta, senza neanche dover risalire alle cause scatenanti ovvero al colonialismo di cui siamo responsabili.
Vado dentro, un ora a chiacchierare con mio figlio, che nell’area comune saluta a destra e a sinistra, c’è chi mi stringe la mano complimentandosi per la mia battaglia e chi fa la ramanzina a mio figlio e, guarda caso è un africano di mezza età con lo sguardo saggio e il fare gentile! Questa la sua raccomandazione a Giacomo che ha l’età dei suoi figli:” Mi raccomando, prima le parole, chiedi con gentilezza, nel caso reputi che stai subendo un’ingiustizia. Se le parole non funzionano passa ai fatti, ma che siano fatti ponderati. Prova con la comunicazione, impara prima a dialogare e vedrai che sarai ascoltato!
Saggezza africana in un giorno di ordinario colloquio a Rebibbia.

Mi presento: sono una persona.

Il termine “persona“deriva dal latino personare ( suonare attraverso) e risale al tempo in cui gli attori comunicavano stati di collera, gioia o tristezza, indossando maschere la cui mimica veniva rafforzata dall’effetto della parola che risuonava dall’interno.
Tutte le persone hanno diritto di esprimersi e comunicare qualsivoglia emozione o pensiero. Gli attori, i cantanti, gli artisti in genere, lo fanno per attitudine o per guadagnarsi la vita o entrambe le cose, o semplicemente perchè non ne possono fare a meno, è il motivo del loro esistere. Per cui succede che abbiano l’incarico di eseguire, diventare strumenti della creazione altrui (l’attore nelle mani di un regista, l’interprete di una canzone scritta da un autore, l’esecutore di una partitura composta da un altro musicista etc.etc.) così come succede che gli artisti siano al contempo creatori ed esecutori. Questi ultimi convogliano la loro creazione, cantano testi propri carichi di significato, improvvisano una danza e creano stili nuovi, danno vita ad una scultura o altro tipo di opera. Anche un attore che sia fedele al testo e che venga diretto in modo poco “flessibile”, si esprimerà sempre in modo in parte personale, darà sempre qualcosa di sé. Per cui, in tutti i casi, si è strumenti di comunicazione, di visioni di vita, idee e messaggi al prossimo (anche se alcuni sono finiti a parlare da soli o al vento).

Trovo assurdo e miope disapprovare che una persona dello spettacolo esprima pubblicamente il suo punto di vista, che si debba auto censurare, su qualsivoglia argomento, politica inclusa. Accolgo quindi con gioia la proposta del direttore che mi offre una finestra a cui potermi affacciare in osservazione e ponderazione dei vari avvenimenti che ci scorrono intorno, condividendoli in qualità di donna di spettacolo, ma soprattutto di “persona.”
Un appuntamento all’insegna del comunicare, denunciare, proporre in analisi, e quindi il “dire” seguito da un “agire”.

Il mio spazio accoglierà interviste, contenuti video e ciò che mi ispirerà il cuore. Per il primo numero di Condivisione Democratica (quanto mi piace questo titolo!) offro un piccolo contributo video nato tra i flutti e sospinto dal mio desiderio di fare qualcosa per il pianeta. Concludo con una breve auto intervista, per iniziare un appuntamento mensile che mi vedrà perlappunto intervistare diverse tipologie di persona, dal politico all’artista, dall’uomo e dalla donna di strada (lo dico, si lo dico e lo confermo, donna di strada… perché dovrei sostituirlo con donna qualunque, quando il concetto per l’uomo calza perfettamente?), al personaggio in vista. E quindi mi sembra ragionevole iniziare con la sottoscritta:
Loretta, vuoi dirci cosa pensi della…
Fermi tutti mi blocco! Direttore, possiamo fare in modo che le domande mi vengano rivolte direttamente dai lettori? Si, questo mi piace, un vero “filo diretto”.

E allora, rimandiamo al prossimo numero la mia intervista, insomma, le mie risposte alla vostra intervista, insomma, ci siamo capiti.
Scrivete a DilloaLoretta@condivisionedemocratica.com

Al primo scoppio di bomba, nel 1914, Trilussa scrisse questa questa ninna nanna che è di una spietatezza, di un disincanto tipicamente romano.
Sicuramente non si aspettava che la guerra incendiasse il mondo intero, lasciando poi quei ceneri ardenti che anni dopo avrebbero acceso anche la seconda guerra mondiale. Pensava alle “solite” guerre europee.
A me è tornata in mente pensando a questa campagna elettorale. Ora tutti contro tutti, dopo il 4 Marzo ci sarà un accordo e un ricompattamento…

La ninna nanna della guerra (1914)

Ninna nanna, nanna ninna,
er pupetto vò la zinna:
dormi, dormi, cocco bello,
sennò chiamo Farfarello
Farfarello e Gujermone
che se mette a pecorone,
Gujermone e Ceccopeppe
che se regge co le zeppe,
co le zeppe d’un impero
mezzo giallo e mezzo nero.

Ninna nanna, pija sonno
ché se dormi nun vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedeno ner monno
fra le spade e li fucili
de li popoli civili

Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che commanna;
che se scanna e che s’ammazza
a vantaggio de la razza
o a vantaggio d’una fede
per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo
ar Sovrano macellaro.

Chè quer covo d’assassini
che c’insanguina la terra
sa benone che la guerra
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe li ladri de le Borse.

Fa la ninna, cocco bello,
finchè dura sto macello:
fa la ninna, chè domani
rivedremo li sovrani
che se scambieno la stima
boni amichi come prima.

So cuggini e fra parenti
nun se fanno comprimenti:
torneranno più cordiali
li rapporti personali.

E riuniti fra de loro
senza l’ombra d’un rimorso,
ce faranno un ber discorso
su la Pace e sul Lavoro
pe quer popolo cojone
risparmiato dar cannone!

Emilia Kamvisi è un’anziana signora abitante dell’isola greca di Lesbo. Una anziana signora così come ce la potremmo immaginare. Ma Emilia è una delle candidate al Premio Nobel per la Pace del 2016.
La sua candidatura nasce da uno scatto e da una enorme umanità: nell’ottobre 2015 è stata fotografata da Lefteris Partsalis mentre con un biberon allattava un piccolo siriano approdato nell’isola greca assieme a migliaia di migranti che fuggivano dalla guerra in atto.

La foto che riportiamo è di pieno diritto della fotografa che l’ha scattata, la sua pubblicazione avviene in virtù della distribuzione sul web. Ringraziamo l’autrice.

Libertà e Giustizia non è un partito politico, ma un’associazione di cultura politica, ispirata ai due principi indicati nella sua stessa denominazione. Il suo metodo è la ragione applicata ai fatti. Allontaniamoci, allora, un poco dai particolari della cronaca politica quotidiana e cerchiamo di intravedere l’insieme dei fatti per ricavarne linee di pensiero e d’azione. Sempre che non sia un esercizio inutile.

IDEE-FATTI

Nella vita politica, le idee, le percezioni, le illusioni e le indignazioni che contano non sono necessariamente quelle veritiere. Sono quelle che permeano le coscienze, fanno senso comune e muovono i comportamenti dei grandi numeri, vere o false che siano. In ogni caso, sono semplificazioni e, proprio per questo, sono efficaci. Poiché sono efficaci, esse sono, per l’appunto, “fatti”, non effimere impressioni che passano da sé.

a. La prima idea-fatto – inutile dirlo – si esprime con la parola “casta”: giri intrecciati di potere politico, burocratico, economico e finanziario che si auto-alimentano per nepotismo e cooptazione, in base a patti di protezione e fedeltà; potere per il potere, inamovibile, spesso occulto e illegale; disuguaglianze crescenti tra chi sta dentro e chi fuori, chi sopra e chi sotto; privilegi e stili di vita incomparabili; ricchezza crescente per pochi e povertà dilagante tra i molti. Una grande divisione sociale, per la quale, un tempo, fu coniata l’espressione “razza padrona”.

La lotta di classe pare diventare, o già essere diventata lotta di casta, e a parti invertite: non degli sfruttati contro gli sfruttatori, ma degli sfruttatori contro gli sfruttati. Forse, ancora non si percepisce la dimensione globale di questa immensa ingiustizia, rispetto alla quale gli abusi, le corruttele, i furti di casa nostra, per quanto insopportabili, sono quisquilie. Quando si percepirà, cioè si farà strada l’idea, la reazione sarà la restaurazione delle piccole patrie, delle piccole comunità, come rifugi al tempo stesso protettivi e aggressivi: una vecchia storia.

b. La seconda idea-fatto è l’identificazione del potere che s’è detto con le Istituzioni. La politica moderna si basa sulla distinzione tra le istituzioni e coloro che le impersonano e le servono. L’idea odierna è il rovesciamento: coloro che stanno nelle istituzioni se ne servono. In tal modo, ogni degenerazione dei primi viene percepita come vizio delle seconde. Una volta, la corruzione di uno, era vista come corruzione di quello, poi del suo partito, poi dei partiti tutti quanti, poi della politica come tale, infine delle istituzioni tutte quante. I corrotti, gli insipienti, i dilettanti, gli arroganti, ecc. che operano nelle istituzioni non sono solo cattivi soggetti per se stessi, ma lo sono anche di più per le istituzioni democratiche. Nessuna azione antidemocratica è più efficace della corruzione e della propaganda che si basa su di essa. Anche questa è una vecchia storia.

c. La terza idea-fatto è che tutto s’equivale e che “sono tutti uguali”. Di conseguenza, non c’è nulla di possibile e nessuno di cui ci si possa fidare. Tanto vale, allora, starsene a guardare, sperando nella palingenesi, cioè nel crollo della politica e delle sue istituzioni e nell’apparizione di qualcuno che faccia piazza pulita. Che questa prospettiva esista e possa diventare persino maggioritaria è il crimine maggiore che dobbiamo imputare alla generazione che è la nostra. Di nuovo, ci appaiono i fantasmi d’una vecchia storia che si deve sapere dove porta.

LE RISPOSTE VUOTE

Queste generalizzazioni sono sbagliate. Sono anzi trappole pericolose. Ma sono fatti.

Come le vediamo contrastare? Con vuote banalità e con azioni controproducenti.

La prima banalità è l’accusa di antipolitica, che evita di fare i conti con le ragioni che allontanano dalla politica e si presta, contro chi la pronuncia, a essere ritorta con la stessa, se non con maggiore forza. Chi è, infatti, il vero antipolitico? La domanda è a risposta aperta. Non serve a nulla l’anatema. Serve solo la buona politica.

Non bastano le parole, quelle parole che si possono pronunciare a basso costo; parole banali anch’esse, che non vogliono dire nulla perché non si potrebbe che essere d’accordo.

Nella politica, che è il luogo delle scelte e delle responsabilità, dovrebbe valere la regola: tutte le parole che dicono ciò che non può che essere così, sono vietate.

Non vogliono dire nulla riforme, moralità, rinnovamento, innovazione, merito, coesione, condivisione, giovani, generazioni future, ecc.: vuota retorica del nostro tempo che tanto più si gonfia di “valori”, tanto più è povera di contenuti.

Chi mai direbbe d’essere contro queste belle cose?

COME USCIRNE
1) ATTI DI CONTRIZIONE E SEGNI DI DISCONTINUITA’

Alle vuote parole che non costano niente, corrispondono azioni e omissioni nefaste, anzi suicide. Si scoprono ora (!) ruberie, inimmaginabili nel mondo normale, e s’invoca subito una legge sui partiti e sul controllo dei flussi di denaro che arrivano loro: una legge che non si farà.

Si scopre ora (!) che la corruzione dilaga e si fa una legge-manifesto che, anche a dire di quelli che, all’inizio, l’hanno appoggiata, servirà poco o nulla.

Ci si accorge ora (!) che gli organi elettivi sono pieni di gente impresentabile e si prepara una legge sulle candidature. Leggi, sempre leggi, destinate a non farsi o, se fatte, a essere svuotate.

Ma nessuno obbliga a rubare, a corrompere e farsi corrompere, promuovere candidati senza qualità o con ben note “qualità”.

I cattivi costumi si combattono con buoni costumi. Le leggi servono a colpire le devianze, ma nulla possono quando la devianza s’è fatta normalità. Prima di cambiare le leggi, occorre cambiare se stessi e, per cambiare se stessi, non occorre alcuna legge.

Per chiedere rinnovata fiducia, occorrono ATTI DI CONTRIZIONE, segni concreti di discontinuità, non “segnali”, come si dice per dissimulare l’inganno.

Non è un segno, ma un segnale, per di più autolesionistico, la legge elettorale che è in gestazione. Mai più al voto con la legge attuale, s’era detto. Impedito il referendum da un’improvvida sentenza della Corte costituzionale, il problema della riforma è passato al Parlamento, cioè a chi ha da sperare vantaggi o temere svantaggi. Ci voleva poco a capire che, in prossimità delle elezioni, sondaggi alla mano, tutto sarebbe dipeso da calcoli interessati e poco o nulla da buone ragioni di giustizia elettorale. Non c’è bisogno di apprenderlo dal “Codice di buona condotta in materia elettorale” (§§ 65 e 66), che contiene il “minimo etico” segnalato agli Stati dal Consiglio d’Europa nel 2002. Lo comprendiamo da soli.

Comprendiamo che la nuova legge elettorale, se ci sarà, dipenderà dagli interessi dei partiti, non degli elettori che vi troveranno ulteriori ragioni di distacco o di rabbia. La riforma, che avrebbe dovuto servire a riavvicinare eletti ed elettori, allargherà la distanza.

Si persevera, invece, tentando di ritagliarsi comunque un posto o un posticino che conti qualcosa, in una barca che rischia di andare a fondo con quelli che ci sono dentro. Si pensa che non ce ne si accorga? e che ciò non porti altra acqua a chi vuol affondarla? Che insipienza!

2) UNA STAGIONE COSTITUZIONALE PER VIVERE IN LIBERTA’ E GIUSTIZIA

Dove appoggiarsi per uscire dal pantano, per suscitare coraggio, energie, entusiasmo, in un momento di depressione politica come quello che viviamo?

Dove trovare l’ideale d’una società giusta, che meriti che si mettano da parte gli egoismi e i privilegi particolari, che ci renda possibile intravedere una società in cui noi, i nostri figli e i figli dei nostri figli, si possa vivere in libertà e in giustizia?

È sorprendente che non si pensi che questo ideale, questo punto d’appoggio c’è, ed è la COSTITUZIONE. Ed è sorprendente che si sia chiuso in una parentesi quel referendum del giugno 2006 in cui quasi sedici milioni di cittadini si sono espressi a sostegno dei suoi principi.

Altrettanto sorprendente è che non si dia significato – forse perché non se ne ha nemmeno sentore – all’entusiasmo che accoglie, tra i giovani soprattutto, ogni discorso sulla Costituzione, sul suo significato storico e sul valore politico e civile attuale. Non c’è qui una grande forza che attende d’essere interpellata per cambiare la società?
Non è paradossale che ci si volga indietro per guardare avanti.

Le difficoltà in cui ci troviamo non derivano dalla Costituzione, ma dall’ignoranza, dal maltrattamento, dall’abuso, talora dalla violazione che di essa si sono fatti. Eppure lì si trova almeno la traccia della risposta ai nostri maggiori problemi.

  • Il LAVORO come diritto a fondamento della vita sociale, e non la rendita finanziaria e speculativa;
  • i DIRITTI CIVILI e non le ipoteche confessionali e ideologiche sulle scelte ultime della vita;
  • l’UGUAGLIANZA di fronte alla legge e non i privilegi per proteggere i deboli e combattere le mafie d’ogni natura;
  • l’impegno a promuovere politiche di EQUITA’ SOCIALE E FISCALE e non l’autorizzazione a gravare sui più deboli per risolvere i problemi dei più forti;
  • la garanzia dei SERVIZI SOCIALI e non la volontà di ridurli o sopprimerli;
  • la SALUTE come diritto e non come privilegio;
  • l’ISTRUZIONE attraverso la scuola pubblica aperta a tutti e non i favoritismi alla scuola privata;
  • la CULTURA, i BENI CULTURALI, la NATURA come patrimonio a disposizione di tutti, sottratti agli interessi politici e alla speculazione privata;
  • la libera INFORMAZIONE, come diritto dei cittadini e diritto-dovere dei giornalisti; ancora:
  • la POLITICA come autonomo discorso sui fini e non come affare separato di professionisti o tecnici esecutivi;
  • la partecipazione all’EUROPA come via che porti alla pace e alla giustizia tra le nazioni, a più libertà e più democrazia, non più burocrazia e meno libertà.

In generale, nella Costituzione troviamo la politica, il bene pubblico che più, oggi, scarseggia.

Invece, ancora una volta, come da trent’anni e più a questa parte, si ripete la stanca litania della prossima stagione come “stagione costituente”. Costituente di che cosa? Volete dire, di grazia, che cosa volete costituire? E credete con questa formula di ottenere consensi, tra cui i nostri consensi? Non viene in mente a nessuno che il nostro Paese avrebbe bisogno, piuttosto, di una “STAGIONE COSTITUZIONALE” e che chi facesse sua questa parola d’ordine compirebbe un atto che metterebbe in moto fatti, a loro volta produttivi d’idee, anzi d’ideali?

 

(tra i sottoscrittori: Zagrebelsky, Bonsanti, Eco, Saviano, Ginsborg, Lerner, Abate, Dalla Chiesa, Natale, Landini, Barbacetto, Settis)