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La Settima Arte è stata da sempre uno strumento potente per esplorare il concetto di identità. Identità personale o identità collettiva. Identità complessa e sfaccettata. E i “colpi di scena” certamente non sono quelli che si possono avere a teatro, vista la visione “immersiva” che se ne può avere. La domanda “chi siamo veramente?” viene esplorata attraverso storie che mettono in discussione l’individualità, l’autenticità e le maschere che indossiamo. Dai thriller psicologici ai drammi filosofici, ecco un elenco di dieci film che mettono l’identità al centro della loro narrazione.

Fight Club (1999)
Basato sull’omonimo romanzo di Chuck Palahniuk, Fight Club esplora la crisi d’identità attraverso il personaggio del narratore (interpretato da Edward Norton), un uomo anonimo che soffre di insonnia e trova un modo estremo per affrontare il vuoto della sua vita. La lotta per riscoprire sé stesso lo conduce a incontrare, Tyler Durden (Brad Pitt), con cui sfida la società moderna. Il film pone domande sull’alienazione individuale, l’identità frammentata e il confine tra ciò che siamo e ciò che vogliamo essere.

Memento (2000)
La ricerca dell’identità diventa un rompicapo in Memento, dove Leonard Shelby (Guy Pearce) soffre di amnesia anterograda, una condizione che gli impedisce di creare nuovi ricordi. Il film di Christofer Nolan è strutturato in modo non lineare, riflettendo la frammentazione della memoria del protagonista e il suo disperato tentativo di dare senso a chi è, alla sua vendetta e alla sua vita. Questo thriller psicologico mette in luce come la memoria sia fondamentale per definire chi siamo.

The Truman Show (1998)
Nel Truman Show, Truman Burbank (Jim Carrey) scopre di vivere all’interno di un reality show, dove ogni aspetto della sua vita è stato manipolato e trasmesso in diretta. Questo film offre una potente riflessione sull’identità in una società mediatica, esplorando il tema del libero arbitrio contro il controllo esterno. Truman, alla ricerca della sua vera identità, si ribella al sistema che lo ha ingabbiato, rendendo evidente come la costruzione sociale influisca su chi pensiamo di essere.

Black Swan (2010)
La ballerina Nina Sayers (Natalie Portman) è costantemente divisa tra la perfezione che cerca e il lato oscuro che emerge dentro di lei. Black Swan è una discesa psicologica nell’ossessione, dove la dualità dell’identità viene esplorata attraverso il simbolismo del cigno bianco e del cigno nero. La metamorfosi di Nina mostra come l’identità possa essere mutevole, influenzata dalle aspettative esterne e dai desideri interni.

Lost in Translation (2003)
La solitudine e la disconnessione culturale sono al centro di Lost in Translation, dove due personaggi – Bob (Bill Murray) e Charlotte (Scarlett Johansson) – si trovano a Tokyo, cercando un senso di appartenenza. Il film di Sofia Coppola esplora la loro crisi esistenziale e il desiderio di ritrovare una connessione autentica con sé stessi e con gli altri. La loro amicizia diventa un rifugio per esplorare chi sono al di là delle aspettative sociali.

Her (2013)
In un futuro prossimo, Theodore Twombly (Joaquin Phoenix) sviluppa una relazione amorosa con un’intelligenza artificiale chiamata Samantha (doppiata da Scarlett Johansson). Her pone interrogativi su come la tecnologia influenzi la nostra percezione dell’identità e delle relazioni. Theodore, attraverso questa relazione virtuale, esplora il senso di solitudine e l’identità digitale, domandandosi se le connessioni artificiali possano essere autentiche quanto quelle umane.

Eternal Sunshine of the Spotless Mind (2004) di Michel Gondry
In questo film, la memoria e l’identità sono inestricabilmente legate. Joel Barish (Jim Carrey) e Clementine Kruczynski (Kate Winslet) decidono di cancellare i ricordi della loro relazione tramite una procedura sperimentale. Tuttavia, nel processo, Joel scopre che anche i momenti più dolorosi fanno parte di chi è. Il film riflette sull’importanza dei ricordi nella formazione dell’identità e su come il tentativo di cancellare il passato possa privarci di una parte essenziale di noi stessi.

Mulholland Drive (2001) di David Lynch
Mulholland Drive è un puzzle surrealista che esplora la confusione dell’identità in una Hollywood noir. Due donne (Naomi Watts e Laura Harring) si imbarcano in un viaggio onirico che sfuma continuamente tra realtà e immaginazione. Lynch utilizza simbolismi e narrazioni non lineari per rappresentare la dualità e la frammentazione dell’identità, rendendo il film un’esperienza unica nel suo genere, in cui chi siamo dipende dalle percezioni e dalle esperienze vissute.

The Double (2013)
Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Dostoevskij, The Double narra la storia di Simon James (Jesse Eisenberg), un uomo timido e anonimo, la cui vita viene sconvolta dall’arrivo di un suo doppio identico, ma carismatico e sicuro di sé. Il film esplora il concetto di identità attraverso il contrasto tra l’immagine che diamo al mondo e ciò che siamo veramente. La figura del doppio rappresenta il conflitto tra desiderio e realtà, mostrando come l’identità possa essere una costruzione instabile.

Persona (1966) di Ingmar Bergman
Un classico del cinema d’autore, Persona è un’indagine filosofica e psicologica sull’identità e sulla maschera che indossiamo. La storia segue l’attrice Elisabeth Vogler (Liv Ullmann), che perde improvvisamente la capacità di parlare, e la sua infermiera Alma (Bibi Andersson), mentre le loro personalità iniziano a confondersi. Bergman usa la metafora della “persona” (dal latino “maschera”) per esplorare la disintegrazione dell’identità e la crisi esistenziale, suggerendo che chi siamo è in gran parte una costruzione artificiale.

Questi film mostrano come l’identità possa essere fragile, mutevole e influenzata da forze esterne. Attraverso personaggi che cercano di capire chi sono veramente, i registi ci invitano a riflettere sulle nostre stesse vite e sul modo in cui definiamo noi stessi. Che si tratti di una lotta contro il sistema, un viaggio interiore o una discesa nella follia, l’identità rimane uno dei temi più affascinanti e complessi che il cinema possa esplorare.

Non possiamo sapere se sia già accaduto, ma di certo non è storia di tutti i giorni che un libro ispiri una canzone.
Succede con “I giorni del mare“, nuovo singolo del cantautore Davide Mottola (dal 25 ottobre 2024 disponibile in tutti i digital store), ispirato al libro omonimo della scrittrice Caterina Adriana Cordiano, pubblicato nel 2019 da Pellegrini Editore.

Il libro, dato alle stampe pochi mesi prima che il Covid 19 facesse irruzione nelle nostre vite, pur ottenendo lusinghieri consensi di pubblico e di critica letteraria, non ha potuto godere naturalmente della giusta e capillare promozione; ma ecco ora improvvisamente nutrirsi di una nuova vita grazie al contributo artistico del cantautore romano, catturato dalle innumerevoli sfumature ed incursioni del romanzo.

Un uomo alla ricerca della sua identità, la fuga dalle delusioni e dagli intrighi che coinvolgono la sua vita affettiva e professionale, il distacco dall’inquietudine della città, la ricerca di un riparo segreto, l’abbraccio con le sue origini, con la vastità del mare, per poter placare i suoi turbamenti e ritrovare se stesso.

Da queste suggestioni, nasce il desiderio di Davide Mottola di tradurre in versi ed in musica questo percorso, nel quale ogni ascoltatore, come ogni lettore, può riconoscersi, identificarsi, o confrontarsi con la propria personalità, con la propria avventura umana.

Canzone e libro, in un inedito e straordinario abbraccio, viaggeranno in questo progetto, scritto e diretto da Gerry Mottola, giornalista e direttore artistico.

Un percorso denso di momenti, occasioni, incontri e confronti che avrà il suo inizio Venerdì 25 ottobre, alle ore 18.30, presso il Teatro della Dodicesima di Roma, con la presentazione del libro e del brano.

All’evento, promosso da Frammenti Sonori Associazione Culturale, in collaborazione con TamTam Cultura APS e Condi-Visioni.it, testata giornalistica on line, parteciperanno Caterina Adriana Cordiano, autrice del libro, Davide Mottola, autore e interprete del brano, Cettina Quattrocchi, Presidente Consulta della Cultura Municipio Roma IX, Gerry Mottola, autore del progetto.

Nello stesso giorno avverrà la pubblicazione del brano (prodotto da Gerry Mottola e Davide Mottola per la Long Digital Playing di Luca Bonaffini, con gli arrangiamenti di Edoardo Petretti) in tutti i digital store.

Successivamente, un’altra presentazione si terrà a Napoli nel mese di novembre, mentre per il mese di dicembre è in preparazione una serata evento a Roma che vedrà la partecipazione di importanti artisti ed autorità intellettuali. Un “concerto in viaggio” sulle note musicali, letterarie, poetiche, umane e sociali del libro e della canzone.

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La poetessa romana Raffaella Belli pubblica la sua nuova raccolta di poesie “Tende all’eterno ogni sospensione” edita da Edizioni “Il Simbolo”.
A distanza di tredici anni dalla sua ultima raccolta, Raffaella Belli torna alla poesia con un volume vasto e intenso, dove la voglia per una ricerca di luce e armonia si sposa al canto della vita. Con “Tende all’eterno ogni sospensione” (Edizioni “Il Simbolo”, prefazione di Elio Pecora, 153 pagine, 15,00 euro) il poeta conduce il lettore in un limbo segreto, dove ognuno di noi può sperimentare il senso di un’esistenza altra che sappia mutare ogni vibrazione di un respiro che anela all’equilibrio e alla pace dello spirito, poiché senza il presupposto e l’impegno di una naturale preghiera, nonché dei fini trasformativi di una educazione, non è possibile mutare il corso di questo mondo. Non a caso la stessa poetessa avverte nella nota finale al testo come “Le tre sezioni che compongono l’opera poetica, scritte negli ultimi anni, sono testimonianza di un mio sentire poetico in evoluzione costante”.

Raffaella Belli (Roma, 1970) esordisce nel 2001 con la silloge “Pensieri d’Azzurro” (Ibiskos Editrice, prefazione di Giovanna La Vecchia). Tra il 2002 e il 2005 ha pubblicato su periodici, quotidiani e riviste, le seguenti sillogi: “Occhi invisibili”, “L’equilibrio dei fiori”, “Lunafiamma”, “I cedri e l’acqua” e “Silenzio di tempo”, ricevendo attenzione e riconoscimenti in numerosi premi poetici.
Con Maurizio Gregorini, nel 2006, ha pubblicato la silloge “Scaglie di passione” (Edizioni del Cardo). Nel 2011, sempre per le Edizioni del Cardo esce la raccolta poetica “Elitra Diafana – Partitura”. Anche Elio Pecora, nell’introdurre il lettore a questa poetica avverte come la poetessa “Mai lasciando la giornata che logora e trattiene, porta in un altrove i suoi pensieri misti di aspre verità e di cercati rispecchiamenti”. E prosegue citando suddetti versi:

È linfa che corre veloce
la seduzione di un canto
nei recessi del tempo.
Lampo di onde silenti,
collegamento ritmico in un mondo
taciturno nell’estensione dell’attimo

per poi chiarire in che modo “in questi versi leggiamo molto e tutto di quanto sostanzia questo libro e ne rende la vivezza e la necessità. Ed è l’altrove della parola che s’interroga, che sfida sé stessa nei significanti, e si concede e si nega insieme per un’attesa inesausta di interiore salute, di bramata conoscenza. Non si distinguono luoghi né volti in questo poetare; l’indeterminatezza ne estende la comunanza e la durata. Il tempo si compie per ‘impenetrabili passaggi’ e l’essere si presenta come la sola vera misura dell’esistere.

Così ricorrono nei diversi componimenti, tutti brevi e densi, tutti chiari e inquietanti, sostantivi (compiutezza, trasparenza, riflessione, inerzia) che segnano domande estreme e pretendono risposte. E’ che qui si vuole ‘plasmare parole oltre la materia’, opporsi all’affanno ‘dei limiti in lotta’, rendersi consapevoli anche nella pena e nella discordia, appressarsi all’imponderabile altresì ‘nei vincoli della carne’. Risuonano parole che accompagnano verso un meno angusto tragitto: ‘La mappa del mondo /
sognata da passi / è celata dal viaggio’. E qui vale rammemorare quel che James
Hillman chiama ‘l’anima del mondo’. Chi va così pronunciandosi ha lasciato le
stanze e le voci per risalire agli inizi e chiedersi le ragioni prime, quindi interrogare
e interrogarsi per riconoscersi, finanche nella stupefazione. Quest’anima, non legata
a un nome e a un destino, appartiene a tanti e a tutto: ‘Trascinata nei gorghi’ va,
ancora va, promettendosi ‘un’intesa d’amore’ e scioglie dal silenzio ‘inattese
risposte’. Così vasto e intenso è il suo desiderio di luce e di armonia che pure nella pena più fonda non si sottrae al ritmo della Terra, al canto della vita. Ed è in questa ondulante sapienza la misura raggiunta, il possibile traguardo”.

Abbiamo intervistato la poetessa Raffaella Belli per i lettori di Condi-Visioni. Ci accoglie nella sua bellissima casa romana, tra quadri, libri, due gatti ed un’atmosfera d’altri tempi. Tutto somiglia a lei e lei somiglia a tutto ciò di cui è circondata. Una luce soffusa avvolge tutto e l’accoglienza è calda e serena.

Tutto è armonia e l’autrice di “Tende all’eterno ogni sospensione” ha un sorriso rassicurante che trasmette un infinito senso di pace. La poesia di Raffaella Belli è contorcente, i suoi versi si aggrappano alle viscere del lettore, ogni organo ne è profondamente ed intimamente coinvolto. E’ potenza pura, è urlo, è tenacia, forza, coraggio e conoscendo l’autrice tutto questo sentimento lacerante sembra celato, perché tutto ciò che noi vediamo è un volto rilassato con due occhi carichi di luce e di speranza. E’ rassicurante Raffaella Belli, è pacata, il tono di voce equilibrato e moderato, la sua ironia è
spiazzante, la sua autoironia è brillante, ed è disarmante e sorprendente venire a
conoscenza che quei versi arrivano da una donna così confortante ed incoraggiante.
Dentro di lei un mondo così profondo, intimo, personale raccontato con una potenza
devastante. Non deve essere stato assolutamente impresa semplice per lei, raccontarsi
così ferocemente, per questo forse dovremmo sapere apprezzare ancora di più tutto ciò che accade in questo nuovo libro edito da Edizioni “Il simbolo”.

Belli, ne sono passati di anni da quando la incontrai per prefarle il suo primo libro di versi. Le confesso che sono soddisfatta che abbia potuto, nel corso del tempo, trovare un giusto equilibrio di scrittura.
“Trova? Se così fosse la ringrazio davvero. Però per mia natura sono e resto sempre incerta, soprattutto se si tratta di scrittura, in questo caso, di poesia. Sono e resto assillata da dubbi: è giusto?, non è giusto?, questa poesia rende davvero ciò che intendo riferire? Sa, le confesso che ogni volta che rileggo versi da me scritti, il discutibile mi si presenta con sfrontatezza, lasciandomi incerta se si tratti di versi felici”.
Se così non fosse, non credo che un poeta della statura di Elio Pecora ne avrebbe aperto un dialogo col lettore. So bene come Pecora introduca solo libri di qualità.

“Guardi, sono ancora sorpresa: considerare che un poeta del calibro di Pecora
abbia speso parole significanti per il mio nuovo libro può solo significare che
davvero dovrei accettare il fatto che forse poeta lo sono per davvero. In altri termini:
devo considerare per forza di cose che in me vive anche questa identità”.
Ecco, identità. Questo nostro numero tratta proprio il tema della identità. Lei
come risolve la questione?

“Ah, proprio non saprei. Pero so che si tratta di un termine e un principio filosofico
che genericamente indica l’eguaglianza di un oggetto rispetto a sé stesso; nel mio
caso forse l’oggetto è la poesia stessa. Però in relazione ad altri oggetti l’identità è
tutto ciò che rende un’entità definibile e riconoscibile, perché possiede un insieme di
qualità o di caratteristiche che portano l’essere a divenire un tutt’uno col circostante.
Va anche detto, nel modo in cui ognuno di noi sa bene, che l’identità è anche presa di coscienza della propria individualità corporea, consapevolezza del valore del corpo come una delle espressioni della personalità.

Non è un caso anomalo che recenti ricerche chiariscono in che modo lo sviluppo dell’immagine corporea è il punto di partenza per la costruzione del sé in tutte le sue dimensioni. Infine, come ha affermato il filosofo Remo Bodei in un’intervista dell’Enciclopedia Multimediale
delle Scienze Filosofiche del 1996, il concetto di identità personale designa la
coscienza che un individuo ha del suo permanere lo stesso attraverso il tempo e
attraverso le fratture dell’esperienza. Ma tornando a noi, a me, se vogliamo
tratteggiare una probabile identità poetica, non posso non affermare che, in quanto
poeta, la mia identità è certamente visionaria. Come ogni poeta, anche io immagino
e ritengo vere cose non rispondenti alla realtà, elaborando, con le parole, disegni
inattuabili. Una sognatrice? Forse, anche se generalmente chi viene considerato tale
può essere soggetto a visioni, apparizioni soprannaturali, allucinazioni visive, ma le
assicuro che non è il mio caso. E soffermandomi sul mio nuovo libro di poesia, posso
dirle di essere una persona dotata di immaginazione e di sentimento, racconto il mio
mondo in modo verosimile, lasciando a me stesa la libertà di creazione e invenzione.
O perlomeno è quello che sostiene di me Maurizio Gregorini, editore di questo libro”.
Oh, il Gregorini: quando si tratta dei suoi versi c’è sempre lui di mezzo. Tra
l’altro anni fa avete licenziato una silloge insieme. So che lui stima molto il suo
lavoro. Tra l’altro io sarei una complice: vi feci incontrare anni fa e mai avrei
immaginato una totale empatia del vostro rapporto.

“Trovo Maurizio un uomo amabile. E sì, devo a lui una certa maturazione poetica. Sempre lì a chiedermi se scrivo nuove poesie, a volerle leggere, a consigliarmi su come costruire un libro. Anche nel caso di ‘Tende all’eterno ogni sospensione’ c’è stata la sua fermezza a volerlo editare. Aveva appena aperto la sua casa editrice e, nell’esprimergli la mia contentezza, ha chiesto immediatamente un libro. Ora, lei sa bene che io pubblico raramente, perché proprio nel modo in cui ci siamo detti poco fa, sono e resto esitante. Ma niente, ha voluto gli dessi le tre sezioni che sono parte
del libro e non c’è stato nulla da fare: alla mia incertezza ha avanzato il suo convincimento”.
E non ne è felice?
“Come non esserlo? Se non ci fosse stata la sua determinazione il libro non esisterebbe; forse tiene a questa nuova pubblicazione più di quanto ci tenga io (ride,n.d.i.). Ma è e resta per me un amico fidato, fondamentale. Pensi che a molti tiene sempre a dire che è come fossimo sposati, e in un certo senso è vero: sono certa di esistere poeticamente perché c’è sempre lui a sostenermi, contro ogni logica”.
Ma Gregorini ama la sua poesia…
“Sì, ed è sempre lui a ripetermi che debbo pensare, riflettere, scrivere, in quanto poeta, non in quanto persona comune. Mai incontrato un lettore più convincente di lui. Che dire? E’ evidente che si tratta di un destino che unisce le nostre anime”. Cosa pensa di aver aggiunto alla sua poesia con la nuova opera? “Proprio non saprei. Gregorini mi è solito affermare che, anche se i temi da me proposti sono ricorrenti, si tratta di una poesia affatto superficiale, che per penetrarvi si necessita di una rilettura costante, come si trattasse di un trattato spirituale; almeno a lui accade così. Non a caso ha scelto una incisione ottocentesca giapponese per la grafica e voluto mettere in quarta di copertina questi versi:

‘Soggiogata nell’ardente immortalità/ trascoloro ignara della tenebra./ Interminabili
fiammeggianti guizzi/ dispongono nelle altezze celesti/ la sontuosità d’ineffabili
amori./ Velato nel rigoglio dei fiori/ protetto dai perseveranti cieli,/ il canto della vita
mia/ narra di un giardino di pietre’.

Ma lui mi ama e non fa testo (ride di nuovo,n.d.i.). I motivi ricorrenti nei miei versi, lo ribadisco, sono sempre gli stessi: la luna, il mare, la terra, la flora, l’invisibile percepito nel visibile… in essi sono certa di riscontrare una libera spontaneità per una giocosità della naturale creazione: mi affascina il cosmo, l’energia, la fisica, l’imponderabile. Non spetta a me dire se abbia aggiunto o no qualcosa alle precedenti pubblicazioni; spero solo che chi si
appresta a leggere queste poesie ne gradisca la musicalità o un possibile fascino”.

Ci salutiamo con un caffè e le fusa dei gatti, rimane impressa in noi una immagine molto forte, un sentimento che ha accompagnato l’intera intervista, lo scambio di battute, la visita della casa, per tutto il tempo ci siamo sentiti avvolti e protetti, la poetica di Raffaella Belli e della sua casa ci tiene lontani da un mondo che non capiamo più e che ha perso e vuole farci perdere identità e natura. Per qualche ora siamo stati immuni al resto quasi con la certezza di una possibile salvezza. La poesia è vita e da vita ad ogni cosa, ne comprendiamo appieno la portata, ma la poesia di Raffaella Belli riesce a fare qualcosa di più, ci rende donatori di qualcosa di bello, di sano e di pulito a chi vuole comunicare con noi e vuole comprendere. Ci sono incontri particolarmente felici, questo è sicuramente uno tra quelli che potremo ricordare in un modo diverso. Leggere “Tende all’eterno ogni sospensione” (già il titolo è una poesia), è stato un viaggio lungo e memorabile, comodamente seduti su una poltrona ben imbottita e con un’ottima tappezzeria, eppure non esente da rischi, poiché la poesia, quella vera, ha in sé inevitabilmente il rischio della consapevolezza,
della coscienza e della verità.

Immaginate un’epoca in cui l’apparenza sia tutto, dove ogni dettaglio della vita quotidiana venga curato in modo maniacale per mantenere una facciata perfetta.
Questo era il mondo nella Londra dell’età vittoriana.
Nessuna attenzione a quelli che fossero i problemi personali o i comportamenti certamente poco nobili e poco “morali” dei cittadini, ma tantissima agli abiti che indossavano, alle cure che avevano per il “manico dell’ombrello” e il modo “affettato” del parlare. Una grande rigidità sociale, non solo poi nei costumi, ma anche nella mobilità sociale perché certamente solamente i nobili e i ricchi potevano permettersi il mantenimento di quello “standard” di vita, di spesa. Le famiglie non in grado di “stare al passo” potevano essere emarginate o, per evitarlo o prevenirlo, potevano migrare nel nuovo mondo cercando di “scambiare” nobiltà con ricchezza.

Immaginate i dandy del XIX secolo, che si distinguevano per il loro stile raffinato e la loro vita elegante, per il cilindro teso e brillante, la barba ben curata, immaginatevi su quei dagherrotipi le parole di Oscar Wilde: i suoi aforismi a sottolineare quel mondo “strano”, dove la “corruzione del corpo” andava avanti senza scalfire l’immagine esteriore proprio come ne “il Ritratto di Dorian Grey”.

Immaginato?

Ora scorrete i reel su Instagram o su TikTok: spiagge immacolate, città pittoresche e paesaggi mozzafiato, sorrisi, situazioni buffe, balletti che vedono ragazzi e ragazze che sono diventate “celebrità” secondo quella legge che Andy Warhol aveva enunciato quasi 60 anni fa.
Queste immagini creano l’illusione di una vita perfetta e di destinazioni da sogno. Tuttavia, la realtà è spesso molto diversa.
Quello che non vediamo in quei tramonti, in quegli orizzonti, sono le folle di turisti, il traffico, il rumore, e talvolta persino le condizioni climatiche avverse. I luoghi presentati sui social media sono il risultato di una cura meticolosa della scena, di filtri e di angolazioni studiate per mostrare solo il meglio.
Quello che non vediamo in quei balletti “improvvisati” su una base “virale” di 20 secondi, sono le prove, le coreografie provate fin nel dettaglio più insignificante.

Molti sentono l’impulso di visitare gli stessi luoghi, sperando di replicare le esperienze viste online. Tuttavia, quando arrivano, spesso trovano una realtà che non corrisponde alle loro aspettative. Questo disallineamento tra realtà e rappresentazione può portare a delusioni e a una continua ricerca di quel momento perfetto che esiste solo nelle foto filtrate, solo nei balletti di TikTok provati e riprovati minuziosamente.

Così come quelle gonne ampissime e gli abiti pieni di merletti come una cattedrale barocca era piena di stucchi, i sorrisi sono il frutto di un nuovo Dandismo dove, anziché salotti e giardini ben curati, il palcoscenico è il mondo digitale e i social network. Scenari dove la realtà viene rappresentata in modo spesso distorto.

Prima di avviarci verso una spiaggia deserta, prima di pensare di calpestare una sabbia bianchissima o di fare tuffi in acque cristalline, pensiamo a dove vorremmo davvero essere, a cosa vorremmo davvero, per spezzare questa catena di illusioni perfette.

La bellezza risiede anche nelle imperfezioni perché ogni esperienza, reale e non filtrata, ha il suo valore unico.

Buone vacanze a tutti.

Ah…..scattate foto bellissime!

L’accordo raggiunto dopo estenuanti trattative nel Trilogo tra Parlamento, Consiglio e Commission, noto come AI Act, rappresenta una svolta epocale nella storia delle tecnologie emergenti.

Con prossimo Regolamento, pubblicato non prima della primavera 2024, l’Unione Europea si posiziona non solo come un leader normativo globale, ma anche come un pioniere nell’intrecciare etica e legge nell’ambito dell’intelligenza artificiale.

L’impatto di questa legislazione è vasto, impattando l’intelligenza artificiale la società a più livelli, influenzando l’economia nascente del settore e rafforzando i diritti umani fondamentali in un’era dominata sempre più dalla tecnologia.

Non mancano le voci critiche sulle scelte annunciate dall’Unione definite da alcuni eccessivamente allarmistiche, paternalistiche e scollegate rispetto ad un mercato ancora agli albori.

Va ricordato però che anche negli USA, paese leader nel settore della IA Generativa (Chat GPT di Open AI, Bard e Gemini di Google solo per citare i chatbot più noti) almeno 25 Stati nel 2023 hanno preso in considerazione una legislazione specifica e 15 hanno emanato leggi o risoluzioni, mentre il Presidente Biden ha firmato il 30 ottobre un Executive Order che fissa standard di protezione della sicurezza e della privacy.

Anche in Cina la Cyberspace Administration of China ha fissato linee guida sulla intelligenza artificiale generativa che impongono una disciplina specifica dei contenuti in chiave di salvaguardia dell’ordine pubblico.

Secondo PwC l’I.A. apporterà un contributo all’economia globale di 15.7 trilioni di dollari di cui, 6,6 trilioni di dollari deriveranno probabilmente dall’aumento della produttività e 9,1 trilioni di dollari nei da effetti collaterali sui consumi che saranno rivoluzionati in praticamente tutti i mercati insieme alla logistica.

Le applicazioni di Intelligenza artificiale generativa ( qualsiasi tipo di intelligenza artificiale in grado di creare, in risposta a specifiche richieste, diversi tipi di contenuti come testi, audio, immagini, video) sono in continuo aumento generando condivisibili ansie in tutti i settori in cui l’impatto sulla occupazione è considerato rilevante quanto inevitabile.

Principali tools di IA generativa by Sequoia al 17 ottobre 2022

La regolazione europea: principi fondamentali

Schematizzando i contenuti dell’accordo raggiunto dai tre legislatori UE ecco gli elementi salienti del prossimo Regolamento.

Protezione dei diritti civili

Il cuore dell’AI Act europeo è focalizzato sulla protezione dei cittadini contro i rischi potenziali delle nuove applicazioni.

La norma fisserà una serie di divieti mirati a salvaguardare la privacy e prevenire abusi possibili ai danni dei cittadino, fra cui:

  • sistemi di categorizzazione biometrica che utilizzano caratteristiche sensibili (es. convinzioni politiche, religiose, filosofiche, orientamento sessuale, razza);
  • raccolta non mirata di immagini facciali da Internet o filmati CCTV (TV a circuito chiuso) per creare database di riconoscimento facciale;
  • riconoscimento delle emozioni sul posto di lavoro e nelle istituzioni educative;
    punteggio sociale basato sul comportamento sociale o sulle caratteristiche personali;
  • sistemi di intelligenza artificiale che manipolano il comportamento umano per aggirare il loro libero arbitrio;
  • ogni applicazione in cui l’intelligenza artificiale viene utilizzata per sfruttare le vulnerabilità delle persone (a causa della loro età, disabilità, situazione sociale o economica).

Le eccezioni per le forze dell’ordine
Nonostante le restrizioni generali, la norma in fieri concede specifiche eccezioni per le forze dell’ordine, bilanciando le esigenze di sicurezza pubblica con la tutela dei diritti individuali che includono l’uso controllato di sistemi di identificazione biometrica in contesti dove la sicurezza pubblica potrebbe essere in gioco, come la ricerca di sospetti di gravi reati. L’obiettivo è prevenire l’abuso di tecnologie potenzialmente invasive come ad esempio l’identificazione generalizzata dei partecipanti ad una manifestazione politica, sindacale ecc.

Dettagli sugli obblighi per i sistemi ad alto rischio
L’AI Act classifica alcuni sistemi di intelligenza artificiale come “ad alto rischio” ovvero quando risultano capaci di incidere in modo sensibile sulla salute e sui diritti fondamentali delle persone fisiche.e impone loro requisiti rigorosi per garantire la sicurezza e la conformità etica. Questi sistemi includono quelli impiegati in settori critici come la sanità, il trasporto, l’energia, dove un malfunzionamento o un abuso potrebbe avere conseguenze gravi. Il regolamento richiede che questi sistemi siano trasparenti, affidabili e soggetti a valutazioni d’impatto periodiche.

Implicazioni per i sistemi di I.A. generali
Per i sistemi di I.A. di uso generale, si applicheranno norme di trasparenza e obblighi di documentazione tecnica. Una cautela è particolarmente importante per i sistemi che, pur non essendo classificati come ad alto rischio, hanno comunque il potenziale di influenzare significativamente la vita quotidiana delle persone. Le norme si spera garantiranno che gli utenti comprendano come e perché determinate decisioni vengono prese dai sistemi di I.A., promuovendo una maggiore fiducia nell’uso della tecnologia.

Promozione dell’innovazione e supporto alle PMI
Un aspetto fondamentale dell’AI Act è il suo impegno per promuovere l’innovazione e supportare le piccole e medie imprese ma anche gli alti costi di implementazione. Solo l’addestramento e la formazione di ChatGPT-4 è costata 100 milioni di dollari. Commissione, Consiglio e Parlamento UE hanno concordato l’introduzione di “sandbox regolatori” spazi liberi per stimolare lo sviluppo tecnologici . Tali ambienti controllati permettono alle aziende di sperimentare e affinare le soluzioni di I.A. prima del lancio sul mercato, riducendo così gli ostacoli alla crescita e alla competitività.

Sanzioni
L’AI Act non solo stabilisce linee guida, ma prevede anche sanzioni rigorose per la non conformità, che possono arrivare fino a 35 milioni di euro o al 7% del fatturato globale dell’azienda. Queste misure dimostrano la serietà con cui l’UE intende far rispettare le nuove normative, sottolineando l’importanza di un uso responsabile dell’IA.

Impatto e crescita dell’Intelligenza Artificiale in Italia

La diffusione e l’importanza dell’intelligenza artificiale in Italia sono messe in luce da dati recenti forniti dall’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano. Questi dati rivelano che il mercato dell’Artificial Intelligence nel nostro paese vale attualmente 380 milioni di euro, registrando un impressionante aumento del 27% rispetto all’anno precedente.

Un terzo degli investimenti per progetti di Intelligent Data Processing, il 28% NLP e Chatbot, il 19% Recommendation System, il 10% Computer Vision, il 9% Intelligent RPA

Oltre 6 grandi imprese su 10 hanno già avviato almeno un progetto di AI, tra le PMI il 15%

Il 93% degli italiani conosce l’AI, il 58% la considera molto presente nella vita quotidiana e il 37% nella vita lavorativa. 

Il 73% degli utenti ha timori per l’impatto sul lavoro

Nonostante questa rapida espansione, emerge una discrepanza nella percezione pubblica dell’IA: sebbene il 95% delle persone sia a conoscenza dell’esistenza dell’IA, solo il 60% è in grado di riconoscerne le funzioni in prodotti e servizi concreti. Questo sottolinea la necessità di una maggiore consapevolezza e comprensione dell’I.A. tra il pubblico italiano come confermato uno studio di Goldman Sachs secondo cui abbiamo il tasso più basso di ricerca dei principali tool di I.A. sul web in tutta Europa.

L’influenza occulta della I.A. nel marketing il vero rischio per i consumatori
Nell’era digitale, il marketing assistito dall’intelligenza artificiale sta diventando sempre più raffinato e pervasivo.

In Italia il 19% del mercato della I.A. è legato ad applicazioni basate su algoritmi che suggeriscono ai clienti contenuti in linea con le singole preferenze (Recommendation System).

Se da un lato l’intelligenza artificiale offre benefici in termini di personalizzazione dell’offerta e efficienza nella customer care, dall’altro nasconde rischi significativi per i consumatori.

McKinsey Applicazioni dell’AI marketing nel ciclo di vita del cliente – Smart Insights, 2021

Uno studio di McKinsey ha messo in evidenza con accuratezza e precisione come l’intelligenza artificiale può incidere un tutto il ciclo di vita commerciale del cliente dalla creazione dei contenuti per generare la domanda all’analisi predittiva dei bisogni e più ancora a strumenti molto discussi come il dynamic pricing e persino al customer service predittivo.

L’utilizzo spregiudicato della I.A. nel marketing può tuttavia portare a manipolazioni, invasione della privacy e amplificazione di pregiudizi chiaramente in contrasto con le garanzie e tutele previste dagli ordinamenti dell’UE e nazionali.

Manipolazione comportamentale

La I.A. può analizzare enormi quantità di dati per creare profili utente dettagliati, permettendo ai marketer di indirizzare messaggi pubblicitari in modo estremamente personalizzato. Questo può sfociare in tecniche di manipolazione che sfruttano le vulnerabilità psicologiche degli individui, influenzando le loro decisioni di acquisto in modi che possono non essere nel lorointeresse ovvero decisioni commerciali che non avrebbero assunto con la dovuta consapevolezza in contrasto con il Codice del Consumo.

Invasione della Privacy

Il marketing basato sull’I.A. richiede l’accesso a dati personali spesso sensibili. La raccolta e l’analisi massiva di questi dati, senza il consenso esplicito e informato dell’utente, rappresentano una grave violazione della privacy. Inoltre, l’accumulo di dati può aumentare il rischio di fughe di informazioni e abusi.

Amplificazione di pregiudizi e discriminazioni

L’I.A. è priva di pregiudizi sono se lo sono anche i dati su cui è addestrata. Se i contenuti appresi riflettono pregiudizi esistenti, il programma può involontariamente perpetuarli e amplificarli Nel contesto del marketing, ciò può tradursi in discriminazioni basate su età, genere, etnia o altre caratteristiche personali, con campagne mirate che rinforzano stereotipi e disuguaglianze.

Conclusioni: la necessità di una regolamentazione responsabile nell’interesse di cittadini e imprese

Alla luce di questa breve disamina, diventa essenziale che l’impatto sulla vita dei cittadini dell’I.A. sia sottoposto a una regolamentazione attenta e responsabile, in linea con i principi dell’AI Act e le altre fonti dei diritti fondamentali.

La tutela dei cittadini, anche nella veste di consumatori, deve essere una priorità, garantendo un marketing trasparente, etico, che non invada la privacy o manipoli le persone profilandole illegalmente e inducendole a scelte di ogni tipo in contrasto con il proprio interesse e quella delle loro comunità.

L’AI Act dovrà ricevere l’approvazione formale del Parlamento europeo e del Consiglio, per entrare quindi in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.

La legge sull’IA diventerà applicabile due anni dopo la sua entrata in vigore, fatta eccezione per alcune disposizioni specifiche: i divieti si applicheranno già dopo 6 mesi, mentre le norme sull’IA per finalità generali si applicheranno dopo 12 mesi.

Per il periodo transitorio che precederà l’applicazione generale del regolamento, la Commissione ha deciso di lanciare il Patto sull’IA, rivolto a sviluppatori di I.A. europei e del resto del mondo, che si impegneranno a titolo volontario ad attuare gli obblighi fondamentali della legge sull’IA prima dei termini di legge.

Il testo del futuro Regolamento UE e la sua attuazione richiederanno certamente ulteriori approfondimenti, specifiche tecniche più dettagliate e chiarimenti su chi debba vigilare, contemperando il sempre difficile equilibrio tra regolazione e libertà di iniziativa economica in un settore in cui USA, Cina e Regno Unito sono leader mondiali con solo due Paesi della UE ovvero Francia e Germania ben distanziati in termini di investimenti e startup.

Il Cinema è la “Settima Arte” ed è quella che più delle altre usa l’Apparenza come sistema di comunicazione con il proprio pubblico. Certo anche i giochi dei bambini a volte iniziano con un “Facciamo finta che…”, e nel Teatro l’attore con il volto truccato pesantemente può essere l’Otello di Shakespeare o un samurai nel teatro kabuki, ma si svolge in uno spazio definito. Il Cinema riesce infatti ad unire “l’estensione dello spazio e la dimensione del tempo” (come scrisse Canudo nel 1921, nel manifesto “La nascita della settima arte”).

Così ho pensato di fare un elenco di 10 film che hanno proprio “L’Apparenza” come tema centrale.

  1. American Beauty (1999) – Le vite apparentemente perfette di una famiglia suburbana e le realtà nascoste dietro la facciata.
  2. The Great Gatsby (2013) – Dal romanzo di F. Scott Fitzgerald, si mette in luce la vita lussuosa e le illusioni del protagonista Jay Gatsby.
  3. Gone Girl (2014) – Le apparenze, le illusioni (e le menzogne) che ruotano attorno alla scomparsa di Amy Dunne.
  4. The Truman Show (1998) – La vita di Truman Burbank è semplicemente perfetta…finché non scopre che in realtà è un reality show orchestrato.
  5. Black Swan (2010) – Il film segue la discesa nella follia di una ballerina, esplorando la dualità e le apparenze nel mondo della danza.
  6. Shutter Island (2010) – Un thriller psicologico che esplora la percezione della realtà e le apparenze ingannevoli in un ospedale psichiatrico.
  7. The Talented Mr. Ripley (1999) – Il film segue un uomo che assume diverse identità per vivere una vita di lusso, esplorando l’inganno e la manipolazione.
  8. The Stepford Wives (2004) – Una commedia nera (di Frank Oz) che racconta di un gruppo di donne che sembrano perfette ma nascondono un oscuro segreto.
  9. The Prestige (2006) – La rivalità tra due maghi e le apparenze ingannevoli delle loro illusioni, raccontato con la maestria di Christopher Nolan.
  10. Fight Club (1999) – Un film che mette in discussione l’identità e l’apparenza, rivelando la vera natura dei personaggi principali. Da seguire fino alla fine, assolutamente.

Ma nel Cinema dedicato all’Apparenza, non può assolutamente mancare il mio film preferito:

Vertigo (1958) – Un thriller psicologico di Alfred Hitchcock che esplora l’inganno e le apparenze attraverso il personaggio di Scottie e la sua ossessione per una donna.

In quest’estate calda e torrida, proponiamo questa bella poesia di Umberto Saba, “Meriggio d’estate”, tratta dalla sua opera Il Canzoniere (1921), che ci richiama alla natura, alla pace e all’armonia ma, al contempo, ci riporta alle gravi problematiche dei cambiamenti climatici in corso.

Silenzio! Hanno chiuso le verdi
persiane delle case.
Non vogliono essere invase.
Troppe le fiamme
della tua gloria, o sole!
Bisbigliano appena
gli uccelli, poi tacciono, vinti
dal sonno. Sembrano estinti
gli uomini, tanto è ora pace
e silenzio… Quand’ecco da tutti
gli alberi un suono s’accorda,
un sibilo lungo che assorda,
che solo è così: le cicale.

Niente è come sembra, niente è come appare, perché niente è reale, così recita una famosa canzone di Franco Battiato. Cosa sia la realtà è un problema, forse il più antico, su cui i filosofi, tra realisti e anti-realisti, si arrovellano da oltre 2.500 anni. 

Sicuramente, dopo le rivoluzioni scientifiche del Seicento è prevalsa la visione scientista che ha portato ad una visione del mondo calcolante ed utilitaristica che vede l’uomo signore e padrone del mondo e la natura come un grande fondo da sfruttare. 

Qua nessuno è antiscientista e si riconoscono i grandi benefici apportati dalla ricerca scientifica all’umanità. Il problema è che non possiamo vedere il mondo solo con questa lente, quella dello sguardo scientifico. L’essere si dice in molti modi, la realtà non è unitaria e non si può pretendere di spiegarla nel solo modo scientifico.

Mi è capitato recentemente di imbattermi su un testo che parla della “brocca” (La questione della brocca, a cura di Andrea Pinotti. Mimesis, Milano 2007) che contiene saggi di diversi filosofi su questo oggetto. E’ interessante vedere come un normale oggetto quotidiano, il cui uso diamo per scontato, possa in realtà avere una sua “verita’” al di là della correttezza offerta dalla scienza fisica di un contenitore di liquidi, un sua “cosalità” che, oltre a un senso estetico può richiamare il suo apparire come portatrice di un dono. A riguardo, Heidegger, con un pensiero poetante, ci parla addirittura della “quadratura” che nel dono da versare o offrire, unisce cielo e terra, mortali e divini. 

Insomma, si possono guardare le cose in un altro modo e il mondo può essere visto con occhi diversi.

Questo ci porta direttamente al tema dell’apparenza che è la percezione sensibile di un fenomeno nella sua contrapposizione a una realtà e presunta verità. Ovviamente la nostra esperienza ci dice che c’è una realtà fuori di noi, di cui ovviamente siamo parte, ma autoevidente alla nostra coscienza, che è il mondo della vita quotidiana. Questo mondo, che ci è dato, secondo la tesi dei sociologi Berger e Luckmann, è costruito socialmente, frutto della cultura: la realtà come costruzione sociale.

Ovviamente con l’accelerazione della tecnica e l’avvento dei social network, questa costruzione sociale si è ulteriormente artificializzata e resa ancor più manipolabile, basandosi su processi di auto-socializzazione sempre più individualizzanti ed anomici, con una situazione che è sotto gli occhi di tutti. 

Anche le relazioni sono diventate virtuali e apparenti. Proprio l’altro giorno una persona si lamentava del fatto che il suo vicino di casa non gli avesse dato l’”amicizia” su Facebook, come se il “mezzo” o, meglio l’apparenza, fosse più importante della relazione quotidiana di chi ti vive nella porta accanto. Il che è emblematico della situazione che stiamo vivendo: ormai l’apparenza vale più della sostanza. Anche in Politica, la rappresentazione ha sostituito la rappresentanza.

Siamo oltre il problema filosofico, siamo alla mistificazione e alla mercé di chi vuole governare il consenso e, di chi è sottomesso, affidandosi o facendosi assorbire da queste false sirene. 

Per non parlare degli scenari che si aprono con l’Intelligenza Artificiale dove l’irrealtà rischia di diventare la realtà. Ci sarebbe così la chiusura del cerchio e la domanda sulla realtà diventa inutile.

Come per la brocca, c’è necessità di uno sguardo diverso, non dando per scontata la realtà che ci circonda ed avvolge. 

Insomma, problematizzare la quotidianità e superare l’ovvio con fantasia e senso critico, esattamente quello che ci siamo posti con Condi-visioni, che non a caso richiama i due termini di “condivisione” e “visioni”, uno sguardo plurale e critico sulla realtà che vorrebbe dare un seppur piccolo contributo alla riflessione.Chiudo sempre con Battiato, augurandovi una buona estate, On a solitary beach, magari in compagnia di un brocca con una buona e fresca bevanda di acqua, limone e menta, dissentante e disintossicante dalle apparenze della vita quotidiana  (probabilmente la reminescenza irriflessa a cui ho ceduto, di un vecchio slogan pubblicitario che recitava contro il logorio della vita moderna…).

Poniamo il caso che una mattina al risveglio, guardandovi allo specchio come tutte le altre mattine scopriste che il naso, quello che avete sempre pensato fosse perfettamente dritto, in realtà sia storto.
E no, non è uno scherzo del vostro specchio.
Questo potrebbe essere l’inizio di un’avventura surreale nel mondo delle apparenze, esattamente come accadde a Vitangelo Moscarda. Non che sia un cambiamento enorme come quello accaduto a Gregor Samsa di Kafka, che si risvegliò tramutato in scarafaggio, ma è una storia che vale la pena raccontare.
Vitangelo, affettuosamente detto Gengè, è il protagonista di “Uno, nessuno e centomila” di Luigi Pirandello.
Gengè vive una vita tranquilla finché un giorno sua moglie gli fa notare che il suo naso pende leggermente a destra. Questo piccolo commento innesca una crisi esistenziale. Gengè si rende conto che la percezione che ha di sé non corrisponde a quella degli altri. Se il suo naso, un elemento così evidente del suo volto, appare diverso agli occhi altrui, cos’altro potrebbe essere differente?

Bella domanda!

Gengè si rende conto di essere “uno” nella sua mente, “nessuno” perché la sua identità vera sfugge persino a lui, e “centomila” perché esiste in centomila modi diversi agli occhi di chi lo conosce. Ogni persona vede in lui una versione diversa, influenzata dalle proprie esperienze, pregiudizi e aspettative.

In effetti…quante volte vi siete trovati a comportarvi in modo diverso in base a chi avevate davanti? Con gli amici siamo spensierati e forse un po’ pazzi, al lavoro professionali e misurati, con la famiglia affettuosi e comprensivi. Questi “ruoli” che assumiamo sono come maschere che indossiamo per adattarci alle situazioni e alle aspettative altrui.

Nel mondo moderno, l’apparenza ha trovato poi un palcoscenico grandioso nei social media. Instagram, Facebook, o TikTok sono piattaforme dove condividiamo istanti perfettamente curati della nostra vita. Queste immagini e video, spesso filtrati e modificati, creano una versione idealizzata di noi stessi. È un po’ come se ciascuno di noi fosse il protagonista di una propria rappresentazione pirandelliana, in cui mostrare il lato migliore (o più divertente, o più drammatico).

Ma quanto ci avviciniamo alla nostra vera essenza quando siamo così presi nel costruire queste apparenze?
Vitangelo Moscarda, nel suo viaggio di scoperta, cerca disperatamente di liberarsi dalle immagini che gli altri hanno di lui. Vuole trovare il “vero” Gengè, nascosto sotto strati di percezioni e aspettative.
Un lavoro immane, ma forse può essere sufficiente essere consapevoli delle nostre “maschere” per cercare di capire chi siamo veramente, al di là di come gli altri ci vedono.

Con l’esplosione dei mass media, e ancor più con i social networks ci ritroviamo a riflettere sulla questione dell’apparenza, su come la comunicazione venga strumentalizzata, le immagini ci mostrino realtà patinate, edulcorate o crude, ma sempre rappresentazioni parziali dell’intero, che formano un pensiero, un concetto, che a sua volta forma quello che siamo e come percepiamo e come ci rapportiamo a ciò che ci circonda. Questioni molto attuali viene da pensare, beh ma erano attuali, in un certo senso, anche nel V secolo a.C. per un signore di nome Platone, che nel libro VII della “Repubblica” ci introduce al Mito della Caverna, una potente allegoria sulla condizione umana e la conoscenza, ma anche di come l’apparenza delle cose a volte possa allontanarci da questa.

Platone descrive alcuni prigionieri incatenati fin dalla nascita in una caverna, costretti a guardare solo le ombre degli oggetti che si trovano alle loro spalle, ombre proiettate da un fuoco sulla parete che hanno difronte. Gli schiavi conoscono le ombre come unica realtà, perché non hanno mai potuto vedere gli oggetti che le generano. Un giorno, uno dei prigionieri riesce a liberarsi, scopre la fonte delle ombre e scappa via dalla caverna. Inizialmente è accecato dalla luce, ma gradualmente si abitua e realizza che il mondo esterno è molto più complesso rispetto alle ombre e così cambia anche la sua percezione del reale. Torna nella caverna per liberare gli altri, ma viene deriso, osteggiato, e infine ucciso, poiché gli altri prigionieri non riescono a cogliere una realtà diversa da quella delle ombre, né sentono il dovere di affrontare le difficoltà descritte per vedere la realtà nella sua interezza. Le ombre sono la loro realtà.

Il mito illustra il percorso dall’ignoranza alla conoscenza e la difficoltà di accettare nuove verità. Platone usa questa allegoria per spiegare la teoria delle idee e la distinzione tra il mondo sensibile e il mondo delle forme intelligibili.

Egli, dunque, ritiene che le apparenze (doxa) siano ingannevoli e che mascherino la vera natura delle Idee. Secondo lui, ciò che vediamo nel mondo sensibile è solo un’ombra della realtà perfetta e immutabile delle Idee a cui dovremmo tendere. Ma ve lo immaginate il suo disappunto difronte alle fake news o alle manipolazioni delle immagini o delle notizie? Forse, se il suo pensiero si fosse mai spinto fino ai giorni nostri, questo pensiero ci avrebbe voluti un po’ meno schiavi e un po’ meno ancorati alle mere proiezioni. E invece, mio caro Platone, siamo ancora nella caverna, però la caverna ora è ben arredata, abbiamo tanti magnifici schermi in cui creiamo volutamente delle ombre, ombre in 4k, ombre con risoluzioni magnifiche e alle quali associamo hashtag. Potremmo dire che c’è poco da opporsi alla natura umana.

Concordiamo tutti che l’apparenza gioca un ruolo cruciale nella comunicazione, influenzando percezioni, giudizi e interazioni. Naturalmente sono diversi i filosofi e i teorici che si sono spesi per affrontare il tema dell’apparenza e del giudizio. Un grande fil rouge interpretato a seconda della sensibilità intellettuale di ognuno.

Immanuel Kant ci parla di Fenomeni e Noumeni, distinguendo tra il mondo fenomenico (ciò che appare ai nostri sensi) e il mondo noumenico (la realtà in sé, che non può essere conosciuta direttamente). Le nostre percezioni sono mediate dalle categorie della mente umana. Questo ci introduce molto bene il mito del Velo di Maya di Schopenhauer: la realtà che percepiamo è solo una rappresentazione, il velo nasconde ai nostri occhi la vera essenza del mondo, ovvero l’apparenza che ci inganna, mascherando la verità.

L’ esistenzialista Sartre enfatizza la libertà individuale e l’autenticità. L’apparenza può essere una scelta consapevole, ma può anche portare a una “cattiva fede” (mauvaise foi) quando gli individui si nascondono dietro ruoli sociali e maschere e, parlando di maschere non possiamo non nominare Erving Goffman e la sua Prospettiva Drammaturgica. Goffman, sociologo canadese, analizzò la vita sociale attraverso la metafora del teatro. Nella sua opera “La vita quotidiana come rappresentazione” (1959), descrive come gli individui mettano in scena ruoli per gestire le impressioni altrui. Goffman sottolinea che la comunicazione si svolge sempre in un contesto fisico, sociale e culturale specifico. La comprensione della comunicazione richiede di considerare sia il microcontesto (la specifica situazione di interazione) sia il macrocontesto (il contesto più ampio e pluridimensionale). Goffman distingue tra “ribalta” (dove è presente un pubblico) e “retroscena” (luogo privato senza pubblico). Con le tecnologie moderne, la comunicazione può essere asincrona e despazializzata. L’atteggiamento dei partecipanti (favorevole, ostile, neutrale) e l’aspetto fisico possono influenzare la comunicazione. La struttura status-ruoli della società influenza le relazioni comunicative. Ogni individuo proietta una definizione della situazione. La comunicazione intra- e interculturale è influenzata dalle diverse culture e contesti di background.

Goffman sostiene che l’identità è composta da più strati e si forma continuamente nelle interazioni con gli altri. Gli individui presentano se stessi attraverso tre modalità principali:

Facciata personale: equipaggiamento espressivo, come l’abbigliamento e i tratti stabili (sesso, età, etnia).

Simboli di status: emblemi dello status sociale o professionale.

Ambientazione: lo scenario in cui avviene la comunicazione.

L’identità può essere confermata, rifiutata o disconfermata dagli altri, e il consolidamento dell’identità personale richiede la presenza di una struttura di plausibilità o consenso. Ma come viene guidato il giudizio degli altri? La psicologia e le scienze sociali ce lo spigano attraverso i bias cognitivi.

L’effetto alone (Halo effect) è un bias cognitivo in cui una caratteristica positiva di una persona (ad esempio, l’aspetto fisico) influisce positivamente su altre percezioni, come l’intelligenza o la competenza. Questo effetto può portare a giudizi superficiali e inaccurati.

L’ Effetto Pigmalione, collegato all’effetto alone, si riferisce al fenomeno per cui le aspettative di una persona influenzano le sue performance. Ad esempio, se un insegnante crede che un alunno sia particolarmente intelligente, è più probabile che quest’ultimo performi meglio.

I bias cognitivi sono scorciatoie mentali che il cervello utilizza per prendere decisioni rapide, questo può portare a errori di giudizio e interpretazione. Alcuni dei principali bias includono:

– Conferma: Tendiamo a cercare informazioni che confermano le nostre preesistenti convinzioni.

– Disponibilità: Valutiamo la probabilità di eventi in base alla facilità con cui possiamo ricordare esempi di tali eventi.

– Ancoraggio: Ci affidiamo troppo alla prima informazione ricevuta (l’ancora) quando prendiamo decisioni.

Il giudizio sugli altri, basato sull’apparenza, è profondamente influenzato dai bias cognitivi e dalle modalità di presentazione del sé. Goffman e altri filosofi ci offrono strumenti per comprendere come le apparenze e i contesti sociali influenzino le nostre interazioni. Riconoscere l’influenza dei bias cognitivi può aiutarci a migliorare la nostra capacità di giudizio e a sviluppare una comprensione più profonda e autentica degli altri.

Ad ognuno la sua scelta: se restare fermi ad osservare le ombre, dando loro il senso del tutto o se esporre i nostri occhi al dolore accecante e necessario per mettere a fuoco le figure che generano quelle ombre.

Per affrontare il concetto dell’insolito, ecco un elenco di 10 film che hanno questo come tema centrale: il confine, a volte labile, tra realtà e sogno, tra realtà e immaginazione (o delirio).

Donnie Darko” – Un film psicologico che mescola elementi di fantascienza e mistero, seguendo le vicende di un giovane problematico che entra in contatto con un coniglio gigante che lo informa della prossima “fine del mondo”.

Mulholland Drive” – Una trama intricata e surreale che segue le vite intrecciate di diverse persone a Los Angeles. David Lynch esplora i temi di identità, di sogno e realtà nel “patinato” mondo di Hollywood

Eyes Wide Shut” – Un dramma erotico diretto da Stanley Kubrick che segue un medico, interpretato da Tom Cruise, che si immerge in un mondo segreto e oscuro dopo aver scoperto i desideri sessuali della moglie.

Being John Malkovich” – Una commedia surreale che segue un pupazzo burattino scoperto da un impiegato di ufficio che permette alle persone di entrare nella mente dell’attore John Malkovich per quindici minuti alla volta.

Inception” – Un racconto di fantascienza diretto da Christopher Nolan che esplora il concetto delle intrusioni nei sogni umani per influenzare le decisioni delle persone nel mondo reale. Sottolineo la grande interpretazione fatta da Leonardo di Caprio.

La Città Incantata” (Spirited Away) – Il genio del maestro Miyazaki ha realizzato questo viaggio onirico fatto da una giovane ragazza intrappolata in un mondo misterioso e magico abitato da spiriti e creature straordinarie.

Il Sesto Senso” (The Sixth Sense) – Un thriller psicologico diretto da Shyamalan, che ci permette di seguire un bambino che afferma di poter vedere e comunicare con i morti, seguito da uno psicologo, interpretato magistralmente da Bruce Willis.

Donnie Brasco” – Un film basato sulla vera storia di un agente dell’FBI infiltrato nella mafia. Di insolito (oltre al lavoro dell’infiltrato, ovviamente) c’è il legame che si sviluppa con uno dei criminali sui quali sta indagando.

The Lobster” – Una commedia nera surreale che presenta una società in cui le persone single vengono trasformate in animali se non riescono a trovare un partner entro un certo periodo di tempo.

Her” – Un film di fantascienza romantico che segue un uomo solitario che si innamora di un sistema operativo dotato di intelligenza artificiale, portando alla luce domande su amore, solitudine e connessione umana.

Ma voglio anche aggiungere, come undicesimo suggerimento, un film che ha più di 80 anni.
Vogliamo Vivere!” (il titolo originale è “To Be or Not to Be”…e guardando il film si capirà il non-sense del titolo italiano) è un’opera di Lubitsch, realizzato nel 1942. E il film è ambientato proprio in quell’anno.
Cosa ci fa Hitler a Varsavia, proprio nella Polonia martoriata dalle truppe tedesche, durante l’occupazione nazista, così a passeggiare da solo per le strade della città?

Sebbene il titolo faccia pensare ad un film sulla resistenza polacca e l’inizio faccia pensare ad un film di guerra, si tratta di una commedia molto simpatica e godibile. Perché – e questo è il tema insolito – anche durante uno dei momenti più cupi della Seconda Guerra Mondiale, che è uno dei momenti bui della storia umana, si può realizzare un racconto, che mescola la satira con il dramma della guerra.

Sì, così con due “z”.
Così Trilussa intitolò un sonetto con il quale raccontava l’elezione del 1912.
Roma all’epoca era tutta un’altra cosa, era stata “invasa” dai Piemontesi. Erano lontani i bombardamenti e le atrocità della Prima Guerra Mondiale ma si sentivano ancora gli echi della Breccia di Porta Pia: il Papa era chiuso nelle mura del Vaticano e si viveva in una situazione dove il riconoscimento era unilaterale, quello che, “umanamente”, potremmo definire rancoroso.
Non a caso utilizzo l’aggettivo “invasa” per Roma, perché anche per i romani più liberali e progressisti, la nuova Intellighenzia risultava essere quasi aliena, completamente “di importazione”.
Per dare un riferimento, solo l’anno prima fu inaugurato il Monumento a Vittorio Emanuele II, quello che ora chiamiamo il Vittoriano o l’Altare della Patria, per commemorare i 50 anni dell’Unità d’Italia che era – appunto – un corpo estraneo nella normale struttura urbanistica romana. Per completezza, una seconda inaugurazione si ebbe poi nel 1935 a conclusione di altri lavori che avevano demolito un intero quartiere e messo in luce altri reperti storici per realizzare Viale dell’Impero (ora Viale dei Fori Imperiali).

Nel 1912, dicevo, si svolsero le elezioni politiche e questa è la poesia che Trilussa, con il suo tono tagliente e sarcastico, dedica a quel momento.

Pubblico il sonetto perché fra pochi giorni, l’8 e il 9 Giugno, si svolgeranno le elezioni europee.
  

Trilussa_15

L’Elezzione
 
Se nun pagava sprofumatamente
te pensi che votava quarchiduno?
Nu’ j’è tornato conto a fa’ er tribbuno,
povero amico! Adesso se la sente!
E spenni e spanni, nu’ lo sa nessuno
li voti ch’ha comprato! Solamente
quelli der Commitato Indipendente
je so’ costati trenta lire l’uno!
Fra pranzi, sbruffi e spese elettorali,
c’è Pietro lo strozzino che cià in mano
quarantamila lire de cambiali!
Un’antra de ‘ste sbiosse, bona notte!
La volontà der popolo sovrano
je costa cara quanto una coccotte!

“GUARDA L’AMORE CHE FA” e’ il titolo del nuovo evento organizzato in memoria del cantautore romano Enrico Boccadoro, scomparso nel Novembre del 2017, che si terra’ il 9 Giugno alle ore 21.00 presso il Teatro degli Eroi di Roma.

L’incasso servirà per supportare, tramite un app che si chiama SM-APP , le condizioni di vita delle persone affette da Sclerosi Multipla. Il tutto in collaborazione con il Policlinico Umberto I di Roma.

Sul palco si alterneranno artisti del mondo della musica e dello spettacolo , diretti dal regista Pier Luigi Nicoletti.

Il coordinamento dell’evento sarà a cura di Paola Nicoletti, Loredana Caracausi e Fabio Forlano.

La conduzione della serata sarà invece affidata al comico/presentatore Stefano Masciarelli . Ecco di seguito gli ospiti della serata: Francesca Alotta, Nadia Natali, Maria Corso, Franco Fasano, Davide Mottola, Alex di Luca, Valentino Prato e Fabrizio Gaetani.

La fase dello specchio è un concetto centrale nella teoria psicoanalitica di Jacques Lacan, che offre una visione unica e provocatoria sull’origine e lo sviluppo dell’identità individuale. Secondo Lacan, la fase dello specchio è un momento cruciale nella formazione della coscienza e dell’immagine di sé, che si verifica nei primi mesi di vita di un bambino.

Durante questa fase, il bambino si trova di fronte a uno specchio e osserva la sua immagine riflessa. Lacan sostiene che in questo momento il bambino percepisce se stesso come un’unità coerente e completa, nonostante la sua mancanza di consapevolezza completa del proprio corpo e delle proprie capacità motorie. Questa percezione unitaria è creata attraverso l’identificazione con l’immagine riflessa, che diventa il punto di riferimento per la formazione dell’identità.

Tuttavia, Lacan sottolinea che questa immagine riflessa non corrisponde alla realtà oggett

iva del bambino, ma piuttosto rappresenta un’idealizzazione o una proiezione dell’io desiderato. In altre parole, il bambino non si identifica con la sua vera immagine corporea, ma con un’immagine idealizzata di sé stesso, conforme agli ideali culturali e sociali dominanti.

Ciò che rende la fase dello specchio così significativa è che Lacan la interpreta come il momento in cui l’individuo entra nell’ordine simbolico, abbandonando l’illusione di completezza e unità e affrontando la frammentazione e la mancanza che caratterizzano l’esperienza umana. Questo processo segna l’inizio della costruzione del sé come soggetto linguistico e sociale, poiché l’identificazione con l’immagine riflessa implica anche l’internalizzazione delle norme e dei valori della cultura circostante.

Tuttavia, la fase dello specchio non è solo un momento di integrazione e riconoscimento, ma anche di alienazione e perdita. Lacan suggerisce che l’immagine riflessa diventa un oggetto di desiderio e idealizzazione, alimentando un senso di inadeguatezza e insoddisfazione che permea la vita adulta. In questo senso, la fase dello specchio è anche il momento in cui l’individuo sperimenta la divisione tra il sé ideale e il sé reale, dando origine a tensioni e conflitti interni che influenzano il suo sviluppo psicologico e le sue relazioni interpersonali.

In conclusione, la fase dello specchio rappresenta un momento cruciale nella formazione dell’identità individuale, segnando il passaggio dall’unità illusoria alla consapevolezza della mancanza e della frammentazione che caratterizzano l’esperienza umana. Attraverso l’identificazione con l’immagine riflessa, l’individuo entra nell’ordine simbolico, iniziando il processo di costruzione del sé come soggetto linguistico e sociale. Tuttavia, questa identificazione porta anche con sé un senso di alienazione e insoddisfazione, poiché l’immagine riflessa diventa un oggetto di desiderio e idealizzazione, creando tensioni e conflitti interni che influenzano la vita adulta dell’individuo.

Tema davvero molto delicato quello del riconoscere e del riconoscersi. Tema delicato perché riguarda l’individuo e quello che ha intorno, riguarda la propria esperienza di vita e riguarda la sfera decisamente personale, quella idiosincrasia che è peculiare dell’individuo.
Pensando a come descrivere questo viaggio personale, mi è venuto in mente che uno dei modi sarebbe potuto essere quello di dare uno sguardo a quelle varie “interpretazioni” che – per forza di cose – cerca di farsi “messaggio universale”, ossia il Cinema: come il Cinema ha trattato, negli anni, questo tema.

Ecco 10 film che potrebbero esprimere al meglio tutto quello che io, con le mie sole parole, non riuscirei mai ad esprimere. Più un bonus al quale sono particolarmente legato.

1) “The King’s Speech” (2010) – Si concentra sulla lotta di un re per superare il suo balbettio con l’aiuto di un terapeuta non convenzionale.

2) “Girl, Interrupted” (1999) – Basato su una storia vera, il film esplora la vita in un ospedale psichiatrico e le relazioni tra i pazienti.

3) “Little Miss Sunshine” (2006) – Una commedia che segue una famiglia disfunzionale in un viaggio verso un concorso di bellezza, affrontando le loro debolezze e rafforzando i legami familiari.

4) “American Beauty” (1999) – Affronta temi di identità, desideri repressi e crisi di mezza età attraverso i personaggi principali.

5) “Eternal Sunshine of the Spotless Mind” (2004) – Un film che esplora le complessità delle relazioni e la memoria emotiva.

6) “Good Will Hunting” (1997) – Racconta la storia di un giovane prodigio che affronta i suoi traumi emotivi con l’aiuto di un terapeuta.

7) “Silver Linings Playbook” (2012) – Segue le vite di due persone che cercano di affrontare i propri problemi mentali e le loro relazioni interpersonali.

8) “A Beautiful Mind” (2001) – Basato sulla vera storia di John Nash, un genio della matematica che combatte contro la schizofrenia.

9) “The Perks of Being a Wallflower” (2012) – Esplora le difficoltà dell’adolescenza e la ricerca di identità attraverso il protagonista Charlie.

10) “Inside Out” (2015) – Un film d’animazione che personifica le emozioni per esplorare il processo di crescita emotiva e l’accettazione di sé stessi.

Il bonus è il film di François Truffaut “I 400 colpi”: il racconto – poetico e diretto – del passaggio della fanciullezza all’età adulta di Antoine, un ragazzo di 12 anni.
Mi piace pensare di chiudere questo articolo, con la stessa immagine che chiude il film, con lo sguardo fisso verso la camera, verso lo spettatore, con il rumore delle onde del mare che fanno da musica di sottofondo.

Non è così facile riconoscersi negli errori che facciamo. Non ci riconosciamo nei clamorosi abbagli che hanno cambiato il corso della nostra vita, né nei piccoli errori di valutazione che commettiamo tutti i giorni nostro malgrado. Poi se a far notare l’errore è un’altra persona, beh allora possiamo arrivare anche a negare il fatto stesso che sia un errore o possiamo essere più o meno accoglienti o accondiscendenti in base al grado di intimità che abbiamo con quella persona. Ma in generale quel “noi stessi” che erra, che sbaglia, che fallisce, che si trova in un percorso lontano dal proprio obiettivo, è una entità dalla quale ci si vuole distaccare, senza riconoscerla. Neghiamo la possibilità di fallire o, forse più propriamente, neghiamo che possiamo fallire.

Mi viene in mente il dipinto di Magritte dove un uomo si guarda allo specchio, ma non si può riconoscere nella figura specchiata perché è girato di spalle. Lo specchio non lo riflette, non lo riproduce (in effetti il titolo del quadro è “Non Riproducibile”)

La nostra società è attratta dal successo – che è obiettivamente l’opposto dal fallimento – ma stigmatizza il fallimento come un carattere perentorio, una valutazione sulla storia della persona che ha fallito.

Da qui certo non voglio dire che il fallimento sia una cosa da desiderare, ma una cosa da guardare in faccia, senza il terrore di provarlo.

In Informatica si è sviluppato un paradigma nuovo.
Per l’Agile Development un’avventura imprenditoriale è quella che “riconosce il fallimento” e cerca di massimizzare la velocità di apprendimento data dal fallimento e di ridurne al minimo le conseguenze. Sì perché chi meglio del fallimento ci da la possibilità di apprendere come raggiungere l’obiettivo che cerchiamo?
Il motto di questo metodo è “fail fast, fail often” – fallire presto, fallire spesso – perché si cerca di guardare in ogni percorso quelle caratteristiche che potrebbero far fallire il progetto e far “fallire” quel percorso, invece che l’intero progetto.

Mi piace ricordare che Enzo Ferrari nella fabbrica di Maranello aveva voluto una teca con tutti i pezzi che avevano fatto perdere una gara. Ogni pezzo rotto, ogni pistone crepato, ogni ammortizzatore spezzato, ogni radiatore bucato, ogni valvola divelta dalla potenza del motore, ogni turbo progettato male era lì, conservato con un cartellino con una data e una località, come fossero Coppe, medaglie, Trofei: una teca dove guardare in faccia l’errore e farsi ispirare da quello ogni volta.

    Nella mia vita ho sbagliato più di novemila tiri, ho perso quasi trecento palle, ventisei volte i miei compagni di squadra mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato.
    Ho fallito. Molte, molte volte.
    Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto.

    Michael Jordan

Il tema del riconoscimento è sicuramente uno dei più pregnanti dell’attualità geopolitica, portato prepotentemente alla ribalta dalle guerre russo-ucraina e israelo-palestinese a cui si è aggiunto più recentemente il conflitto “ibrido” con gli Houthi nel Mar Rosso che sta mettendo a rischio l’economia dell’occidente per le sue conseguenze commerciali.

Altri se ne profilano all’orizzonte, dove sembra sempre più prefigurarsi il già teorizzato “scontro tra civiltà” e, comunque, di chi vorrebbe un ordine mondiale diverso, a partire dal fronte dei paesi del BRICS che si sta progressivamente allargando, anche se ancora poco compatto ma con l’obiettivo chiaro di creare un ordine alternativo a quello occidentale.

Non è che tali contrasti, come tanti altri più o meno conosciuti non ci fossero in precedenza, ma si erano forse sopiti nell’indifferenza generale. In particolare, il conflitto più annoso tra Israele e Palestina, la madre di tutte le guerre, perché, mai come in questo caso, si tratta di un reciproco riconoscimento mai avvenuto, alla radice di gran parte dei mali del Medio Oriente e del terrorismo islamico, in cui si è sempre inserito il gioco dei gruppi religiosi, delle potenze regionali e dei grandi attori internazionali.

Eravamo abituati a leggere la “lotta per il riconoscimento”, tema hegeliano per eccellenza, in categorie come quella tra le classi sociali o, secondo il politologo e filosofo Axel Honneth teorico del riconoscimento, come l’ingiustizia di non riconoscere a una persona ciò che gli spetta portandolo all’esclusione sociale. Oggi assistiamo al bellum omnium contra omnes: terrapiattisti contro la scienza, complottisti contro “integrati”, no-vax contro pro-vax, scienziati contro sé stessi, politici in lotta tra di loro (adesso è diventata però una lotta perniciosa che coinvolge le Istituzioni) e, la cosa peggiore, lo scontro fratricida tra interi popoli e tra Paesi.

Quest’ultimo, si dirà, c’è sempre stato ma si pensava fosse ormai superato e mai di ritorno in queste forme novecentesche, con crudeltà che investono popolazioni inermi, con bombardamenti di ospedali, scuole, università e teatri alle porte della civilissima Europa che pensavamo di non dover mai più rivedere.

In questi giorni si sono celebrate la Giornata della Memoria e quella del Ricordo, a monito delle atrocità commesse nella Seconda guerra mondiale che, evidentemente non ci ricordano abbastanza che occorre l’impegno di tutti nel fermare queste disumanità. Il riferimento è in particolare all’Europa e al suo mancato ruolo come attiva costruttrice di pace. Dopo le macerie del 1945, si è dato forse per scontato un automatismo che avrebbe governato la pace e la democrazia e che non fosse invece necessario prodigarsi costantemente per la concordia tra i popoli e per il loro reciproco riconoscimento. È come se, tutti gli sforzi della grande politica internazionale in Occidente, si fossero concentrati sul pericolo comunista, come unico grande male del pianeta.

Nel 1992, dopo la caduta del muro di Berlino, Francis Fukuyama parlò di “fine della storia” che invece è tornata prepotentemente alla ribalta. Sotto la cappa del comunismo covavano infatti molti conflitti latenti, “neutralizzati” dall’URSS che aveva fatto da collante e “garante” del loro contenimento nonché da deterrente di molti altri anche al suo esterno, nel gioco delle sfere di influenza tra le potenze mondiali. In fin dei conti, occorre inoltre considerare che la storia è poi fatta dagli uomini, al di là di teorie su una supposta evoluzione dell’umanità.

Nel rapporto Censis 2023, sulla situazione sociale del nostro Paese, si parla di “sonnambulismo”, di un paese impaurito ma inerte e cieco di fronte ai presagi. Questa è però la situazione un po’ in tutta l’Europa, e forse, con i dovuti distinguo, in tutto il mondo occidentale. Quest’ultimo credeva di aver conquistato una posizione di benessere e rendita, senza fare i conti con il resto del pianeta e senza impegnarsi troppo come costruttrice di pace, che è cosa ben diversa dall’ “esportare” la democrazia.

La situazione chiama in causa le radici della democrazia stessa. Come affermava il filosofo e pedagogista John Dewey, quest’ultima deve poter trarre l’autorità dal suo interno, dalle fondamenta, dal suo demos, ecco perché è così importante l’Educazione, cosa di cui le nostre società sono manchevoli.

Dewey affermava che la bassa interazione sociale, la scarsità di relazioni nello spazio pubblico, diminuisce l’intelligenza collettiva. Ed è proprio quello che sta avvenendo, una società oscurantista che fa sempre meno uso della ragione, preda delle paure e delle fobie e, dunque, facile preda delle false credenze e delle manipolazioni, anche a causa del dominio sempre più invasivo dei social. Ormai anche la Politica ha adottato il modello “followers”. Questo è un altro dei problemi della nostra società che vede sempre di più la riduzione della dimensione pubblica e sociale a scapito di quella individuale e virtuale, dominata dagli algoritmi e caratterizzata dalle cosiddette “casse di risonanza”, le eco chambers, dove risuonano gli echi di tutti quelli che la pensano nello stesso modo o, peggio, abitate dai followers-sonnambuli.

In tutto questo, dobbiamo considerare il decadimento dell’Etica pubblica e il conseguente scadimento della politica, ormai priva di visione e appiattita sul contingente, sempre più ridotta a rappresentazione invece che a rappresentanza.  Non a caso, per rimanere a questi giorni, anche Sanremo è la cassa di risonanza di importanti questioni politiche.

Occorre sottolineare come il riconoscimento, a livello individuale, sia un bisogno primario dell’essere umano. Lo stesso desiderio nasce dal bisogno di riconoscimento che caratterizza l’esistenza stessa e la progettualità della persona. C’è la necessità di riconoscimento anche degli stessi desideri e di andare oltre gli echi e le false sirene dei social, che mirano al singolo individuo trasformandolo in un follower di bisogni. Qualcosa che, unito all’uso dilagante e improprio dell’intelligenza artificiale, richiama all’ “automa”. Anche le società dovrebbero però coltivare questo desiderio sulla base di un Ethos che le renda “erotiche” nel senso più squisitamente filosofico del termine.

Ho conosciuto Giacinta De Simone, qualche anno fa, in uno dei primi Festival della Sociologia di Narni, adesso arrivato alla sua VIII edizione, dove ci siamo ancora ritrovati. Ci ha subito unito l’interesse per questa materia affascinante e complessa (che è stata anche il suo oggetto di insegnamento nelle scuole), per le sue mille sfaccettature ed implicazioni sociali e politiche ma anche per i suoi riflessi individuali. 

Un microcosmo è sempre in rapporto con il macrocosmo che vi viene in qualche modo riflesso. E, forse partendo proprio da questa sua interiorità, che Giacinta De Simone ha sviluppato la sua passione per la poesia, prima ancora che per la sociologia.

Interno ed esterno, interiorità ed esteriorità, individuale e sociale, tutto si lega in questo suo sviluppo intellettuale. Sì, perché solo successivamente ho scoperto che dietro la sociologa, la docente di scienze umane e sociali, la counselor, c’era una poetessa. Scoperta stupefacente perché è raro trovare dei poeti, sarà che è rimasta scolpita nella mia mente l’orazione di Alberto Moravia, pronunciata nell’ormai lontano 5 novembre del 1975 alle esequie di Pasolini, dove affermava in modo accorato  “…E poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto in un secolo…”.

Certo, non si vogliono fare qui paragoni  inopportuni o impropri,  ma è pur certo che ci sono valide poetesse e poeti seppur nascosti e rari da trovare e ciascuno di loro è un microcosmo che rappresenta un mondo intero affascinante ed insolito.

Per Giacinta De Simone la poesia è una carezza per l’anima e un sogno di vita da parte di una persona molto sensibile, che si rivolgerà poi al sociale, non solo come studio e professione ma anche come impegno e partecipazione. E’ anche una persona estremamente riservata e avvezza alla modestia ma ha partecipato a importanti concorsi nazionali di Poesia e ha pubblicato le sue poesie con diversi editori.

Di seguito, in tema con il riconoscimento dell’altro che abbiamo deciso per questo numero di Condi-Visioni, una delle sue ultime pubblicata da Aletti Editore nel dicembre 2023, recita così:

La mia dedica a te

Tu.

Divini occhi azzurri,

     nei quali si legge e “tocca”

     l’avvolgente consistenza

d’umanità e d’anima

del tuo infinito.

Ne ho scelte tre dalla sua raccolta personale Poesie Chiare, che sono molto rappresentative del leit-motiv di questo numero.  

Poesia blu

Vorrei riversare su di te
non solo poche onde
ma tutto intero il mare del mio amore.
Non un mare scuro che ti sommergesse
senza più lasciarti vedere l’azzurro del tuo cielo.
Un mare chiaro, leggero, trasparente…
che miriadi di piccole gocce
bianche, celesti, azzurrine
ti danzassero libere intorno…
Fra tutte, vorrei che tu
ne lasciassi una posarsi sul tuo cuore
e, amandola, ti accorgessi che essa è blu.

Poesia blu” in AZ Arte Cultura 1995 Anno XX n.82.

In risposta a una tua fotografia

Nei tuoi occhi io mi vedo,
nel tuo sorriso c’è il mio,
io ci sono,
nei tuoi silenzi che mi abbracciano
io non mi perdo.

In risposta a una tua fotografia” in Figli oggi e domani Notiziario CAF 1997 Anno VII n.13.

Il colore dei neri

Il loro colore i neri
non ce l’hanno sulla pelle.
Come tutti quelli che hanno sofferto
ce l’hanno dentro, nell’anima.
E’ il colore della fatica e del sudore
nei campi di cotone,
il colore della sofferenza e del dolore,
della discriminazione e dell’apartheid,
del razzismo e della schiavitù.
E’ il colore intenso della loro musica
quando i loro corpi si muovono danzando
come solo loro sanno fare,
quando suonano jazz, swing e rhythm and blues,
quando cantano nei cori gospel.
E’ il colore del discorso di Martin Luther King
quando legge “I have a dream”,
delle troppe volte in cui qualcuno con disprezzo
li ha chiamati “negri”
e ha negato loro i diritti umani.
E’ un colore nero che brilla di luce, d’anima e di libertà.
E’ il colore dell’umanità alla quale tutti da sempre apparteniamo:
la nostra intera umanità, l’unica umanità.

Il colore dei neri” Newsletter Associazione Nazionale Sociologi (ANS) n. 4/2020

Nota biografica: Giacinta De Simone, nata a Gallipoli (Lecce) il 18 aprile 1955. Laurea in Sociologia, Diploma in Counseling, già Docente di Scienze umane e sociali, Counselor.

Le poesie e le foto sono state gentilmente concesse dall’autrice

C’è un bel film di Pedro Almodóvar, Volver (Tornare) dell’ormai lontano 2006, la cui trama si svolge in chiave retrospettiva.

In un dialogo fra madre e figlia, il pubblico conosce il retroscena.

E’ anche un ritorno al primo cinema di Almodóvar, che guarda al passato come un pannello di un grande affresco. Penélope Cruz, una delle protagoniste femminili che hanno fregiato il film al Festival di Cannes con il premio per la migliore interpretazione femminile (il film è stato premiato anche che per la migliore sceneggiatura), canta un bel brano del mito del tango Carlos Gardel, Volver (Ritornare), un brano composto nel 1935 insieme al compositore Alfredo Le Pera, entrambi morti giovanissimi nel tragico incidente aereo all’aeroporto di Medellín. Il famoso ritornello recita così:

Ritornare con la fronte ap­pas­sita

le nevi del tempo che ar­gen­ta­rono la mia tem­pia

Sentire che è un at­timo la vita

che vent’anni non sono niente

che feb­brile lo sguardo, er­rante nelle om­bre,

ti cerca e ti no­mina

Anche noi, con le tempie forse un po’ più argentate, torniamo con questa nuova iniziativa che si ricompone come il pannello di un affresco, con la precedente avventura di Condivisione democratica, durata oltre dieci anni, con cui si pone in continuità ma con tanti punti di novità.

Condi-Visioni, vuole essere uno spazio plurale di riflessione per chi si riconosce in un pensiero profondo contro le semplificazioni ed il flusso indistinto e rumoroso delle opinioni banalizzanti, schiacciate mediaticamente sul pensiero dominante o sull’inautenticità del “si dice”. L‘obiettivo è quello di una maggiore partecipazione e coinvolgimento, anche attraverso alcuni canali social e, non ultimo, l’ambizioso progetto di una web TV. Vogliamo usare internet come strumento innovativo ma, allo stesso tempo, esserne anche una sua filosofia critica, riconoscendone opportunità e limiti, cercando di superare quest’ultimi guardando kantianamente sempre all’uomo come un fine e mai come un mezzo, mettendo al centro il rapporto e la comprensione umana con un uso consapevole delle parole e un’analisi meditata dei fatti.

Uno dei problemi del sistema mediatico nel suo insieme, accentuato anche da un uso improprio dei social che, non invitano alla riflessione ma alla semplificazione per slogan, è proprio l’eccessiva polarizzazione. Lo stiamo vedendo con le drammatiche vicende degli ultimi tempi: i conflitti russo-ucraino e israelo-palestinese che ci riportano drammaticamente all’attualità.

Questo, non significa andarsi a schierare su posizioni bianco e nero ma, cercare di riflettere sulla complessità delle situazioni, sulla loro storicità e, con le dinamiche globali, guardando anche alle responsabilità delle varie istituzioni internazionali. Molti conflitti apparentemente regionali s’innestano, inoltre, in scenari di evoluzione geopolitica, alla ricerca di nuovi equilibri nel riassetto dell’ordine mondiale. La guerra, con le inumane atrocità a cui stiamo assistendo e lo spettro della catastrofe nucleare, è un infelice “ritorno” che pensavamo scongiurato, e che si ripresenta problematicamente nella sua drammaticità.

Anche il tema dell’immigrazione è un “ritorno”, se pensiamo alle lontane immagini dell’agosto del 1991 della nave Vlora al porto di Bari con migliaia di Albanesi che cercavano rifugio in Italia dopo la caduta dei regimi comunisti. Nell’immaginario collettivo quello che ci ha aperto gli occhi su questo problema epocale. Ad oltre 30 anni da quell’evento, stiamo discutendo ancora di come gestire queste situazioni e, per ironia della sorte, vorremmo usare noi, oggi l’Albania come centro di destinazione degli immigrati.

Ultimo, ma non meno importante, il grande problema dei cambiamenti climatici che ci sta molto a cuore, come futuro dell’umanità e nostro tema prioritario. Per rimanere in tema, c’è chi afferma che si tratta di un “eterno ritorno” con il succedersi di ere di glaciazioni e riscaldamenti.

Le controversie scientifiche tra i negazionisti e coloro che sostengono i cambiamenti climatici sono oggetto anche di dibattiti politici con le varie implicazioni a livello geo-politico. I paesi in via di sviluppo non vogliono infatti affrontare i costi della sostenibilità che avrebbero impatto sui loro modelli di sviluppo economico, visto che ritengono di essere in una fase storica che i paesi più avanzati hanno già passato, avvantaggiandosene. Questo è evidente anche nella sofferta Cop28 (la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) di questi giorni, sulla risoluzione per la de-carbonizzazione, dove viene spacciata come una vittoria la presenza nel testo dei “combustibili fossili” (carbone, petrolio e gas). Intanto, i principali produttori di quest’ultimi, si oppongono agli intenti di una loro completa eliminazione (phase-out) entro il 2050. Si parla infatti di allontanamento (transitioning away) ma, effettivamente, già il riconoscimento da parte di quasi 200 Paesi che i combustibili fossili sono la causa dell’aumento della temperatura del pianeta e che occorra prendere delle misure, è di una certa portata storica.

C’è poi il tema di chi debba pagare questa transizione, se chi produce più CO2 oggi o chi l’abbia prodotta già dal passato, con la prima industrializzazione. Annosa e controversa questione che vede sostanzialmente contrapposti, il blocco del BRICS con quello “occidentale”.

L’eccessiva antropizzazione con attività che gravano in modo irreversibile sulla vita del pianeta, rendono urgenti, al di là di riconoscimenti e intenti, azioni concrete e provvedimenti non più procrastinabili perché i problemi, al di là di tutto, sono di tale natura e portata che richiedono un contenimento dell’Uomo sul Pianeta per non perdere forse l’ultima opportunità di incidere sulla crisi climatica e sulle risorse della Terra.  

Partendo dal tema del Ritorno, passando con leggerezza dal film di Almodóvar alle crisi umanitarie, climatiche e alle guerre, senza voler essere catastrofisti, ci e vi domandiamo, siamo forse arrivati a un punto di Non Ritorno?