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‘Editoriale’ Category

Niente è come sembra, niente è come appare, perché niente è reale, così recita una famosa canzone di Franco Battiato. Cosa sia la realtà è un problema, forse il più antico, su cui i filosofi, tra realisti e anti-realisti, si arrovellano da oltre 2.500 anni. 

Sicuramente, dopo le rivoluzioni scientifiche del Seicento è prevalsa la visione scientista che ha portato ad una visione del mondo calcolante ed utilitaristica che vede l’uomo signore e padrone del mondo e la natura come un grande fondo da sfruttare. 

Qua nessuno è antiscientista e si riconoscono i grandi benefici apportati dalla ricerca scientifica all’umanità. Il problema è che non possiamo vedere il mondo solo con questa lente, quella dello sguardo scientifico. L’essere si dice in molti modi, la realtà non è unitaria e non si può pretendere di spiegarla nel solo modo scientifico.

Mi è capitato recentemente di imbattermi su un testo che parla della “brocca” (La questione della brocca, a cura di Andrea Pinotti. Mimesis, Milano 2007) che contiene saggi di diversi filosofi su questo oggetto. E’ interessante vedere come un normale oggetto quotidiano, il cui uso diamo per scontato, possa in realtà avere una sua “verita’” al di là della correttezza offerta dalla scienza fisica di un contenitore di liquidi, un sua “cosalità” che, oltre a un senso estetico può richiamare il suo apparire come portatrice di un dono. A riguardo, Heidegger, con un pensiero poetante, ci parla addirittura della “quadratura” che nel dono da versare o offrire, unisce cielo e terra, mortali e divini. 

Insomma, si possono guardare le cose in un altro modo e il mondo può essere visto con occhi diversi.

Questo ci porta direttamente al tema dell’apparenza che è la percezione sensibile di un fenomeno nella sua contrapposizione a una realtà e presunta verità. Ovviamente la nostra esperienza ci dice che c’è una realtà fuori di noi, di cui ovviamente siamo parte, ma autoevidente alla nostra coscienza, che è il mondo della vita quotidiana. Questo mondo, che ci è dato, secondo la tesi dei sociologi Berger e Luckmann, è costruito socialmente, frutto della cultura: la realtà come costruzione sociale.

Ovviamente con l’accelerazione della tecnica e l’avvento dei social network, questa costruzione sociale si è ulteriormente artificializzata e resa ancor più manipolabile, basandosi su processi di auto-socializzazione sempre più individualizzanti ed anomici, con una situazione che è sotto gli occhi di tutti. 

Anche le relazioni sono diventate virtuali e apparenti. Proprio l’altro giorno una persona si lamentava del fatto che il suo vicino di casa non gli avesse dato l’”amicizia” su Facebook, come se il “mezzo” o, meglio l’apparenza, fosse più importante della relazione quotidiana di chi ti vive nella porta accanto. Il che è emblematico della situazione che stiamo vivendo: ormai l’apparenza vale più della sostanza. Anche in Politica, la rappresentazione ha sostituito la rappresentanza.

Siamo oltre il problema filosofico, siamo alla mistificazione e alla mercé di chi vuole governare il consenso e, di chi è sottomesso, affidandosi o facendosi assorbire da queste false sirene. 

Per non parlare degli scenari che si aprono con l’Intelligenza Artificiale dove l’irrealtà rischia di diventare la realtà. Ci sarebbe così la chiusura del cerchio e la domanda sulla realtà diventa inutile.

Come per la brocca, c’è necessità di uno sguardo diverso, non dando per scontata la realtà che ci circonda ed avvolge. 

Insomma, problematizzare la quotidianità e superare l’ovvio con fantasia e senso critico, esattamente quello che ci siamo posti con Condi-visioni, che non a caso richiama i due termini di “condivisione” e “visioni”, uno sguardo plurale e critico sulla realtà che vorrebbe dare un seppur piccolo contributo alla riflessione.Chiudo sempre con Battiato, augurandovi una buona estate, On a solitary beach, magari in compagnia di un brocca con una buona e fresca bevanda di acqua, limone e menta, dissentante e disintossicante dalle apparenze della vita quotidiana  (probabilmente la reminescenza irriflessa a cui ho ceduto, di un vecchio slogan pubblicitario che recitava contro il logorio della vita moderna…).

Quante volte possiamo dire di aver ascoltato pensieri liberi, parole schiette, lettere circolanti nelle vene, che di sangue si nutrono e che il sangue nutrono?

Quante volte i nostri battiti hanno bussato sul petto riconoscenti di un’emozione inattesa, di uno scorcio poetico, di un frammento sottratto alla menzogna, dipinto di purezza, di autentica genuinità?

I giorni, questi giorni che trasciniamo come file di valigie pesanti, cercano angoli di pace dove rifugiarsi, dove scoprire che non tutto è il frutto di un inganno, di un artificio, di una costruzione occasionale.

La verità, questa sconosciuta. Siamo sicuri che tale vocabolo esita ancora all’interno di un dizionario? Forse in quello dei nostri nonni.

Cosa possiamo saperne degli altri? Quale diritto, quale potere, quale privilegio ci è concesso per esprimere un giudizio su qualcuno?

Cosa possiamo saperne noi di quanta profondità c’è in una superficie?

Il vestito che prende la nostra forma racconta forse di noi?

E noi stessi… cosa possiamo saperne noi di noi stessi? Siamo così certi della nostra identità? Sono sufficienti la nostra patente di guida, il nostro passaporto, o un documento rilasciato dal comune di residenza per raccontare chi siamo?

Quante volte possiamo scoprire il racconto di una vita?

Si nasce una volta sola. Si può morire molte volte. Si può rinascere.

Si può decidere di sopravvivere.

Si può decidere di vivere.

Chi ha il coraggio di raccontarlo? Chi si spoglia di ogni indumento? Chi ti mostra la sua nudità? Chi si getta tra le fiamme di un mare sconosciuto?

Quante volte abbiamo la fortuna di incontrare due occhi limpidi?

Bene. Una volta incontrati si ringrazia perché ciò sia accaduto.

Si può restare in silenzio. Si può decidere di urlarlo al mondo intero. Si può decidere di suonare al campanello del vicino di casa, che fino a qualche ora prima ignoravi o facevi finta di ignorare. Svegliarlo dal suo e dal nostro sonno.

Ma, soprattutto, bisogna ricordarsi che esistono. E che ti hanno guardato. Senza chiederti niente. Illuminandoti. Senza nulla in cambio.

Dovremmo aver cura degli occhi limpidi che incontriamo e che incontreremo nel nostro percorso. E dovremmo aver cura delle parole che questi occhi hanno scritto.

Dovremmo averne rispetto. Perché questi occhi e loro parole hanno il sapore forte e fragile del coraggio, l’odore acre e tenero della paura. Succhiano il nettare dell’inesprimibile. Combattono il duello di ogni consapevolezza, sfidano il rischio di ogni certezza.

Respiriamo, annusiamo, stropicciamo, nutriamoci…

Facciamo diventare ogni sguardo calcio per le nostre ossa, muscoli per la nostra carne, cristallino per i nostri occhi.

Già, i nostri occhi.

Se sapremo leggere, non saranno più gli stessi.

Rieccoci, siamo tornati. Abbiamo ripreso in mano il nostro giornale. Troppo pressante il desiderio di tornare a scrivere, di esprimere uno sguardo e di raccontarlo, offrendo una visione. Tante visioni. Quelle degli amici che hanno atteso questo ritorno. Quelle dei nuovi compagni di viaggio, che hanno deciso di abbracciare un sorprendente progetto editoriale.

Non sarà facile stargli dietro. Impegni, questioni e pensieri sono tanti. Ma la vita non è in fondo anche mettersi continuamente alla prova? Dobbiamo solo cercare di farci trovare pronti. Qualunque sia il tipo di interrogatorio, la strada da scegliere, i conti giusti da fare con noi stessi. E se invece non siamo pronti? Sarà l’occasione per scoprirci di più, per individuare altri tasselli della nostra stupefacente complessità, farne tesoro e migliorarci, per ciò che è possibile. Senza affanni o troppe pretese.

Ma ad ogni modo, guai a smarrire la necessità di scovare tracce che pensavamo di aver cancellato per sempre, magari aggrappandoci all’opportunità di una pausa, all’esigenza di disobbedire ai nostri ordini quotidiani, allo stimolo di respirare un sorso nel passato e uno sguardo più lucido sul futuro.

Forse così, quel nostro progetto in sospeso vedrà arrivare quel puzzle che manca.

Questo numero vogliamo dedicarlo al tema del ritorno, cercando anche in questa occasione di offrire scenari e suggestioni da angolature differenti, temi e spazi di confronto suggeriti da sensibilità diverse, eppure così vicine, ed ispirandoci alle verità sottese, alla straordinaria potenza delle parole di Giuseppe Cesaro, alla straordinaria espressività artistica di Nora Lux, alla sconvolgente poesia di Dario Bellezza.

Ma se tutto ciò ha visto davvero luce, il merito è sempre della redazione, con un particolare abbraccio ai vice direttori, Giovanna La Vecchia, Giorgio Gabrielli e Walter Iolandi, e alla nostra redattrice Anna Rita Cardarelli, che per l’ennesima volta hanno saputo mantenere lo spirito di questo giornale, alimentando con il giusto carburante la nostra macchina carica di entusiasmo, passione, consapevolezza.

In questi giorni di respiri, sapori e freddo natalizio, ho osservato volti e momenti di vita. Lo sguardo è finito anche su un balcone, illuminato, mille luci, colorate e lampeggianti. Quello accanto, invece, vuoto, spoglio. Mi ha fatto un po’ di tenerezza, scatenando i miei pensieri, immaginando questa fotografia come una delle tante piccole sintesi dell’esistenza.

Mi capita spesso di pensare alla solitudine. Non alla necessità di isolarsi per un po’ da tutto il resto. Ma a quella che può afferrare le tue corde più inconsce. Succede tante volte, in varie occasioni della nostra avventura umana. Succede di restare soli, di sentirsi soli, di percepire il distacco ed il silenzio davanti al nostro desiderio di esserci, al nostro sogno di sradicare gli argini del cuore.

Il mio pensiero più profondo voglio dedicarlo a chi è stretto in questa morsa. Vorrei offrirgli le mie parole, lo spazio di questo giornale, anche un solo sguardo, anche due chiacchiere scambiate velocemente, perché ogni centimetro di lettera può fare molto.

Auguro ad ogni lettore che passa di qui, di trovare, anche per il nuovo anno, un buon rifornimento di emozioni e suggestioni, le giuste parole, che siano abili alleate dei propri giorni.

Auguro a tutte e a tutti i componenti della redazione, nonché a me stesso, di continuare ad essere, sempre, dei bravi distributori.