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LA GIUSTIZIA PREDITTIVA (PREVEDERE L’ESITO DI UN GIUDIZIO) si può, e non è frutto di magia o di astrologia.

Luigi Viola è un collega Avvocato con studio a Roma e Lecce, titolare di cattedra di Diritto Processuale Civile, che il 17.12.2015, presso la Camera dei Deputati, è stato premiato per la sua attività “per aver avviato all’attività legale centinaia di giovani “.

Proprio presso la Camera dei Deputati ha presentato il suo modello matematico di equazione dell’interpretazione perfetta della legge; perfezionato e poi confluito nel libro sulla Interpretazione della legge con modelli matematici, pubblicato nel 2017.

È possibile quindi prevedere l’esito di un giudizio e certamente non bisogna ricorrere né a maghi, né a fattucchiere o ad astrologi.

..Men che meno ad Azzeccagarbugli di manzoniana memoria, lo chiedo quindi all’ autore/inventore della formula, a grande richiesta, affinché ci spieghi il funzionamento di questa espressione originale, ambita e desiderata.

Cosa si intende per giustizia predittiva e ”interpretazione della legge con modelli matematici” ?

Per definire la giustizia predittiva si può utilizzare quanto ho scritto nella relativa voce Treccani: “deve intendersi la possibilità di prevedere l’esito di un giudizio tramite alcuni calcoli; non si tratta di predire tramite formule magiche, ma di prevedere la probabile sentenza, relativa ad uno specifico caso, attraverso l’ausilio di algoritmi”.

Non vi è la volontà di sostituire la giustizia dei tribunali con quella degli algoritmi, ma cercare di prevedere le eventuali conseguenze giuridiche di un comportamento con maggiore precisione.

Come si può fare questo?

Si può fare modellizzando l’interpretazione della legge; l’interpretazione della legge con modelli matematici è uno dei possibili strumenti per prevedere l’esito del processo. Anzi, credo sia lo strumento più corretto in quanto più allineato alla lettera della legge e più coerente con il nostro sistema di civil law.

Inoltre è il titolo di un libro che ho scritto, se posso dirlo, al quale sono molto legato, che è stato Best Seller Amazon in classifiche di internazionali di Law General e tradotto in 5 lingue (inglese, tedesco, spagnolo, francese, greco).

Come ti sei appassionato a queste materie così particolari?

Per la verità è stata una cosa naturale e credo possa succedere a qualsiasi avvocato.

Ho notato che quasi tutti i clienti che vengono in studio, dopo aver spiegato i fatti, chiedono se è possibile fare causa e che possibilità ci sono di successo.

La risposta a questo tipo di domanda non può che essere generica, per lo più legata allo studio della casistica giurisprudenziale di legittimità e di merito, addirittura dello specifico tribunale ad quem.

Eppure, volevo cercare di rispondere in modo più preciso, verrebbe quasi da dire giurimetrico, che è poi la branca del diritto che mi ha davvero illuminato.

Così ho iniziato a studiare per circa 10 anni l’andamento del sistema processuale: da come le questioni iniziano in primo grado, come si formano orientamenti e come – poi – la Cassazione privilegia un orientamento ad un altro: ho letto quasi 50000 sentenze, anche per merito dell’incarico alla direzione di Altalex Massimario, affidatami dall’amico Alessandro Buralli.

Dopo questo studio ho iniziato a confrontarmi con colleghi e professori universitari anche appartenenti a materie diverse, come matematica ed ingegneria.

Mi sono reso conto che il diritto per essere davvero certo non deve ripudiare le c.d. scienze esatte, ma deve acquisirle. In fondo anche nel diritto c’è matematica, come agevolmente desumibile da una riflessione sui termini processuali, sulla materia della divisione, delle quote condominiali e societarie, si è addirittura arrivati a quantificare il dolore umano tramite il meccanismo delle tabelle. 

Anzi mi piace ricordare, come detto spesso e scritto da un caro collega (Danzi), che l’etimologia del termine matematica deriva da  MAAT,  che nell’antico Egitto  era la dea non solo della verità,  della giustizia, della legge, ma anche dell’ordine,  della misura, dell’armonia, che sono concetti matematici;  la giustizia veniva assicurata  attraverso la misura; la dea Maat quindi coniugava i  valori etici con i principi matematici. Furono proprio le questioni giuridiche a dare impulso nell’antico Egitto allo sviluppo della matematica; le inondazioni del Nilo, infatti, causavano la cancellazione dei confini tra i fondi agricoli, per cui quando le acque si ritiravano non era più possibile individuare le singole proprietà; la geometria nasceva per risolvere questi conflitti giuridici.

Ne prevedi un’ampio sviluppo e una concreta e frequente applicazione?

Direi di sì; la giustizia predittiva, seppur con un modello parzialmente diverso, da quello da me sostenuto, è di fatto una realtà. Ne sono prova i progetti di giustizia predittiva delle Corti di Appello di Brescia, Venezia e Bari (che ha sviluppato dello ottime schede per la prevedibilità); nell’automating society 2020, che riguarda 16 Paesi, è stato dedicato ampio spazio all’Italia, con particolare attenzione ai progetti di “Predictive policing” e “Predictive justice“: si è detto che l’Italia è avanti rispetto ad altri Paesi.

L’esigenza di prevedibilità delle decisioni giudiziarie è stata auspicata anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella laddove ha detto che nostri cittadini hanno diritto a poter contare sulla certezza del diritto e sulla prevedibilità della sua applicazione rispetto ai loro comportamenti (in occasione della Cerimonia commemorativa del 18.6.2020, dedicata ai Magistrati uccisi nell’esercizio del loro lavoro).

Il problema oggi non è nell’an, ovvero se la giustizia predittiva esisterà o meno, ma è nel quomodo: dobbiamo decidere quale modello di giustizia predittiva privilegiare, quale è più efficace, quale è più rispettoso del contraddittorio e difesa delle parti nel processo. Non si deve in alcun modo correre il rischio di creare una giurisprudenza appiattita che pretermetta la specificità delle singole argomentazioni prospettate dagli avvocati.

Qualcuno parla addirittura di giudice robot: personalmente sono contrario perché mi sembra contro il principio di giudice naturale precostituito per legge ex art. 25 Cost., giusto processo ex art. 111 Cost., natura umana del giudice per come desumibile dall’art. 51 c.p.c.

Anzi sono più per la giurimetria che per l’informatica: la prima assicura una trasparenza matematica dove è possibile verificare, passo dopo passo, il ragionamento svolto dalle premesse fino alla conclusione, diversamente dalla seconda che rischia di essere più “opaca”. Tutto deve essere trasparente: è stato ricordato anche dal Consiglio di Stato (881/2020).

“Donna creatrice”: Valeria Acciaro e la rappresentazione di una donna delicata, tenera e sensuale.

La Bellezza della Donna è stata nei secoli raffigurata in ogni modo e con ogni mezzo, dai più grandi agli artisti minori, tutti si sono occupati di “raccontare” la figura femminile come madre, donna, amica, sorella, ognuno a modo suo cercando di trovare quel punto di originalità e di grandezza che potesse raccontarne una storia diversa ed immortale. Fu Artemisia Gentileschi che aprì la strada alla nuova ideologia che non solo gli uomini potevano ricoprire il ruolo di artisti. E così le donne che hanno “raccontato” la Donna sono state tantissime e straordinarie nel loro raffigurare la complessità e la molteplicità di quest’essere al tempo stesso così delicato e così coraggioso. Valeria Acciaro, artista, professoressa, storica dell’arte, curatrice di eventi culturali, ha dialogato con noi per i lettori di Condivisione Democratica sull’arte e sul delicato momento storico che stiamo vivendo. Donna elegante, raffinata, di particolare garbo e riserbo, ha raccontato la “sua” donna, raffigurata nelle sue opere presenti in numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero,  alcune delle quali hanno ottenuto importanti riconoscimenti. La figura della donna attraverso il superamento di dimensioni definite, alla ricerca di quella profondità propria del corpo di una Donna. Ed al di là del soggetto raffigurato, in ogni caso, un concetto di arte come potenza e compiutezza, oltre quell’orizzonte che troppo spesso ormai rappresenta più una barriera che un’apertura verso il mondo.

E sappiamo bene, ogni volta che si cerca di andare oltre, di superare il confine, di oltrepassare il limite, si può parlare solo di coraggio e di forza. Rompere gli schemi non è necessariamente sinonimo di rottura, spesso ha il senso di un valore aggiunto alla tradizione cui viene data una connotazione di vita e di libertà. E non è cosa da poco. Una vera e propria rivoluzione combattuta con intelligenza e determinazione. 

La prima domanda che mi viene da porle è certamente quanto ne ha risentito il mondo dell’arte in questo drammatico momento storico a livello mondiale?

La situazione sconvolgente da Covid-19, con le conseguenti restrizioni per il contenimento della pericolosa pandemia, ha notevolmente colpito l’arte, registrando circa l’80% di perdite degli incassi. La chiusura forzata di musei, di gallerie oppure di luoghi destinati alla fruizione artistica ha comportato anche una modalità forse nuova di accostarsi alle opere d’arte, attraverso le tecnologie.

Aspettando la riapertura dei luoghi espositivi, cito uno scritto di Jacob Burckhardt “Noi frequentiamo le gallerie non per amore dei pittori, ma per amore di noi stessi”. 

Professoressa, storica dell’arte, curatrice, artista, quale tra le tante anime predomina in Valeria Acciaro?

Senza ombra di perplessità la “Donna Creatrice”. 

Cos’è l’essenziale per un’artista?

L’immaginazione, l’intenzionalità e la libertà.

Vitaldo Conte scrive di lei “L’artista, lavorando sulla cancellazione della distanza tra l’arte e l’esistenza, opera sull’ipotesi della “guarigione” propria e altrui”. In che modo attraverso le sue opere cerca di “guarire” sé stessa e gli altri e da quali mali?

Sono presente in vari testi di Vitaldo Conte, con il quale mi lega un’amicizia quasi trentennale. Figura poliedrica, talentuosa, di grande valore culturale e professionale, nonché tra i più significativi critici nel panorama artistico.  

Le mie opere d’arte testimoniano momenti di vita, attraverso una ricerca cromatica legata alla Donna, alla sua bellezza, alla sua delicatezza e alla sua tenerezza. Una ricerca in cui traspare la femminilità e la sensualità, attraverso il superamento di dimensioni definite, dove si infrange un confine e si va a mano a mano tracciando una superficie pittorica che presenta una profondità, così come il corpo di una donna. È la profondità che guarisce, attraverso il comprendere con il cuore e con amore, annullando la finzione. 

Come non ricordare Le Rime del Cavalcanti “Veder mi par da le sue labbra uscire – una sì bella donna, che la mente – comprender non la può, che ‘nmantenente – ne nasce un’altra di bellezza nuova – da la qual par ch’una stella si muova e dica: – la salute tua è apparita”. 

Caterina Adriana Cordiano è nata a Giffone, borgo montano nella provincia di Reggio Calabria. Ha conseguito gli studi regolari in parte nella sua terra d’origine, in parte in Campania dove ha vissuto ed assorbito gli umori del sessantotto e dove è ritornata, a distanza di tempo, per il lavoro d’insegnamento (Napoli). Da qui l’affezione a quella città che considera la sua seconda patria. Nei rientri in Calabria oltre che dedicarsi alla sua professione d’insegnante, si è impegnata nella vita pubblica dove ha rivestito incarichi di responsabilità e rilievo. Conclusa tale esperienza, ha indirizzato i suoi interessi verso  attività squisitamente culturali rivestendo, per circa vent’anni,  l’incarico di presidente di una fondazione culturale La sua formazione culturale passa attraverso l’esperienza storica del ’68 che la porta a  conoscere i grandi della letteratura e della filosofia europea: Marcuse, Sartre, Russell ed anche i nouveax philosophes : Bernard Henry Levy; Andrè Glucksman, Michel Foucault ( A. Piromalli di lei ha scritto che“ Nella  sua formazione culturale entrano il marxismo classico ed il pensiero laico e pacifista europeo”  – “ Maropati, storia di un feudo ed un’usurpazione”-Pellegrini, Cosenza–sec. edizione). Ha conosciuto ed avuto amici molte personalità della cultura: Fortunato Seminara, Giorgio Barberi Squarotti, Raffaele Sirri, Pasquino Crupi, L.M. Lombardi Satriani e, particolarmente, Antonio Piromalli. Ha molto viaggiato in Italia e nei paesi europei per soddisfare la sua sete di confronto con le altre culture, anche quelle extraeuropee, con soggiorni in Tunisia ed in Turchia, Istanbul in particolare. L’esperienza del viaggio, come essere altrove per ritrovare, nelle diversità, le profonde identità che accomunano l’uomo, continua a segnare il suo pensiero, orientato, convintamente ed intimamente, verso una cittadinanza che riguarda il mondo intero. Da innamorata della narrativa, della poesia e dell’arte in tutte le sue forme, ha voluto mettersi alla prova producendo degli scritti che solo ora, in una condizione di otium operoso, inizia a pubblicare. Questo suo primo romanzo, “I giorni del mare”, arriva alla pubblicazione anche grazie ai pareri critici positivi espressi da autorevoli studiosi della letteratura alla cui attenzione era stato sottoposto.  

Gentile Caterina, desideriamo innanzitutto conoscere il Suo stato d’animo davanti a questa tragedia che ha sconvolto e che sta continuando a tenere le nostre anime in sospeso. Come ha vissuto e come sta vivendo questi giorni?

I miei stati d’animo di fronte a un evento impensabile, inimmaginabile e terribile quale è stata, ed è, questa pandemia, sono stati diversi.  All’inizio, di fronte ad una malattia sconosciuta che ci era sembrata lontana ma che poi abbiamo visto diffondersi con la velocità della luce e dilagare in tutti i paesi del mondo, facendo precipitare in un’oscura spirale di morte migliaia e migliaia di vite, è stato di profondo sgomento, di vuoto, d’impotenza, di estrema fragilità. I ritmi di vita sconvolti insieme alla cancellazione della gioia della socialità, della vicinanza, degli abbracci, era disagio assoluto, terribile solitudine, estrema ansia perché insieme alle certezze svaniva la visione chiara del domani, i cui contorni diventavano sempre più indefinibili e comunque oscuri. Poi, in qualche modo, è intervenuta la fase della razionalità. Ho cominciato, come tutti, a interrogarmi e darmi risposte, quelle possibili, anche se rimaneva lo smarrimento per le indecisioni della scienza che si dibatteva anch’essa in supposizioni e congetture, su un virus che sembrava guidato da un’intelligenza selettiva e diabolica, colpendo maggiormente le persone anziane, il sesso maschile, alcune zone geografiche piuttosto che altre e persino beffarda con uomini di potere scettici e dubbiosi come nel caso del premier inglese. Infine la bellezza della creatività e la voglia di fare, nate dalla resilienza dei popoli e di ognuno di noi, si sono trasformate in momenti di grande energia che ci hanno aiutati a risorgere. Ora che l’emergenza, almeno nella sua forma di più acuta gravità, sembra essere stata superata ed è iniziata la fase della speranza, della ricostruzione e della voglia di normalità, ciò che mi auguro è che la normalità di oggi sia diversa da quella di ieri e che ognuno di noi abbia imparato qualcosa da questa terribile esperienza. Non credo davvero nell’avvento dell’uomo nuovo, ma dell’uomo migliore sì.   

“Inutile prendere la vita troppo sul serio tanto non ne esce vivo nessuno!”

Ammettiamolo, sono tempi duri per tutti, ma per alcune categorie sono durissimi! Se il lavoro nello spettacolo si poteva già definire il mestiere precario per antonomasia, al momento sembra addirittura segnato da un destino di, se non proprio estinzione, sicuramente di “sospensione”. Ecco che anche io, come lavoratrice dello spettacolo, voglio allora appigliarmi ad una visione che sia alternativa al serpeggiante pessimismo, rivolgendomi ad un attore comico di cui ho sempre apprezzato la weltanschauung, la concezione del mondo: Sergio Viglianese.

Un essere fiabesco, un pregiato professionista, un caro amico e collega, nonché… indiscrezione che mi permetto di fare, un grande sciupafemmine! Con me però non si è mai permesso, sono troppo alta…  Il solo pensare a lui, dopo averlo conosciuto e frequentato per lavoro ma non solo, mi mette allegria, suscita nel mio animo tenerezza ed empatia. Tanti lo ricordano soprattutto nel ruolo di Gasparetto, il meccanico in tuta rossa, sul palcoscenico di Zelig e di tanti altri programmi comici, con la sua mano alzata e il suo onorario sempre fisso su 500 euro, a prescindere dall’entità del guasto.  Ma innumerevoli sono in realtà i personaggi e relative esilaranti battute e situazioni surreali generate dalla fantasia di Sergio. Abile monologhista ed originale autore in genere, firma non solo il suo repertorio, ma collabora anche alla scrittura dei pezzi e alla creazione dei numeri di tanti colleghi attori. Effettivamente io lo conobbi proprio in occasione di uno spettacolo dove ero scritturata da un altro comico, che lo chiamò per collaborare ai testi e fare la regia dello show. Da allora, non l’ho più mollato e seguendo quest’intervista forse capirete il perché. Insomma, al contrario di alcuni comici esplosivi in scena ma tristi e deludenti nella vita, ecco, Sergio Viglianese è un genuino buontempone, un giullare d’altri tempi creato per generare ottimismo, senza per questo, però, mancare di profonda intelligenza e sensibilità. Lo adoro! Ecco a voi la prima domanda:

Dimmi Sergio, hai continuato a sorridere alla vita nonostante la calamità che ci ha investiti?

Sembrerà strano e anche un po’ cattivo, ma devo confessare che mi sono divertito molto durante il periodo della quarantena, sia perché era una cosa nuova e strana, sia perché in qualche modo a me le difficoltà divertono, mi appassionano. Ovviamente mi ritengo fortunato per essermi trovato in una condizione favorevole: nella mia casetta nella natura, tutta attrezzata con pannelli solari e quindi senza bollette da pagare e con tante cose da fare. Siccome come hobby, molto impegnativo, mi sto ristrutturando casa da solo da ben cinque anni, mi sono potuto immergere completamente in questa attività, dimenticandomi del resto del mondo. 

Ma uno spirito libero come il tuo cosa ha provato a stare in “lockdown”?

Vivendo in campagna isolato, avvertivo che qualcosa era cambiato, ma in fondo neanche tanto! Però le tre settimane di zona rossa qui a Nerola, effettivamente sono state un po’ strane… non poter uscire e avere delle restrizioni, però ha avuto anche un lato piacevole: “riconquistare” casa, essere obbligato in un certo senso dall’alto, a rallentare i ritmi e smettere di stare sempre in giro. Quindi, malgrado alcune difficoltà pratiche, ho proprio accolto con serenità questa quarantena.

Veniamo alla categoria dei lavoratori dello spettacolo, quella che ha in un certo senso l’orizzonte più incerto in assoluto, hai qualche suggerimento per i tuoi colleghi?

Lo spettacolo dal vivo prevede tanta gente riunita, altrimenti che gusto c’è?  Le risate sono contagiose ma lo è anche il coronavirus! Quindi giustamente, dobbiamo accettare che… non possiamo proprio. Il consiglio che posso dare è quello di trovare alternative, come sto facendo anch’io: adesso con tutte queste tv digitali la gente vedrà di più la televisione o i social, orientarsi quindi verso il girare piccole cose, degli spot da proporre magari a degli sponsor. Insomma, bisogna sapersi riciclare con creatività, l’ironia è sempre molto efficace nel mondo della pubblicità. E non dimentichiamoci della radio!

Prima di salutarti, ti chiedo di svelarmi il segreto della tua leggerezza d’animo…

La verità è che non lo so, col sorriso io credo di esserci nato! Ma se vogliamo provare ad analizzare cosa può portarti ad essere così è da una parte l’incoscienza, perché solo con l’incoscienza puoi essere così allegro sempre, evitando di pensare a tutto il disastro che c’è intorno a noi, perché in fondo la vita è molto bella. Ma volendo dare una risposta che possa magari essere d’aiuto a chi vede tutto nero, io consiglio di non prendersi mai troppo sul serio, mai prendere la vita con pesantezza nonostante ci siano per tutti noi obblighi e cose da cui non possiamo sfuggire. Sarà un po’ semplicistico ma in fondo è quello che funziona per me: penso solo alle cose belle, mi dedico solo alle cose belle, cerco di frequentare solo persone belle che non inquinano i miei pensieri con cose negative. Il succo del discorso secondo me è che conviene godersi il bello che disperarsi per il brutto. Concludo con una battuta che faccio anche nei miei spettacoli: inutile prendere la vita troppo sul serio tanto non ne esce vivo nessuno!

Una maratoneta in prima linea per la difesa dei detenuti.

Questo il link per visionare il c.v. della garante delle persone private della libertà del comune di Roma: http://www.affaritaliani.it/static/upload/cv-g/cv-gabriella-stramaccioni.pdf, informazioni rivelatrici delle importanti competenze di Gabriella Stramaccioni, il cui destino ho avuto la fortuna di incrociare, ritrovandomi a lottare fianco a fianco con lei per il rispetto dei diritti umani.

La mia rubrica si onora di ospitare un’intervista ad una donna che dice ma, soprattutto, agisce. Al contrario di figure istituzionali e di garanzia simili alla sua, Gabriella è sul campo in prima persona, si sporca le mani, si espone! Non sorprende il fatto che il nostro incontro, proprio quando cominciavo a perdere colpi nella battaglia contro la detenzione illegale di mio figlio, sia avvenuto grazie ad un ex detenuto e compagno di cella di Giacomo. Una volta uscito dal carcere, questo ragazzo, regista di un incontro prezioso, mi scrisse su Facebook: ”Ecco il numero di telefono di una persona che può aiutare suo figlio, una persona di cuore”. Cuore inteso come empatia ma anche come coraggio, aggiungo io. Ma vorrei conoscerla meglio attraverso qualche domanda, considerando che durante i nostri impegni condivisi, proficui ma sempre un po’ affannati (conferenze stampa, trasmissioni, il convegno di denuncia sulla situazione delle Rems), l’unica domanda personale che mi è “scappata” è stata se lei fosse madre o no. Questo perché, nel vederla agguerrita e grintosa, pur nella sua grazia e delicatezza, mi son sempre domandata dove prendesse quella forza. La sottoscritta, definita in qualche occasione “madre coraggio” per ciò che sta portando avanti, accusa momenti di totale senso d’impotenza, la tentazione di gettare le armi. Quando sento le mie energie prosciugarsi però, ricevo una “ricarica” che mi fa rialzare, solo perché sospinta dall’amore infinito che ho per mio figlio. Come fa lei? Gabriella ha tanti “figli” dimenticati dal mondo, gli ultimi e le ultime, quelli che:” se finisci in carcere e non hai i soldi per l’avvocato e una famiglia dietro, lì dentro sei finito”.

[Immagine fornita dall’Autrice]

Gabriella, vuoi dirmi qualcosa al riguardo, le persone di cui difendi i diritti, sono un po’ come figli per te?

Vedere ed incontrare tante e tanti ragazzi giovani in carcere non può non interrogarti sul senso delle opportunità e della cultura. Purtroppo tanti ragazzi non hanno la percezione esatta di quello che significa trasgredire le regole e/o soprattutto cosa significa usare e spacciare droga. Cerco di mantenere sempre la giusta distanza negli incontri e nell’attenzione delle persone detenute che chiedono un aiuto. Solo la “giusta distanza” può aiutare a trovare soluzioni razionali e non dettate da emotività.

Dal 2017 sei garante delle persone private della libertà del comune di Roma, particolarmente attiva presso Rebibbia nuovo complesso con varie iniziative, alcune delle quali di particolare successo, quindi non solo bocconi amari, mi sbaglio?

È una esperienza importante di cui ringrazio la Sindaca per avermi scelto (dopo bando pubblico). Una esperienza sicuramente faticosa ed impegnativa, che richiede un surplus di attenzione. Per me rappresenta una tappa importante del mio percorso dove cercare di convogliare le esperienze fino a qui acquisite e metterle a disposizione delle persone che ne hanno più bisogno. Un importante risultato lo abbiamo raggiunto con i lavori di pubblica utilità che sono diventati una buona prassi anche a livello internazionale.

Se potessi decidere tu, quali cambiamenti immediati apporteresti in particolare a Rebibbia?

Sicuramente rafforzerei la parte sanitaria e la cura per coloro che arrivano in carcere per motivi legati alle loro condizioni sociali.

Grazie Gabriella, a presto con altri risultati del tuo importante apporto nella garanzia del rispetto dei diritti umani e non solo, buon lavoro!

Titti Improta, giornalista
professionista dal 2009, è segretario regionale dell’Ordine dei giornalisti
della Campania
e presiede la Commissione Pari Opportunità

Lavora per la televisione napoletana
Canale 21, per la quale conduce la striscia sportiva quotidiana Supersport21,
il programma dedicato alla Champions League, Champions21 ed il programma
sportivo della domenica “Campania Sport”.

Si è occupata di cronaca, politica ed attualità per i programmi “L’aria che tira” e “L’aria d’estate” in onda su La7. È stata protagonista del format televisivo in onda su Rete 4, “Donnavventura”.

Immagine fornita dall’ospite

Gentile Titti, il nostro
giornale dedica molta attenzione all’universo femminile, approfondendo, in
particolare, tutte quelle forme di violenza e discriminazione di cui le donne
sono troppo spesso vittime, per contribuire a mantenere alta l’attenzione e
favorire ogni forma di contrasto. Nella tua qualità di Segretario e Presidente
Pari Opportunità del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Campania, su
cosa si stanno concentrando i tuoi impegni in tal senso?

Grazie per questa domanda. Porre
l’attenzione su queste tematiche mi sta molto a cuore. Con altre 14 colleghe
componiamo la Commissione Pari Opportunità che si occupa di tematiche relative
alla discriminazione di genere. Il nostro fiore all’occhiello si chiama PAROLE
IN ORDINE un piccolo decalogo che portiamo all’interno delle scuole per
sensibilizzare gli studenti al corretto utilizzo delle parole attraverso i
social. Troppo spesso si utilizzano parole improprie od offensive molto più
facilmente sui social perché ci si sente “protetti” da una tastiera. Guardare
negli occhi una persona e ripetere parole offensive presuppone che si abbia
molto coraggio e convinzione del pensiero che si sta esprimendo. Meno hate
speech e più confronto consapevole è ciò che cerchiamo di diffondere. Attraverso
i corsi di formazione, inoltre, poniamo l’attenzione anche su argomenti quali
la violenza contro le donne, l’omofobia, la transfobia, i minori vittime della
violenza, i disabili e le fasce deboli della società.

Nel marzo dello scorso anno
sei stata, tuo malgrado, protagonista di un episodio molto spiacevole di cui si
è parlato tantissimo. L’ex tecnico del Napoli, Maurizio Sarri, in una
conferenza stampa, si rivolse a te con espressioni, per usare un eufemismo,
poco eleganti. Si parlò di “sessismo”. Ci hanno colpito, in particolare, le tue
dichiarazioni seguenti, in cui esprimesti il maggior dispiacere per le
“risatine” della sala. Cosa è successo da quel momento? Hai avvertito una presa
di consapevolezza da parte dei tuoi colleghi?

In quel momento e lo ripeto
ancora oggi, ho detto che Sarri non era sessista ma la sua frase lo era.
Considero la sala stampa un luogo “inviolabile”. Giornalisti ed addetti ai
lavori, a mio parere, hanno l’obbligo di comportarsi ed utilizzare parole
consapevoli del fatto che tanta gente guarda, ascolta e legge, prendendo ad
esempio, parole ed atteggiamenti. Non si può dare un cattivo esempio e non si
possono utilizzare parole inappropriate o volgari soprattutto sul luogo di
lavoro. Purtroppo ho dovuto constatare che nonostante il clamore mediatico di
quella vicenda, ancora oggi battute ed insinuazioni di carattere
sessista sussistono.

Più in generale, cosa avverti
nel nostro Paese? Che sensazione hai rispetto alla posizione della donna nella
società italiana? Sono sufficienti le norme contro la discriminazione di genere
o ci sono ancora lacune nel nostro ordinamento?

C’ è ancora tanto lavoro da fare. Il codice rosso è un passo in avanti, ma deve focalizzarsi costantemente l’attenzione verso la discriminazione di genere. Penso al gap salariale ad esempio, tema sul quale bisogna intervenire. L’Italia in questo senso mostra ancora le sue debolezze. Si fanno ancora tante chiacchiere ma di fatto la donna resta ancora ai margini in determinati ambienti.

Immagine fornita dall’ospite

Non possiamo non rivolgerti
una domanda sulla tua città, Napoli, particolarmente amata dal direttore e
dalla redazione di Condivisione Democratica. In realtà, ti chiediamo un tuo
racconto, una tua personale visione e descrizione di questa meravigliosa terra

Ho viaggiato tanto nella mia vita
e subisco il fascino dell’avventura. Amo stare all’aria aperta e nello stesso
tempo ho una curiosità smodata verso luoghi lontani, culture, lingue, usi
differenti. Napoli è nel mio cuore. Più viaggio e più mi rendo conto della
bellezza accattivante della città. Può essere selvaggia, rumorosa e nello
stesso tempo appagante. Se hai la fortuna di isolarti in mezzo al mare puoi
godere l’anima contrastante della città eternamente divisa tra caos e bellezza.
Secondo me la cosa più bella di Napoli è che ogni luogo è ricco di storia,
mistero e natura. Amo isolarmi a mare lontano da tutto ma adoro anche in
particolari momenti gettarmi tra i vicoli del centro storico e lasciarmi
catturare dalla maestosità delle antiche Chiese.

In questo numero dedichiamo
uno speciale al valore della Democrazia. Il nostro desiderio è quello di
alimentare il dibattito e l’approfondimento nei confronti di una concezione che
sembra essere messa in discussione. Ci puoi esprimere il tuo pensiero? 

La democrazia alimenta il
confronto, apre le menti e determina iniziative legislative che senza il
movimento delle coscienze difficilmente arriverebbero a concretizzarsi.
Personalmente ritengo di essere molto liberale nel pensiero ma determinata
nell’azione. Mi spiego meglio: se una persona sbaglia, va punita. Solo in
questo modo, atteggiamenti illegali o illegittimi potranno essere limitati. Non
bisogna chiudere un occhio nel prendere le decisioni, altrimenti eventi o
atteggiamenti sbagliati prenderanno il sopravvento. In Italia politicamente la
cosa che detesto è che si parla tanto e si concretizza poco.

Barbara, Barbara e basta, senza cognome, perché lei non ama farsi pubblicità: una ragazza dalla chioma riccioluta, una leonessa dell’attivismo, conosciuta ad una manifestazione di solidarietà ai profughi. Lei spiccava, con il suo mantello da super eroina (la bandiera della pace a mò di scialle), il sorriso e l’energia da spargere tra noi sorelle e fratelli africani, italiani, indiani, insomma, della razza umana.

Foto di Loretta Rossi-Stuart

La incontrai di nuovo presso l’ex presidio Baobab, dove regolarmente offriva assistenza ed in particolare, portava tè caldo
alle persone all’addiaccio: da quel momento per me lei divenne la portatrice di
tè e calore umano. Ma ecco che ora noto il suo guizzo e il suo vortice di
energia positiva in questo tsunami chiamato movimento delle sardine, contatto
ristabilito!

Barbara, ti ho lasciata al
Baobab e ti ho ritrovata a Piazza San Giovanni, ma non in veste di comune
sardina come me, bensì con un ruolo attivo nell’organizzazione della
manifestazione. Premesso che, conoscendo il tuo fervore e la tua umanità non mi
ha sorpreso affatto, ti chiedo di raccontarmi com’è andata, come avete fatto in
pochi giorni a creare il contatto e a coordinarvi tra voi?

Immagine dal Web

È stato tutto molto improvviso, una mattina mi sveglio e trovo l’invito a un gruppo fb SARDINE DI ROMA, nel momento stesso che avevo deciso di contattare i ragazzi di Bologna per chiedere se potessi aprire una pagina o un gruppo per Roma. Quindi  contatto. l’amm del gruppo Sardine di Roma, Stephen Ogongo, che subito mi chiede di collaborare come moderatrice. Accetto anche se lui mio spiega che ancora non era riuscito a mettersi in contatto con Bologna. Allora caparbiamente, comincio ad inviare mail e messaggi fino a quando con Ogongo riusciamo a stabilire il contatto e… PARTENZA, VIA! Nei pimi giorni 100.000 adesioni al guppo, notte e giorno a moderare, accettare, approvare, controllare…senza sosta. Intanto Ogongo aveva inserito altri moderatori e moderatrici: abbiamo fatto la nostra prima riunione la sera stessa in cui Mattia era a Roma ospite di una trasmissione. Ci ha raggiunte (al femminile perchè sardine) e abbiamo fatto conoscenza per la prima volta tra noi e con lui (Mattia) e Joy e Lorenzo. Quindi la foto di rito e poi tanto altro..stravolta e travolta,  stremata ma entusiasta, arriva ill 14 dicembre e la gioia di riempire la piazza come mai avremmo previsto!

Io non
sono riuscita ad avvicinarmi al palco, ma mi sembra di averti vista accanto a
Mattia Santori mentre parlava, dimmi le tue sensazioni nel vedere quel mare
multicolore,  e poi, a proposito del “non palco”, è stata una
scelta simbolica o mancanza di mezzi?

Come te migliaia di persone non sono riuscite ad avvicinarsi, neanche la mia famiglia che mi ha raggiunto poi verso le 18. perciò era una marea umana, pacifica e colorata, che si abbracciava, cantava, ballava…e fino alle 19 le sardine sono restate in piazza, non volevano lasciare quella piazza, non volevano che quel momento finisse mai.

La
scelta è stata perchè i soldini raccolti con il crowfunding sono stati suffi
cienti a coprire spese ridotte,
e abbiamo dato del nostro meglio, potevamo fare meglio, di più
, ma nessuno di noi fa
questo di mestiere, abbiamo dato il massimo e fatto del nostro meglio.

Dei punti – proposta che sono echeggiati in piazza sorvolando i visi sorridenti di giovani, anziani, persone di varie etnie e orientamento sessuale, bambini e sardine nere, quello che sta particolarmente a cuore ad entrambe è la richiesta di abrogare il decreto sicurezza. Tu che militi da anni nel campo dell’accoglienza e che ora sei promotrice di una raccolta firme a favore dell’abrogazione, come hai vissuto il decadente momento in cui Salvini ha decretato che fossero messi in strada migliaia di persone? Dopo il nostro  flash mob davanti al C.A.R.A. di Morlupo, nel tentativo di bloccare quella disumana evacuazione, che altri effetti hai potuto testimoniare e credi che le sardine saranno ascoltate sotto quest’aspetto?

Foto di Loretta Rossi-Stuart

I
DECRETI SICUREZZA ( DA MINNITI AL PRIMO AL BIS)
Precisamente io aiuto a
diffondere  una
raccolta firme
, una petizione, che #ioaccolgo  sta promuovendo.

Dire
decadente è un eufemismo, direi che è una vera e propria tragedia umana. Alla
quale come sai mi sto opponendo ogni qual volta posso urlare il mio dissenso.
Ero in piazza del popolo con la bandiera della pace un anno fa, l’8 dicembre,
quando il COSO faceva il suo orrendo comizio…perch
è volevo con il mio corpo
in piazza il mio dissenso.

Le
persone stanno vivendo una vera tragedia, migranti e non, e con questo decreti
INSICUREZZA si sta togliendo la speranza a chi chiede solo di vivere da essere
umano, ma anche ai no
stri connazionali che operano nel settore, a tutti coloro che avevano
intrapreso un percorso di integrazione che ora è stato bruscamente interrotto e
si ritrovano in strada, e sono preda facile della criminalità e delle mafie,
del caporalato e di ch
i su queste tragedie ci specula, dai politici come il COSO ai mafiosi e criminali che
lucrano sulla pelle degli ultimi.

Un
ultima quanto ovvia domanda, che futuro per questo meraviglioso e prezioso
movimento?


Il futuro è diventare oceano, di bellezza e di pace.

Nella
concretezza tornare a parlare alla testa delle persone, riportare il dialogo su
basi civili, oscurare i temi che scatenano odio, continuare ad occupare le
piazze, uscire dai social e ritrovarci insieme a difendere i nostri diritti.
Fuori dai social, questo è molto importante e questo è quello che faremo.

Grazie Barbara e, come mi hai insegnato tu, Aiwa!