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di Alessandra Macrì

Uso con malcelato disagio i tasti del telecomando. Non sono da Netflix e Prime. Da interno borghese riqualificato ai tempi della serialità. Non ci sto sul divano del decubito, appresso alle puntate. Per rappresaglia, mi vieto anche i film da addomesticati. Dal cinema pretendo il sequestro, lo spazio che annienta la realtà. Buio in sala e i baci potenziati dalla visione. 

Brividi d’autore però scoppia subito nel chiarore scintillante delle pellicole che hanno fatto la storia del cinema italiano, levandomi nel tempo di un battito di ciglia, alla nostalgia. Pierfrancesco Campanella non ama i preamboli. Le attese. L’archivio di Alfredo Bini compare come dichiarazione di poetica che congiunge generi diversi alla ricerca di un entomologo. Omaggio alla tradizione e ricerca smisurata del codice per registrare l’evento: l’attimo in cui accade il cinema nuovo. Il link tra Anna Magnani in Mamma Roma e la meravigliosa Maria Grazia Cucinotta di Campanella, persino più bella quando compare senza trucco. 

Secondo Fabio Melelli, docente universitario di Storia del Cinema: ‘Pierfrancesco Campanella è un regista atipico nell’ambito del panorama cinematografico italiano. Un cane sciolto, nel vero senso della parola, completamente al di fuori delle regole del sistema. Le sue opere, spesso contestate da certi critici pseudointellettuali che osannano solo gli artisti schierati, sono disturbanti e politicamente scorrette, anticipando spesso tematiche scomode. Il tempo però gli sta rendendo giustizia e i suoi vecchi film stanno ultimamente diventando veri e propri cult movies’. Annuisco e mi addentro, esaltandomi sui versi di Bukowski.

Lo stile è la risposta a tutto. Un modo nuovo per affrontare qualcosa di noioso o pericoloso fare una cosa noiosa con stile è preferibile al farne una pericolosa senza. fare una cosa pericolosa con stile è quello che io chiamo arte.

Da Charles Bukowski a Ben Gazzara, alias Charles Serking in “Storie di ordinaria follia”, diretto da Marco Ferreri, a uno degli insensibili interlocutori di Louiselle Caterini in “Brividi d’autore”, diretto da lei. Fino a che punto si può osare, provocando le cose pericolose della vita per sottrarsi a quelle noiose, e quando è lo stile che deve intervenire a imporre una misura? Intendo: la vita, da sfruculiata, va verso le sue conseguenze drammatiche, o irrisorie, o fatali. Quando è che l’artista capisce che ha trovato l’ultima scena, quella da cui riverberano tutte le altre, o mai più nessuna, tanto da dare un taglio alle provocazioni che infligge alla vita?

Forse quell’ultima scena non si trova mai. Troppe variabili entrano in gioco durante la fase delle riprese. Ad ogni buon conto, uno stile è fatto di regole che possono essere sovvertite durante il montaggio. E’proprio lì che occorre imporre un ritmo e un pathos crescente.

È possibile ovviare a quanto Mariagrazia Cucinotta, Louiselle, finisce per scegliere quasi fosse – per tutti? Finora i suoi film sono stati profetici… – l’ultima spiaggia, raggiungendo il successo e per ciò corrispondendo in uno al mercato, al conto in banca, e al proprio legittimo desiderio di essere altro tutt’altro da quello che la gente, il pubblico, deve sapere dell’artista? Che prezzo si può arrivare a pagare in nome di questo scopo?

Un prezzo alto, dettato dalla sincerità che prima di tutto si deve a se stessi e poi al proprio pubblico. Ma il cinema è soprattutto un prodotto industriale, fatto anche di mediazioni tra quello che il produttore vorrebbe importi e la tua personale esigenza di raccontare una storia. 

Calvino sosteneva che per scrivere devi uccidere i cani che hai dentro. In un altro dei suoi film, “Cattive inclinazioni”, l’ambiguo personaggio della contraffattrice d’arte interpretato da Florinda Bolkan, fa larghi sorrisi mentre confessa in un talk show da prima serata che il mostro è solo la materializzazione degli istinti che non accettiamo. Quindi si potrebbe finire per eleggere l’audience giudice unico delle mostruosità accettate, accettabili. Magari facendo votare la maggioranza, il pubblico a casa, pure nel caso dei sacrifici d’autore.

Il giudice inesorabile di un artista resta sempre quello che un tempo era il botteghino mentre oggi viene dettato dal numero delle visualizzazioni sulle piattaforme. Non bisogna mai dimenticarlo! Da parte sua il pubblico detiene sempre un telecomando e a lui resta sempre il sacrosanto diritto di cosa scegliere.

Finiremo per abitare la società della cronaca nera? L’editoria piazza overdosi di noir, i telegiornali e i salotti televisivi storie di massacri en famille, passeggiando distrattamente al parco, quando si teme di dare alla luce un bambino nelle situazioni più stravaganti.

E’ la triste prerogativa dei nostri giorni: spesso la realtà supera di gran lunga la fervida fantasia anche di un perverso sceneggiatore o di un regista dalle inclinazioni pericolose. Ce lo dimostrano quotidianamente i programmi televisivi del daytime o di seconda serata, infarciti di efferati casi di cronaca, tesi a tenere alta l’attenzione dello spettatore per un punto di share in più. 

Sperava non fossero profetici i film che girava alle soglie del nuovo millennio?

Immodestamente forse avevo già previsto tutto. I processi oggi vengono celebrati nei nuovi tribunali dell’Inquisizione, inscritti nella scatola televisiva. Il delitto di Cogne in questo ha aperto la strada ad un nuovo e discutibile modo di fare televisione.

Il mostro è Frankenstein. Ma la creatura di Mary Shelley è un ipersensibile esteta sopraffatto da bellezza, un contemplativo condannato dalla meschinità degli umani.

La stessa innocenza dei bambini, quella che abbiamo irrimediabilmente perso nel passaggio alla vita adulta. Ma anche i bambini sanno essere sufficientemente crudeli, specie quando emulano gli adulti.

Stare chiuso qui dentro cercando di conservare cosa non è esistito mai. Incombe come una mannaia nello script di “Brividi d’autore”. Mi ha folgorata. Tuttavia non interrompe la ricerca, fiera e disperata, di Louiselle. Forse chi sa di incatenarsi a un mandato talmente crudele, è piuttosto Gianluigi che si rifiuta di parlare coi grandi, in “Chiedo Asilo” di Ferreri, o Premio Politano di “Cattive inclinazioni”. Il bambino chiede alla mamma: “Dimmi la verità!” Sfuggire al mondo degli adulti significa sfuggire alla necessità della menzogna. Premio Politano, l’interrotto, potrebbe essere l’assassino, o chi non saprebbe concepire misfatto, o colui il quale reagisce all’oscena prevaricazione delle regole dei grandi impugnando una squadra da disegno e facendone ghigliottina. L’artista deve cedere a conseguenze da adulto? In che rapporto stanno menzogna e invenzione?

Nella stessa correlazione che intercorre tra invenzione e rivelazione. Un assioma che potrebbe essere tranquillamente applicato all’essenza stessa del cinema..

Premio. Più che un nome proprio, la configurazione di un indizio. Chi incarna l’originale, l’eterno infante attaccato alla lingua madre, natura e origine, sguazza nell’autenticità che ripaga l’artista della lotta col proprio splendore, col molto dolore, e gli infiniti giorni d’attesa?

L’archetipo di Premio Politano è inscritto nel mito greco di Edipo nel suo rapporto conflittuale con la madre. In chiave metaforica il mio è con il cinema, un mondo tanto affascinante quanto pieno di poche certezze.

Il dolore obbliga alla ricerca e al ricordo, la guarigione preme perché sia oblio. I suoi personaggi sono lesti a ripulirsi delle croste, dagli esiti delle suppurazioni sulla coscienza. Si ributtano nel gioco, si ficcano nella mischia, ascoltano la carne. Quanta voce dà alla carne per alimentarci la sua ispirazione?

Citando Charles Bukowski, nel desiderio sessuale “si commette il più vecchio dei peccati nel più nuovo dei modi”.

In “Storie di ordinaria follia” di Ferreri Ben Gazzara minaccia la svenevole partner: Vuoi che mi tolga la cinghia? Lei lo riporta nei frame collegati alla fantasia di Mariagrazia Cucinotta. Si tratta di una formula assai pronunciata almeno dal secondo dopoguerra, lungo i viali rigogliosi del boom economico, nelle belle case delle belle famiglie italiane. Spettava ai migliori pater familias. Non ci sono più i ‘maschioni’ di una volta?

Non sempre. Ad esempio Ferreri ne “L’ultima donna” aveva sentenziato che l’uomo era perduto, sconfitto dal suo stesso machismo e per questo destinato all’autoevirazione. E non si tratta di un caso isolato!

Uno dei malfattori di una Justine postmoderna, negandole aiuto a dispetto dei loro trascorsi rivela: Io non credo nei sogni Louiselle. È possibile fare cinema e non credere nei sogni? In “I love Marco Ferreri”, Pierfrancesco Campanella espone una citazione da Edgar Allan Poe: “Tutto ciò che vediamo sentiamo o siamo non è altro che un sogno dentro un sogno”

In questo Fellini è stato un maestro. Da “Otto e mezzo” in poi non ha fatto altro che raccontare la stessa storia. L’interpretazione dei suoi sogni in un’ottica junghiana, complice l’incontro con lo psicoterapeuta Ernst Bernhard.

Se perde la possibilità di credere alla creatura cosa ne è dell’artista? Colui che sogna si soddisfa completamente di ciò che sogna. Uno dei moventi a fare arte ancora oggi, secondo Manifesto, l’installazione-lungometraggio del 2015, di Julian Rosefeld.

“La vita è sogno” resta una splendida commedia di Calderon de la Barca. Ma ci sono anche le bollette da pagare… e forse lì si torna alla cruda realtà. 

Hanno paragonato i suoi film per genere e stile a quelli di Dario Argento. Ma lei fa sceneggiature tarantolate, dialoghi in cui ironia e autoironia e persino meta ironia la fanno da padrone. Colgo una volontà programmatica di sottrarre pathos a favore di un estetizzante gusto per il pulp. Quentin Tarantino o gli spazi percorsi dall’orrore misurato goccia a goccia in Dario Argento?

Mi onoro del paragone con due indiscussi Maestri. Non a caso il primo non ha mai nascosto la sua passione per il nostro cinema di genere, mentre al secondo mi sono ispirato quando ho girato trent’anni fa “Bugie rosse”. In quella pellicola non è difficile scovare più di un riferimento a “Profondo rosso”.

Satira derisione deformazione grottesca di una società immune al cambiamento sono i tratti costitutivi della poetica di Ferreri. Il lei di una società globalizzata che ha fondamenta nelle paludi, sulle sabbie mobili di movimenti schizoidi, in flash forward.

Non a caso il “grotesque” e il “divertissement” sono tratti costitutivi della filmografia ferreriana, che io amo molto.

Invece i suoi personaggi appaiono piuttosto materici, attaccati all’oggettività della soddisfazione. L’amore è incompatibile col terrigno, mero, dato di realtà? E poi ‘L’amore è un crimine che richiede un complice’. Nei suoi film si invera l’homo homini lupus. “Solitudini. Ecco cosa siamo”.

In quell’episodio le chiavi di lettura sono molteplici. In pochi minuti vengono affrontati diversi temi come il complesso di Edipo del protagonista, l’omosessualità, i disturbi alimentari ma il nodo principale è quello dell’incomunicabilità di oggi, dominata dai social media. Anche un tema attualissimo come la violenza sulle donne appare ribaltato: da vittima inconsapevole la protagonista si trasforma in una implacabile carnefice.

Lei non mi pare ami cuocere la vittima a fuoco lento. Alla tortura, che imporrebbe il supplizio dell’attesa, preferisce il colpo secco. E la telecamera indugia, sul dopo. La sua preferenza estetica la mette accanto a Rust, in “True Detective”, mentre sbatte sul tavolo delle indagini le foto di tutte quelle donne. Tutti quei corpi arresi, esposti a ciò che infine hanno accettato. A proposito dei corpi. Ipotizza copioni anche in funzione delle sue attrici ricorsive, adattando i ruoli ai loro cambiamenti fisici, o si augura che il corpo delle donne che ha scelto per i suoi film resti inviolato, scampato al tempo, fermo come nei primi frame in cui lei lo ha inquadrato?

In generale non ho mai scritto una sceneggiatura in funzione di una interprete in particolare. Le attrici tendono ad essere poco inclini ad essere imbruttite per esigenze di copione. Preferisco quelle che sanno comprendere la natura del loro personaggio e si appassionano convintamente al progetto.

Ferreri sostanzia di molte belle scene la superiorità della donna. “Ciao maschio”, per esempio, ha battute e dichiarazioni di intenti paragonabili alle scelte di protagoniste di François Truffaut, o di Jean-Luc Godard. Serva del potere, angelo distruttore, natura che autoperpetua se stessa o nuova, iconica alternativa a tutte le strettoie, altrettanti recinti di genere, evocate finora?

Ne cito una su tutte: l’enigmatica e crudele Andrea Ferreol che, ne “La grande abbuffata”, assiste impassibile al desiderio di morte e autodistruzione dei quattro protagonisti.

Francesca Dellera andava mangiata?

Era la diretta risposta ai suoi film precedenti dove la misoginia del maschio veniva combattuta dalla voracità femminile. Nella sua follia Paolo, per non perdere Francesca, la fa a pezzi e se ne ciba. Ma con questo gesto perpetua il desiderio di una comunione totale con il suo corpo. A distanza di oltre trent’anni un film del genere non sarebbe realizzabile.

Sul versante dei legami alternativi alla famiglia tradizionale, mi pare lei non indugi in facili consolazioni. Rispetto all’agito da Ferzan Ozpetek, per esempio, nei suoi film non ci stanno amici che tengano, spariscono i fratelli biologici e quelli di confidenze e avventure comuni, pure il tetto sotto cui ripararsi per allestire qualche progetto nuovo, rischia di essere meno di una allucinazione. Niente esiste, fuori dalla tirannide di desiderio, o al limite passione?

Non sempre è così. Se ripenso al mio debutto dietro la macchina da presa con la commedia “Strepitosamente… flop!”, al centro della vicenda c’era un gruppo di amici che avevano deciso di vivere insieme in una sorta di “comune”, legati da diverse aspirazioni sul loro futuro. Condividevano gioie e dolori, momenti di gloria e numerosi fallimenti, tipici di chi si affaccia alla vita adulta. Lì l’amicizia ricopriva un ruolo fondamentale: l’esatto specchio della mia vita privata. Ho pochi amici ma buoni, su cui so sempre di poter contare. 

Incazzarsi è un modo di divertirsi senza ridere come sosteneva Ferreri?

Per me che ho avuto il privilegio di conoscerlo era solo un suo personale modo per sovvertire le regole del buonismo a tutti i costi. Fino al suo ultimo film ha difeso strenuamente il suo sacrosanto desiderio di odiare e di combattere contro i pregiudizi della nostra società.

Per carità le belle famiglie italiane che non ci sono più. Ma quell’attaccamento che può intuire solo chi abbia lottato assieme su un set, chi abbia sofferto la condivisione della nascita di un progetto, l’affetto per gli attori e gli altri addetti ai lavori cinematografici, diventa inevitabile?

Non sempre è così. Con alcuni di loro nasce un rapporto di amicizia e di reciproca stima che mi porta a scritturarli anche in nuovi progetti. Con altri ci si perde di vista per mille motivi ma quando ci si ritrova è sempre una gran festa. Recentemente ho ritrovato un mio vecchio collaboratore, Roberto Girometti, direttore della fotografia di uno dei miei primi film. E’ bello ricordare con lui tanti aneddoti legati ai vecchi tempi.

Un sopruso artistico equivale a uno stupro?

Qualche volta in passato mi è capitato di cedere alle imposizioni di qualche produttore. Oggi, fortunatamente, complice l’esperienza e gli anni sul set, dispongo di un maggior margine di potere decisionale.

I giochi di specchi funzionano sempre, perché alla gente piace guardare gli altri. “Perché a nessuno piace vedere cosa è davvero”. Secondo George Bernard Shaw si usa uno specchio per guardare il viso e si usano le opere d’arte per guardare la propria anima. Quale via di scampo resta all’artista?

Non penso sia soltanto una caratteristica di una società, liquida e voyeuristica come la nostra. La dinamica del guardare e dell’essere guardati è antecedente al cinema e risiede nel suo fratello maggiore, il teatro. Da un palchetto d’opera lo spettatore poteva rimanere ammaliato dal talento dei suoi interpreti ma se la ieraticità dell’artista non catturava la sua attenzione, aveva come alternativa quella di poter sbirciare da una prospettiva privilegiata vizi e virtù di cosa accadeva negli altri palchetti: lo specchio della vita che, a mio giudizio, è sempre più interessante. 

Una vita senza segreti è una vita esposta al pubblico ludibrio?

Poteva esserlo per un esteta come Oscar Wilde. Tocca a noi fare della vita un’opera d’arte, sublime e maestosa.

L’io narrante di “I love Marco Ferreri”, l’uomo che perde il contatto coi propri passi mettendosi sulle tracce del regista scomparso, dice: “E finisco sempre per trovare un indizio di partenza perché il caso non esiste”. È così?

E’ la parabola del suo modo unico di fare cinema: quella di un intellettuale dall’unghia affilata che, grattando le false certezze del modernismo, ci mostrava impietosamente la scimmia dietro l’uomo e il nulla dietro la scimmia.

Nel cinema di Ferreri la fotografia passa dai colori alterati, volutamente artificiali, degli inizi, ai toni lividi della metropoli in cui si compie la disillusione d’amore del giovane Christopher Lambert, alias Michael. È possibile che anche lei diriga la sua vocazione ad accogliere atmosfere paragonabili, in cui l’unico polo di brillante chiarore sia, magari, una eroina tardo romantica, appena un poco decadente, dentro ‘un film di lucida ontologia allucinatoria?

Per me Ferreri resta un insuperato Maestro del cinema italiano, ahimè spesso dimenticato e poco ricordato. E’ possibile che da buon discepolo ne abbia seguito le sue orme.

L’accordo raggiunto dopo estenuanti trattative nel Trilogo tra Parlamento, Consiglio e Commission, noto come AI Act, rappresenta una svolta epocale nella storia delle tecnologie emergenti.

Con prossimo Regolamento, pubblicato non prima della primavera 2024, l’Unione Europea si posiziona non solo come un leader normativo globale, ma anche come un pioniere nell’intrecciare etica e legge nell’ambito dell’intelligenza artificiale.

L’impatto di questa legislazione è vasto, impattando l’intelligenza artificiale la società a più livelli, influenzando l’economia nascente del settore e rafforzando i diritti umani fondamentali in un’era dominata sempre più dalla tecnologia.

Non mancano le voci critiche sulle scelte annunciate dall’Unione definite da alcuni eccessivamente allarmistiche, paternalistiche e scollegate rispetto ad un mercato ancora agli albori.

Va ricordato però che anche negli USA, paese leader nel settore della IA Generativa (Chat GPT di Open AI, Bard e Gemini di Google solo per citare i chatbot più noti) almeno 25 Stati nel 2023 hanno preso in considerazione una legislazione specifica e 15 hanno emanato leggi o risoluzioni, mentre il Presidente Biden ha firmato il 30 ottobre un Executive Order che fissa standard di protezione della sicurezza e della privacy.

Anche in Cina la Cyberspace Administration of China ha fissato linee guida sulla intelligenza artificiale generativa che impongono una disciplina specifica dei contenuti in chiave di salvaguardia dell’ordine pubblico.

Secondo PwC l’I.A. apporterà un contributo all’economia globale di 15.7 trilioni di dollari di cui, 6,6 trilioni di dollari deriveranno probabilmente dall’aumento della produttività e 9,1 trilioni di dollari nei da effetti collaterali sui consumi che saranno rivoluzionati in praticamente tutti i mercati insieme alla logistica.

Le applicazioni di Intelligenza artificiale generativa ( qualsiasi tipo di intelligenza artificiale in grado di creare, in risposta a specifiche richieste, diversi tipi di contenuti come testi, audio, immagini, video) sono in continuo aumento generando condivisibili ansie in tutti i settori in cui l’impatto sulla occupazione è considerato rilevante quanto inevitabile.

Principali tools di IA generativa by Sequoia al 17 ottobre 2022

La regolazione europea: principi fondamentali

Schematizzando i contenuti dell’accordo raggiunto dai tre legislatori UE ecco gli elementi salienti del prossimo Regolamento.

Protezione dei diritti civili

Il cuore dell’AI Act europeo è focalizzato sulla protezione dei cittadini contro i rischi potenziali delle nuove applicazioni.

La norma fisserà una serie di divieti mirati a salvaguardare la privacy e prevenire abusi possibili ai danni dei cittadino, fra cui:

  • sistemi di categorizzazione biometrica che utilizzano caratteristiche sensibili (es. convinzioni politiche, religiose, filosofiche, orientamento sessuale, razza);
  • raccolta non mirata di immagini facciali da Internet o filmati CCTV (TV a circuito chiuso) per creare database di riconoscimento facciale;
  • riconoscimento delle emozioni sul posto di lavoro e nelle istituzioni educative;
    punteggio sociale basato sul comportamento sociale o sulle caratteristiche personali;
  • sistemi di intelligenza artificiale che manipolano il comportamento umano per aggirare il loro libero arbitrio;
  • ogni applicazione in cui l’intelligenza artificiale viene utilizzata per sfruttare le vulnerabilità delle persone (a causa della loro età, disabilità, situazione sociale o economica).

Le eccezioni per le forze dell’ordine
Nonostante le restrizioni generali, la norma in fieri concede specifiche eccezioni per le forze dell’ordine, bilanciando le esigenze di sicurezza pubblica con la tutela dei diritti individuali che includono l’uso controllato di sistemi di identificazione biometrica in contesti dove la sicurezza pubblica potrebbe essere in gioco, come la ricerca di sospetti di gravi reati. L’obiettivo è prevenire l’abuso di tecnologie potenzialmente invasive come ad esempio l’identificazione generalizzata dei partecipanti ad una manifestazione politica, sindacale ecc.

Dettagli sugli obblighi per i sistemi ad alto rischio
L’AI Act classifica alcuni sistemi di intelligenza artificiale come “ad alto rischio” ovvero quando risultano capaci di incidere in modo sensibile sulla salute e sui diritti fondamentali delle persone fisiche.e impone loro requisiti rigorosi per garantire la sicurezza e la conformità etica. Questi sistemi includono quelli impiegati in settori critici come la sanità, il trasporto, l’energia, dove un malfunzionamento o un abuso potrebbe avere conseguenze gravi. Il regolamento richiede che questi sistemi siano trasparenti, affidabili e soggetti a valutazioni d’impatto periodiche.

Implicazioni per i sistemi di I.A. generali
Per i sistemi di I.A. di uso generale, si applicheranno norme di trasparenza e obblighi di documentazione tecnica. Una cautela è particolarmente importante per i sistemi che, pur non essendo classificati come ad alto rischio, hanno comunque il potenziale di influenzare significativamente la vita quotidiana delle persone. Le norme si spera garantiranno che gli utenti comprendano come e perché determinate decisioni vengono prese dai sistemi di I.A., promuovendo una maggiore fiducia nell’uso della tecnologia.

Promozione dell’innovazione e supporto alle PMI
Un aspetto fondamentale dell’AI Act è il suo impegno per promuovere l’innovazione e supportare le piccole e medie imprese ma anche gli alti costi di implementazione. Solo l’addestramento e la formazione di ChatGPT-4 è costata 100 milioni di dollari. Commissione, Consiglio e Parlamento UE hanno concordato l’introduzione di “sandbox regolatori” spazi liberi per stimolare lo sviluppo tecnologici . Tali ambienti controllati permettono alle aziende di sperimentare e affinare le soluzioni di I.A. prima del lancio sul mercato, riducendo così gli ostacoli alla crescita e alla competitività.

Sanzioni
L’AI Act non solo stabilisce linee guida, ma prevede anche sanzioni rigorose per la non conformità, che possono arrivare fino a 35 milioni di euro o al 7% del fatturato globale dell’azienda. Queste misure dimostrano la serietà con cui l’UE intende far rispettare le nuove normative, sottolineando l’importanza di un uso responsabile dell’IA.

Impatto e crescita dell’Intelligenza Artificiale in Italia

La diffusione e l’importanza dell’intelligenza artificiale in Italia sono messe in luce da dati recenti forniti dall’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano. Questi dati rivelano che il mercato dell’Artificial Intelligence nel nostro paese vale attualmente 380 milioni di euro, registrando un impressionante aumento del 27% rispetto all’anno precedente.

Un terzo degli investimenti per progetti di Intelligent Data Processing, il 28% NLP e Chatbot, il 19% Recommendation System, il 10% Computer Vision, il 9% Intelligent RPA

Oltre 6 grandi imprese su 10 hanno già avviato almeno un progetto di AI, tra le PMI il 15%

Il 93% degli italiani conosce l’AI, il 58% la considera molto presente nella vita quotidiana e il 37% nella vita lavorativa. 

Il 73% degli utenti ha timori per l’impatto sul lavoro

Nonostante questa rapida espansione, emerge una discrepanza nella percezione pubblica dell’IA: sebbene il 95% delle persone sia a conoscenza dell’esistenza dell’IA, solo il 60% è in grado di riconoscerne le funzioni in prodotti e servizi concreti. Questo sottolinea la necessità di una maggiore consapevolezza e comprensione dell’I.A. tra il pubblico italiano come confermato uno studio di Goldman Sachs secondo cui abbiamo il tasso più basso di ricerca dei principali tool di I.A. sul web in tutta Europa.

L’influenza occulta della I.A. nel marketing il vero rischio per i consumatori
Nell’era digitale, il marketing assistito dall’intelligenza artificiale sta diventando sempre più raffinato e pervasivo.

In Italia il 19% del mercato della I.A. è legato ad applicazioni basate su algoritmi che suggeriscono ai clienti contenuti in linea con le singole preferenze (Recommendation System).

Se da un lato l’intelligenza artificiale offre benefici in termini di personalizzazione dell’offerta e efficienza nella customer care, dall’altro nasconde rischi significativi per i consumatori.

McKinsey Applicazioni dell’AI marketing nel ciclo di vita del cliente – Smart Insights, 2021

Uno studio di McKinsey ha messo in evidenza con accuratezza e precisione come l’intelligenza artificiale può incidere un tutto il ciclo di vita commerciale del cliente dalla creazione dei contenuti per generare la domanda all’analisi predittiva dei bisogni e più ancora a strumenti molto discussi come il dynamic pricing e persino al customer service predittivo.

L’utilizzo spregiudicato della I.A. nel marketing può tuttavia portare a manipolazioni, invasione della privacy e amplificazione di pregiudizi chiaramente in contrasto con le garanzie e tutele previste dagli ordinamenti dell’UE e nazionali.

Manipolazione comportamentale

La I.A. può analizzare enormi quantità di dati per creare profili utente dettagliati, permettendo ai marketer di indirizzare messaggi pubblicitari in modo estremamente personalizzato. Questo può sfociare in tecniche di manipolazione che sfruttano le vulnerabilità psicologiche degli individui, influenzando le loro decisioni di acquisto in modi che possono non essere nel lorointeresse ovvero decisioni commerciali che non avrebbero assunto con la dovuta consapevolezza in contrasto con il Codice del Consumo.

Invasione della Privacy

Il marketing basato sull’I.A. richiede l’accesso a dati personali spesso sensibili. La raccolta e l’analisi massiva di questi dati, senza il consenso esplicito e informato dell’utente, rappresentano una grave violazione della privacy. Inoltre, l’accumulo di dati può aumentare il rischio di fughe di informazioni e abusi.

Amplificazione di pregiudizi e discriminazioni

L’I.A. è priva di pregiudizi sono se lo sono anche i dati su cui è addestrata. Se i contenuti appresi riflettono pregiudizi esistenti, il programma può involontariamente perpetuarli e amplificarli Nel contesto del marketing, ciò può tradursi in discriminazioni basate su età, genere, etnia o altre caratteristiche personali, con campagne mirate che rinforzano stereotipi e disuguaglianze.

Conclusioni: la necessità di una regolamentazione responsabile nell’interesse di cittadini e imprese

Alla luce di questa breve disamina, diventa essenziale che l’impatto sulla vita dei cittadini dell’I.A. sia sottoposto a una regolamentazione attenta e responsabile, in linea con i principi dell’AI Act e le altre fonti dei diritti fondamentali.

La tutela dei cittadini, anche nella veste di consumatori, deve essere una priorità, garantendo un marketing trasparente, etico, che non invada la privacy o manipoli le persone profilandole illegalmente e inducendole a scelte di ogni tipo in contrasto con il proprio interesse e quella delle loro comunità.

L’AI Act dovrà ricevere l’approvazione formale del Parlamento europeo e del Consiglio, per entrare quindi in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.

La legge sull’IA diventerà applicabile due anni dopo la sua entrata in vigore, fatta eccezione per alcune disposizioni specifiche: i divieti si applicheranno già dopo 6 mesi, mentre le norme sull’IA per finalità generali si applicheranno dopo 12 mesi.

Per il periodo transitorio che precederà l’applicazione generale del regolamento, la Commissione ha deciso di lanciare il Patto sull’IA, rivolto a sviluppatori di I.A. europei e del resto del mondo, che si impegneranno a titolo volontario ad attuare gli obblighi fondamentali della legge sull’IA prima dei termini di legge.

Il testo del futuro Regolamento UE e la sua attuazione richiederanno certamente ulteriori approfondimenti, specifiche tecniche più dettagliate e chiarimenti su chi debba vigilare, contemperando il sempre difficile equilibrio tra regolazione e libertà di iniziativa economica in un settore in cui USA, Cina e Regno Unito sono leader mondiali con solo due Paesi della UE ovvero Francia e Germania ben distanziati in termini di investimenti e startup.

In quest’estate calda e torrida, proponiamo questa bella poesia di Umberto Saba, “Meriggio d’estate”, tratta dalla sua opera Il Canzoniere (1921), che ci richiama alla natura, alla pace e all’armonia ma, al contempo, ci riporta alle gravi problematiche dei cambiamenti climatici in corso.

Silenzio! Hanno chiuso le verdi
persiane delle case.
Non vogliono essere invase.
Troppe le fiamme
della tua gloria, o sole!
Bisbigliano appena
gli uccelli, poi tacciono, vinti
dal sonno. Sembrano estinti
gli uomini, tanto è ora pace
e silenzio… Quand’ecco da tutti
gli alberi un suono s’accorda,
un sibilo lungo che assorda,
che solo è così: le cicale.

Libertà e Giustizia non è un partito politico, ma un’associazione di cultura politica, ispirata ai due principi indicati nella sua stessa denominazione. Il suo metodo è la ragione applicata ai fatti. Allontaniamoci, allora, un poco dai particolari della cronaca politica quotidiana e cerchiamo di intravedere l’insieme dei fatti per ricavarne linee di pensiero e d’azione. Sempre che non sia un esercizio inutile.

IDEE-FATTI

Nella vita politica, le idee, le percezioni, le illusioni e le indignazioni che contano non sono necessariamente quelle veritiere. Sono quelle che permeano le coscienze, fanno senso comune e muovono i comportamenti dei grandi numeri, vere o false che siano. In ogni caso, sono semplificazioni e, proprio per questo, sono efficaci. Poiché sono efficaci, esse sono, per l’appunto, “fatti”, non effimere impressioni che passano da sé.

a. La prima idea-fatto – inutile dirlo – si esprime con la parola “casta”: giri intrecciati di potere politico, burocratico, economico e finanziario che si auto-alimentano per nepotismo e cooptazione, in base a patti di protezione e fedeltà; potere per il potere, inamovibile, spesso occulto e illegale; disuguaglianze crescenti tra chi sta dentro e chi fuori, chi sopra e chi sotto; privilegi e stili di vita incomparabili; ricchezza crescente per pochi e povertà dilagante tra i molti. Una grande divisione sociale, per la quale, un tempo, fu coniata l’espressione “razza padrona”.

La lotta di classe pare diventare, o già essere diventata lotta di casta, e a parti invertite: non degli sfruttati contro gli sfruttatori, ma degli sfruttatori contro gli sfruttati. Forse, ancora non si percepisce la dimensione globale di questa immensa ingiustizia, rispetto alla quale gli abusi, le corruttele, i furti di casa nostra, per quanto insopportabili, sono quisquilie. Quando si percepirà, cioè si farà strada l’idea, la reazione sarà la restaurazione delle piccole patrie, delle piccole comunità, come rifugi al tempo stesso protettivi e aggressivi: una vecchia storia.

b. La seconda idea-fatto è l’identificazione del potere che s’è detto con le Istituzioni. La politica moderna si basa sulla distinzione tra le istituzioni e coloro che le impersonano e le servono. L’idea odierna è il rovesciamento: coloro che stanno nelle istituzioni se ne servono. In tal modo, ogni degenerazione dei primi viene percepita come vizio delle seconde. Una volta, la corruzione di uno, era vista come corruzione di quello, poi del suo partito, poi dei partiti tutti quanti, poi della politica come tale, infine delle istituzioni tutte quante. I corrotti, gli insipienti, i dilettanti, gli arroganti, ecc. che operano nelle istituzioni non sono solo cattivi soggetti per se stessi, ma lo sono anche di più per le istituzioni democratiche. Nessuna azione antidemocratica è più efficace della corruzione e della propaganda che si basa su di essa. Anche questa è una vecchia storia.

c. La terza idea-fatto è che tutto s’equivale e che “sono tutti uguali”. Di conseguenza, non c’è nulla di possibile e nessuno di cui ci si possa fidare. Tanto vale, allora, starsene a guardare, sperando nella palingenesi, cioè nel crollo della politica e delle sue istituzioni e nell’apparizione di qualcuno che faccia piazza pulita. Che questa prospettiva esista e possa diventare persino maggioritaria è il crimine maggiore che dobbiamo imputare alla generazione che è la nostra. Di nuovo, ci appaiono i fantasmi d’una vecchia storia che si deve sapere dove porta.

LE RISPOSTE VUOTE

Queste generalizzazioni sono sbagliate. Sono anzi trappole pericolose. Ma sono fatti.

Come le vediamo contrastare? Con vuote banalità e con azioni controproducenti.

La prima banalità è l’accusa di antipolitica, che evita di fare i conti con le ragioni che allontanano dalla politica e si presta, contro chi la pronuncia, a essere ritorta con la stessa, se non con maggiore forza. Chi è, infatti, il vero antipolitico? La domanda è a risposta aperta. Non serve a nulla l’anatema. Serve solo la buona politica.

Non bastano le parole, quelle parole che si possono pronunciare a basso costo; parole banali anch’esse, che non vogliono dire nulla perché non si potrebbe che essere d’accordo.

Nella politica, che è il luogo delle scelte e delle responsabilità, dovrebbe valere la regola: tutte le parole che dicono ciò che non può che essere così, sono vietate.

Non vogliono dire nulla riforme, moralità, rinnovamento, innovazione, merito, coesione, condivisione, giovani, generazioni future, ecc.: vuota retorica del nostro tempo che tanto più si gonfia di “valori”, tanto più è povera di contenuti.

Chi mai direbbe d’essere contro queste belle cose?

COME USCIRNE
1) ATTI DI CONTRIZIONE E SEGNI DI DISCONTINUITA’

Alle vuote parole che non costano niente, corrispondono azioni e omissioni nefaste, anzi suicide. Si scoprono ora (!) ruberie, inimmaginabili nel mondo normale, e s’invoca subito una legge sui partiti e sul controllo dei flussi di denaro che arrivano loro: una legge che non si farà.

Si scopre ora (!) che la corruzione dilaga e si fa una legge-manifesto che, anche a dire di quelli che, all’inizio, l’hanno appoggiata, servirà poco o nulla.

Ci si accorge ora (!) che gli organi elettivi sono pieni di gente impresentabile e si prepara una legge sulle candidature. Leggi, sempre leggi, destinate a non farsi o, se fatte, a essere svuotate.

Ma nessuno obbliga a rubare, a corrompere e farsi corrompere, promuovere candidati senza qualità o con ben note “qualità”.

I cattivi costumi si combattono con buoni costumi. Le leggi servono a colpire le devianze, ma nulla possono quando la devianza s’è fatta normalità. Prima di cambiare le leggi, occorre cambiare se stessi e, per cambiare se stessi, non occorre alcuna legge.

Per chiedere rinnovata fiducia, occorrono ATTI DI CONTRIZIONE, segni concreti di discontinuità, non “segnali”, come si dice per dissimulare l’inganno.

Non è un segno, ma un segnale, per di più autolesionistico, la legge elettorale che è in gestazione. Mai più al voto con la legge attuale, s’era detto. Impedito il referendum da un’improvvida sentenza della Corte costituzionale, il problema della riforma è passato al Parlamento, cioè a chi ha da sperare vantaggi o temere svantaggi. Ci voleva poco a capire che, in prossimità delle elezioni, sondaggi alla mano, tutto sarebbe dipeso da calcoli interessati e poco o nulla da buone ragioni di giustizia elettorale. Non c’è bisogno di apprenderlo dal “Codice di buona condotta in materia elettorale” (§§ 65 e 66), che contiene il “minimo etico” segnalato agli Stati dal Consiglio d’Europa nel 2002. Lo comprendiamo da soli.

Comprendiamo che la nuova legge elettorale, se ci sarà, dipenderà dagli interessi dei partiti, non degli elettori che vi troveranno ulteriori ragioni di distacco o di rabbia. La riforma, che avrebbe dovuto servire a riavvicinare eletti ed elettori, allargherà la distanza.

Si persevera, invece, tentando di ritagliarsi comunque un posto o un posticino che conti qualcosa, in una barca che rischia di andare a fondo con quelli che ci sono dentro. Si pensa che non ce ne si accorga? e che ciò non porti altra acqua a chi vuol affondarla? Che insipienza!

2) UNA STAGIONE COSTITUZIONALE PER VIVERE IN LIBERTA’ E GIUSTIZIA

Dove appoggiarsi per uscire dal pantano, per suscitare coraggio, energie, entusiasmo, in un momento di depressione politica come quello che viviamo?

Dove trovare l’ideale d’una società giusta, che meriti che si mettano da parte gli egoismi e i privilegi particolari, che ci renda possibile intravedere una società in cui noi, i nostri figli e i figli dei nostri figli, si possa vivere in libertà e in giustizia?

È sorprendente che non si pensi che questo ideale, questo punto d’appoggio c’è, ed è la COSTITUZIONE. Ed è sorprendente che si sia chiuso in una parentesi quel referendum del giugno 2006 in cui quasi sedici milioni di cittadini si sono espressi a sostegno dei suoi principi.

Altrettanto sorprendente è che non si dia significato – forse perché non se ne ha nemmeno sentore – all’entusiasmo che accoglie, tra i giovani soprattutto, ogni discorso sulla Costituzione, sul suo significato storico e sul valore politico e civile attuale. Non c’è qui una grande forza che attende d’essere interpellata per cambiare la società?
Non è paradossale che ci si volga indietro per guardare avanti.

Le difficoltà in cui ci troviamo non derivano dalla Costituzione, ma dall’ignoranza, dal maltrattamento, dall’abuso, talora dalla violazione che di essa si sono fatti. Eppure lì si trova almeno la traccia della risposta ai nostri maggiori problemi.

  • Il LAVORO come diritto a fondamento della vita sociale, e non la rendita finanziaria e speculativa;
  • i DIRITTI CIVILI e non le ipoteche confessionali e ideologiche sulle scelte ultime della vita;
  • l’UGUAGLIANZA di fronte alla legge e non i privilegi per proteggere i deboli e combattere le mafie d’ogni natura;
  • l’impegno a promuovere politiche di EQUITA’ SOCIALE E FISCALE e non l’autorizzazione a gravare sui più deboli per risolvere i problemi dei più forti;
  • la garanzia dei SERVIZI SOCIALI e non la volontà di ridurli o sopprimerli;
  • la SALUTE come diritto e non come privilegio;
  • l’ISTRUZIONE attraverso la scuola pubblica aperta a tutti e non i favoritismi alla scuola privata;
  • la CULTURA, i BENI CULTURALI, la NATURA come patrimonio a disposizione di tutti, sottratti agli interessi politici e alla speculazione privata;
  • la libera INFORMAZIONE, come diritto dei cittadini e diritto-dovere dei giornalisti; ancora:
  • la POLITICA come autonomo discorso sui fini e non come affare separato di professionisti o tecnici esecutivi;
  • la partecipazione all’EUROPA come via che porti alla pace e alla giustizia tra le nazioni, a più libertà e più democrazia, non più burocrazia e meno libertà.

In generale, nella Costituzione troviamo la politica, il bene pubblico che più, oggi, scarseggia.

Invece, ancora una volta, come da trent’anni e più a questa parte, si ripete la stanca litania della prossima stagione come “stagione costituente”. Costituente di che cosa? Volete dire, di grazia, che cosa volete costituire? E credete con questa formula di ottenere consensi, tra cui i nostri consensi? Non viene in mente a nessuno che il nostro Paese avrebbe bisogno, piuttosto, di una “STAGIONE COSTITUZIONALE” e che chi facesse sua questa parola d’ordine compirebbe un atto che metterebbe in moto fatti, a loro volta produttivi d’idee, anzi d’ideali?

 

(tra i sottoscrittori: Zagrebelsky, Bonsanti, Eco, Saviano, Ginsborg, Lerner, Abate, Dalla Chiesa, Natale, Landini, Barbacetto, Settis)